Agli occhi della comunità internazionale, l’Eritrea è uno Stato paria, che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha messo sul banco degli imputati.
Tutto ciò che non dovreste sapere sull’Eritrea
Il Corno d’Africa è una delle regioni più lacerate del continente: guerre incessanti, fame, povertà… Immagini che tutti conoscono. Tuttavia, pochi sanno che l’Eritrea considera che sia possibile uscire da questo cerchio infernale, risolvere i conflitti attraverso il dialogo e raggiungere un buon livello di sviluppo. Ci sarebbe di che rallegrarsene ma agli occhi della comunità internazionale, l’Eritrea è uno Stato paria, che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha messo sul banco degli imputati. In che modo questo paese, del quale nessuno parla, minaccia le potenze occidentali? Ne parliamo con Mohamed Hassan.
di Grégoire Lalieu e Michel Collon
(traduzione Marina Minicuci)
È l’Eritrea la fonte di tutte le violenze nel Corno d’Africa? Questo è ciò che sembra pensare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha recentemente votato sanzioni contro questo paese. In particolare, l’Eritrea è stata accusata di fornire armi ai ribelli somali.
Le sanzioni sono il risultato di una campagna di menzogne che ha l’obbiettivo di destabilizzare il governo eritreo. Dal 1992 vi è un embargo per la fornitura di armi alla Somalia, sul territorio sono presenti esperti internazionali per controllare la situazione e, attualmente, ogni arma ha un numero di serie che permette di seguirne le tracce. Malgrado queste disposizioni, il Consiglio di Sicurezza non ha maggiori prove del presunto traffico d’armi di quante ne avesse delle armi di distruzione di massa in Irak! In compenso, oggi come allora, c’è Washington dietro questo genere di campagna diffamatoria. Benché non ci creda neppure il vice Segretario di Stato degli Affari Africani negli Stati Uniti, il quale sostiene “la verità è che la Somalia è piena di armi perché è in guerra da vent’anni. Chiunque può comprarle al mercato nero, senza bisogno di andare a prenderle in Eritrea”.
L’Eritrea è anche accusata delle tensioni con Gibuti per dispute sui confini, a causa delle quali, ci furono tensioni fra i rispettivi eserciti nel 2008.
L’Eritrea mai ha manifestato la benché minima rivendicazione territoriale su Gibuti. La maggior parte delle frontiere africane, sono state tracciate dalle potenze coloniali ai tempi che furono e mai sono state messe in discussione. Gli incidenti del 2008 furono una pura invenzione del governo Bush. Tutto ebbe inizio nel mese di aprile quando il presidente eritreo, Isaias Afwerki, ricevette una telefonata dall’emiro del Qatar. Questi gli trasmetteva una lamentela del presidente di Gibuti, Ismail Omar Guelleh il quale sosteneva che l’Eritrea stesse riunendo truppe alla frontiera. Il presidente Afwerki, che non aveva dato alcuna disposizione in merito al suo esercito, fu molto sorpreso da tale affermazione che perdipiù arrivava per interposta persona e non direttamente dal suo omologo. In tutti i modi, Isaias Afwerki rispose con la proposta di un incontro con Guelleh a Gibuti, in Eritrea, o se preferiva, nel Qatar. La proposta non ebbe alcuna risposta e, una settimana dopo, l’11 giugno del 2008, soldati dell’esercito di Gibuti attaccarono le truppe eritree alla frontiera. Ci fu un breve combattimento che causò una trentina di morti e dozzine di feriti di entrambi gli Stati. Il presidente del Gibuti dichiarò immediatamente che l’Eritrea aveva attaccato il suo paese. E, con sconcertante rapidità, gli Stati Uniti emisero un comunicato condannando “l’aggressione militare dell’Eritrea contro Gibuti”. Fece eco alla condanna anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E fu solo in seguito che quest’ultimo propose di inviare una commissione di esperti per analizzare la situazione e stabilire la verità sui fatti. Perché il Consiglio di Sicurezza, mise il carro davanti ai buoi? Non c’erano tensioni pregresse fra l’Eritrea e Gibuti, i due Stati avevano sempre mantenuto buoni rapporti. La questione è che gli Stati Uniti manipolano la comunità internazionale e il Consiglio di Sicurezza per fare pressioni sull’Eritrea.
Come spiega l’atteggiamento del Gibuti?
Il presidente Ismail Omar Guelleh non ha appoggio sociale e si mantiene al potere solo grazie al sostegno delle potenze straniere alle quali, di conseguenza, non può rifiutare niente. Ciò spiega perché ci sono tanti soldati stranieri a Gibuti e, per esempio, gli Stati Uniti hanno una sola base in Africa ed è a Gibuti. Oltre a ciò, questo piccolo paese, ospita contingenti di altre nazioni e la maggior base francese in continente africano. Quindi Guelleh dipende completamente da Washington. Se gli Stati Uniti hanno bisogno della sua collaborazione per creare una nuova crisi nella regione, non gli resta che ubbidire. E questo modo di procedere è diventata la specialità degli Stati Uniti: fomentare problemi per poi proporsi per risolverli. Nello specifico gli USA tentano di far passare l’Eritrea per uno Stato bellicoso che sta all’origine dei problemi del Corno d’Africa.
Perché gli Stati Uniti vorrebbero emarginare l’Eritrea?
Il governo eritreo ha una visione del proprio paese e della regione, crede cioè che sia possibile raggiungere un buon livello di sviluppo e risolvere i conflitti con il dialogo se ci si libera delle interferenze delle potenze straniere. Se si osserva la crisi in Somalia, si vedrà che l’Eritrea ha sempre predicato di riunire tutti gli attori politici del paese attorno un tavolo per dialogare, al fine di incontrare una soluzione al conflitto e ricostruire la Somalia. A questo scopo, l’Eritrea propone anche di coinvolgere la società civile: capi religiosi ma anche donne, anziani… Riunire tutti, al di là delle separazioni, per ricostruire un paese che da vent’anni non ha un governo. Indubbiamente questo sistema sarebbe efficace per restituire la pace nel paese. Ma gli Stati Uniti, d’altro canto, hanno volontariamente mantenuto la Somalia nel caos. Nel 2007 hanno persino ordinato all’esercito etiope di attaccare Mogadiscio benché fosse tornata la pace. E alla fine l’ONU chi sanzionò se non l’Eritrea! La questione è che gli USA temono che la visione dell’Eritrea faccia proseliti nel Corno d’Africa, cosa che significherebbe la fine delle ingerenze statunitensi in questa regione strategica. Di conseguenza, Washington tenta di mettere l’Eritrea in quarantena per evitare che si propaghi il “virus”. È una tecnica collaudata dagli Usa, che peraltro ha ben studiato Noam Chomsky, il quale parla di “teoria della mela marcia”: se c’è una mela marcia nel cesto bisogna toglierla prima che contamini le altre. Questa è la ragione per la quale gli Usa hanno sempre tentato di rovesciare governi (con o senza successo): Castro a Cuba, Allende in Cile, in Laos nel 1960… Chomsky spiega che in questi casi Washington interviene con il pretesto di assicurare la “stabilità” del mondo, quando in realtà -continua Chomsky- “stabilità” significa “sicurezza” per le multinazionali e le classi dirigenti.
Dunque, per Washington l’Eritrea è la mela marcia del Corno d’Africa?
Certo. Mentre il vero nemico della regione è l’imperialismo, in particolare quello statunitense. Per questo l’Eritrea desidera che i paesi del Corno d’Africa si liberino delle ingerenze delle potenze neocoloniali e sviluppino un progetto comune. Il Corno d’Africa gode di una posizione geostrategica molto importante: è connessa sia con i paesi del Golfo che con l’oceano indiano dal quale passa la maggior parte del commercio marittimo mondiale; inoltre dispone di grandi risorse, minerali, gas, petrolio, biodiversità… Se i paesi di questa regione si liberassero del neocolonialismo e riunissero gli sforzi, riuscirebbero a uscire dalla povertà, ed è ciò a cui ambisce l’Eritrea. Mentre gli USA, se questo progetto si facesse realtà, dovrebbero rinunciare al controllo della regione strategica e rinunciare ad avere accesso alla sue materie prime, ed è questa la ragione per la quale Washington fa pressioni sul presidente Isaias Afwerki per indurlo a cambiare la sua politica. In fin dei conti l’Eritrea conquistò la propria indipendenza, attraverso lunghi combattimenti, solo nel 1993, e ancora oggi continua a lottare per proteggere la propria sovranità nazionale. L’Eritrea è il paese africano che ha impiegato più tempo per riuscire a conquistare la propria indipendenza. Ricordiamo che il paese fu colonizzato dagli italiani nel 1869.
Come accadde che l’Italia, che non era un grande impero coloniale, si trovò in Eritrea?
È necessario situarsi nel contesto dell’Europa del XIX secolo. Allora il vecchio continente era lo scenario di una spietata lotta fra le potenze imperialiste per il controllo delle colonie e delle loro materie prime. Esisteva già una forte rivalità fra la Francia e la Gran Bretagna. L’unificazione dell’Italia nel 1863 e successivamente quella della Germania nel 1871 fecero sorgere nuovi rivali di peso. Inoltre, il mondo capitalista conobbe una prima importante crisi nel 1873, la quale provocò il progressivo smantellamento dell’impero Ottomano e aumentò gli appetiti e le rivalità delle potenze europee. La Germania, per esempio, avrebbe voluto aprofittare dello smantellamento dell’impero Ottomano per acquisire nuove colonie. I britannici, dal canto loro, appoggiavano Istanbul per bloccare l’espansione tedesca. Fu allora che il cancelliere Bismarck decise di organizzare la Conferenza di Berlino, era il 1885. Un evento fondamentale nella storia delle colonie che fino ad allora avevano prevalentemente installato fattorie commerciali sulle coste dell’Africa. Durante la Conferenza le potenze europee progettarono di colonizzare gradualmente tutto il continente africano, in modo da evitare nuovi conflitti e rilanciare l’economia capitalista. Fu così che si misero d’accordo per spartirsi la torta africana. La strategia della Gran Bretagna fu quella di suggerire all’Italia (potenza non molto minacciosa) di istallarsi nel Corno d’Africa per bloccare l’espansione di Francia e Germania (rivali molto più temute).
L’Europa si spartì l’Africa, ma all’inizio del XX secolo l’Etiopia era l’unico paese indipendente del continente, perché?
È a causa di un compromesso fra francesi e britannici. I primi progettavano di espandersi da Dakar a Gibuti, gli altri ambivano a dispiegare il proprio impero da Il Cairo a Città del Capo, in Sudafrica. Se si osserva la carta geografica dell’Africa, si potrà notare che i progetti coloniali erano destinati ad uno scontro frontale. Per evitare il conflitto, che avrebbe provocato enormi perdite da entrambe le parti, la Francia e la Gran Bretagna decisero di non colonizzare l’Etiopia, ma non per questo vollero rinunciare a quel territorio. Appoggiarono e armarono Menelik II che regnava in una delle regioni più ricche dell’Etiopia che, con l’appoggio delle potenze coloniali, prese il potere in tutto il territorio etiopico, concedendo a francesi e britannici l’accesso alle risorse del suo impero. Quindi, benché l’Etiopia fosse l’unico paese a non essere colonizzato, non si può certo dire che per questo fosse indipendente. Costui che si faceva chiamare Menelik II, Negusse Negest d’Etiopia, leone conquistatore della tribù di Judah, eletto da Dio, non era altro che un agente delle potenze imperialiste, incapace di costruire uno Stato moderno. Era stato scelto soprattutto perché era un cristiano ortodosso e proveniva da una delle regioni più ricche d’Etiopia. Per questo, Menelik II si trovava alla testa di un regime minoritario in un sistema feudale nel quale la maggior parte delle nazionalità non godevano di diritto alcuno e si praticava la schiavitù. Tutto ciò creò molte diseguaglianze che sopravvivono a tutt’oggi in Etiopia.
Mentre l’Eritrea fu colonizzata dall’Italia. Più tardi, Mussolini arrivò a dichiarare che sarebbe Stato il cuore del nuovo impero Romano. Che effetti ebbe la colonizzazione italiana in Eritrea.
All’epoca l’Italia aveva una popolazione prevalentemente contadina, costretta a migrare, prevalentemente in Svizzera e Francia. La nuova colonia Eritrea, con il suo paesaggio da cartolina e il suo clima gradevole, divenne un sogno per molti italiani che vi si trasferirono. I coloni si insediarono insieme ai contadini e la borghesia italiana investì molto in Eritrea. La situazione geografica del paese era particolarmente interessante: lunghe coste ai bordi del Mar Rosso, la vicinanza con il canale di Suez al nord e lo Stretto di Bab-el-Mandeb al sud che è uno dei corridoi di navigazione più frequentati del mondo e unisce il Mar Rosso con l’Oceano Indiano. Fu così che gli italiani svilupparono piantagioni, porti, infrastrutture… Per avere un’idea del livello si sviluppo di questa colonia, basti ricordare che gli inglesi, quando invasero l’Eritrea durante la Seconda Guerra Mondiale, smontarono le fabbriche per trasferirle nel proprio paese così com’erano!
Questo sembra diverso dagli abituali saccheggi e dalle mani tagliate in Congo belga. L’Eritrea era un’eccezione nello spietato mondo del colonialismo?
Ci furono molti aspetti positivi, ma non ci inganniamo, il colonialismo italiano era comunque discriminatorio e i neri non avevano i diritti dei bianchi. Di fatto, quando alla fine del XIX secolo l’Italia si appropriò dell’Eritrea e di una parte dell’attuale Somalia, cercò di continuare la sua espansione verso l’Etiopia. Ma i soldati italiani furono sconfitti da Menelik II durante la battaglia di Adua, nel 1896. Negli anni a seguire, all’interno dell’intellighenzia italiana, si sviluppò l’ideologia fascista e con essa la volontà di restituire l’onore al paese che era stato sconfitto dai neri. Perciò il colonialismo italiano fu molto razzista. La popolazione eritrea era stata integrata al progetto coloniale, ma come classe inferiore. Inotre, il razzismo del fascismo italiano (che arrivò al potere nel 1922) era diretto ai neri, non era antisemita come il razzismo tedesco. Infatti vari ebrei lavoravano nelle organizzazioni fasciste italiane e lo stesso Mussolini aveva un’amante ebrea. Solo più tardi, verso la fine della decade degli anni ’30, l’Italia incominciò a perseguitare gli ebrei. In primo luogo perché Mussolini si era avvicinato a Hitler e, in secondo luogo, perché il partito fascista italiano aveva necessità di un nuovo impulso e, per mobilitare la popolazione italiana, Mussolini, utilizzò come capro espiatorio la comunità ebrea.
Alla fine, i fascisti italiani si presero la propria rivincita sull’Etiopia quando, nel 1935, le truppe di Mussolini invasero l’unico paese non colonizzato dell’Africa.
È così, anche se l’occupazione dell’Etiopia non durò molto. Nel 1941, in piena guerra mondiale, l’esercito britannico espulse gli italiani dalla regione e gli Alleati presero il controllo del Corno d’Africa. Dopo la guerra, l’Etiopia recuperò la propria “indipendenza”, ma per l’Eritrea la sorte fu diversa. L’Unione Sovietica avrebbe voluto che questa colonia ottenesse l’indipendenza, mentre i britannici volevano dividere il paese in due, così come avevano fatto dovunque: i musulmani dovevano unirsi al Sudan e i cristiani ortodossi all’Etiopia. È interessante segnalare che la Chiesa etiope era favorevole a questa opzione e faceva pressione sui cristiani eritrei affinché la accettassero. Diceva loro che se avessero rifiutato non avrebbero, da morti, ricevuto sepoltura e quindi la loro anima non avrebbe raggiunto il paradiso. Malgrado tutto ciò, i cristiani d’Eritrea rifiutarono dato che prima si sentivano eritrei! Questo sentimento di appartenenza si spiega soprattutto nel fatto che, a differenza di altre potenze imperialiste, gli italiani avevano integrato il popolo eritreo nel progetto coloniale senza distinzioni etniche. Ma alla fine, nessuna di queste due opzioni vinse e se ne affermò una terza, degli Stati Uniti: l’Eritrea si sarebbe dovuta integrare all’Etiopia in un sistema federale.
Perché gli Stati Uniti promossero questa opzione?
La posizione geografica di cui godeva, aveva conferito all’Eritrea una grande importanza agli occhi di Washington durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Dagli anni ’40 il Pentagono e le industrie di armamenti private svilupparono importanti progetti nel paese: assemblaggi di aerei, laboratori di riparazioni, una forza navale… E, soprattutto, negli anni ’50 l’intelligence statunitense stabilì all’Asmara, la capitale, una delle basi di telecomunicazioni più importanti fuori dal proprio territorio. Allora non c’era la vigilanza via satellite come oggi e i sistemi di ascolto coprivano un raggio limitato. Dall’Eritrea si poteva controllare ciò che accadeva in Africa, in Medio Oriente, nel Golfo e persino in alcune parti dell’Unione Sovietica. Questa la ragione per la quale gli Stati Uniti vollero che l’Eritrea si unisse all’Etiopia che era un alleato di Washington. John Foster Dulles, un’eminete figura della politica statunitense, dirigeva l’ufficio degli Affari Esteri e, in un dibattito del Consiglio di Sicurezza, riconobbe: “Dal punto di vista della giustizia si deve tenere conto delle opinoni del popolo eritreo però, con tutti gli interessi strategici degli USA nel bacino del Mar Rosso e le considerazioni per la sicurezza e la pace nel mondo, si rende necessario che questo paese si unisca all’Etiopia nostra alleata”. Ecco come si decise la sorte dell’Eritrea con gravi conseguenze che avrebbero dato inizio alla più lunga lotta per l’indipendenza in Africa…
Nelle prossime settimane continuerà la seconda e la terza parte della nostra intervista sull’Eritrea. Con Mohamed Hassan ripasseremo i trent’anni di combattimenti della resistenza eritrea; scopriremo le sfide della loro rivoluzione; le similitudini con Cuba; solleveremo la questione dei diritti umani in questo paese, oggetto degli attacchi delle potenze occidentali e, infine, analizzeremo il famoso paradosso africano: una popolazione tanto povera e così ricca di risorse naturali.
Mohamed Hassan è esperto in geopolitica e del mondo arabo. Nato ad Addis Abeba (Etiopia), ha partecipato ai movimenti studenteschi della rivoluzione socialista del 1974 nel suo paese. Ha studiato scienze politiche in Egitto prima di specializzarsi in amministrazione pubblica a Bruxelles. Diplomatico per suo paese negli anni ’90, ha lavorato a Washington, Pechino e Bruxelles. Co-autore de “L’Irak sotto occupazione (EPO, 2003), ha anche collaborato ad opere sul nazionalismo arabo e i movimenti islamici, nonché sul nazionalismo fiammingo. È uno dei maggiori conoscitori contemporanei del mondo arabo e musulmano.