Tutto ciò che non dovreste sapere sull’Eritrea (2/3)
Intervista a Mohamed Hassan
di Grégoire Lalieu e Michel Collon
(traduzione dal francese Marina Minicuci)
Annessa dall’Etiopia, l’Eritrea conduce la più lunga lotta per l’indipendenza del continente africano. Per più di trent’anni, la resistenza eritrea ha combattuto praticamente sola contro tutti. In che modo, quei combattenti africani hanno superato le più grandi potenze mondiali: Stati Uniti, Europa, Unione Sovietica…? Qual’era la posta in gioco? In questa seconda parte, Mahamed Hassan disegna con noi l’avventura epica della liberazione dell’Eritrea.
Nel 1950, per decisione dell’ONU e, in seguito, per volontà degli Stati Uniti, l’Eritrea diventa quindi un’entità autonoma, federata all’Etiopia. Come andò la coabitazione?
Piuttosto male. Quella decisione non aveva alcun senso poiché metteva insieme due entità incompatibili per la convivenza. Da un lato l’Eritrea, che aveva beneficiato dello sviluppo del colonialismo italiano e da dove era emersa una classe operaia con una coscienza politica. Dall’altro lato l’Etiopia, governata dall’imperatore Hailé Selassié, con un regime feudale, senza Costituzione, che praticava ancora lo schiavismo e dove non vi erano diritti politici. Ma siccome era un sistema federale, l’Eritrea conservava la propria bandiera e il suo parlamento; i propri sindacati e i suoi giornali indipendenti… Tutte cose vietate in Etiopia! Quella strana coabitazione stava indirettamente evolvendo verso un colpo di Stato contro l’imperatore Selassié. Alcuni ufficiali etiopici andarono in Eritrea e constatarono enormi differenze con il loro paese. Per di più, i movimenti panafricani e la moda dell’indipendenza stavano facendo evolvere le mentalità in tutto il continente. Alcuni etiopici cominciarono a percepire l’arretratezza del loro regime. Fra loro, il giovane Girmame Neway che aveva studiato negli Stati Uniti ed era stato governatore in alcune provincie etiopiche. Questi, con l’aiuto di suo fratello che faceva parte delle guardie del corpo di Selassié, tentò un colpo di Stato nel 1960, in un momento in cui l’imperatore si trovava in visita in Brasile. Ma l’armata etiopica non appoggiò il movimento e il golpe fallì. Al suo ritorno, Selassié aveva due opzioni: o mantenere la federazione con l’Eritrea ed offrire al suo popolo i medesimi diritti di cui godeva questo paese; o altrimenti annettere completamente l’Eritrea. La prima opzione sarebbe stata il suo suicidio politico, pertanto, nel 1962, l’Eritrea fu annessa totalmente all’Etiopia.
Con l’implicito sostegno delle Nazioni Unite. Perché la comunità internazionale non ha protestato?
È incredibile, davvero. Una volta annessa l’Eritrea, Selassié ordinò l’arresto di editori di giornali, mandò leader nazionalisti in esilio, bandì i sindacati e vietò l’uso delle lingue eritree nelle scuole e per le transazioni ufficiali. Inoltre, delocalizzò le industrie di base all’Asmara per reimpiantarle ad Addis Abeba. L’idea era di trasferire i lavoratori eritrei in Etiopia e spopolare l’Eritrea per farne una base militare. Inoltre, mentre le truppe etiopi circondavano l’Assemblea e i caccia volavano sull’Asmara, il parlamento eritreo fu costretto all’umiliazione di votare la propria dissoluzione. L’Eritrea protestò vigorosamente e si è appellò all’ONU, la quale rispose: “La vostra richiesta deve prima passare al vaglio del governo federale”, vale a dire dell’imperatore Selassié! Altrimenti detto, il regime etiope aveva la benedizione delle potenze imperialiste e specialmente degli Stati Uniti che dominavano l’ONU. Intanto, l’imperatore Selassié, sostenuto da tutti, ne approfittava per costruirsi l’edificante immagine di padre del continente africano. Nessuno gli si oppose, per enorme disgrazia degli eritrei.
Come accadde che l’Etiopia divenne un alleato privilegiato degli Stati Uniti?
Negli anni ’40, gli Stati Uniti volevano indebolire i loro concorrenti europei ed hanno iniziato ad interessarsi all’Africa, ma i francesi e i britannici possedevano già svariate colonie in quel continente. L’Etiopia, al contrario, non era stata colonizzata. Per Washington, quella era dunque la porta dalla quale potevano introdursi in Africa per installare la propria influenza e fare concorrenza alle potenze coloniali. L’Etiopia feudale sarebbe così diventata una marionetta degli Stati Uniti, partecipando alle guerre in Congo e in Corea. In seguito, quando la maggior parte dei paesi africani divennero indipendenti negli anni ’50 e ’60, Washington fece pressione affinché l’Organizzazione dell’Unione Africana avesse la sua base in Etiopia. Ciò avrebbe permesso agli Stati Uniti d’esercitare il controllo su tutto il continente. Come per lo Scià dell’Iran o Israele in Medio Oriente, l’Etiopia era dunque un backlog, un gendarme degli USA in Africa.
Quando i mezzi diplomatici della comunità internazionale furono esauriti e dopo svariate manifestazioni pacifiste, l’Eritrea intraprese la lotta armata.
Che, all’inizio, fu condotta dal Fronte di Liberazione dell’Eritrea (FLE). Il FLE riuniva svariati gruppi nazionalisti che volevano l’indipendenza. Sul piano politico, questi movimenti erano dominati da interessi borghesi e le loro analisi socio-economiche erano affidibili. Sul piano militare, il FLE ricalcava il modello algerino, un sistema nel quale i gruppi armati erano divisi per regioni. Fu un grosso errore tattico. Prima di tutto perché, quasi sempre, le unità suddivise nelle differenti regioni non parlavano la stessa lingua. Così, al tempo in cui combattevano per l’indipendenza di uno Stato, stavano contribuendo a creare delle divisioni che un giorno avrebbero minacciato quello stesso Stato! Inoltre, quella scissione della resistenza in gruppi autonomi provocava dei problemi di coordinamento che il nemico poteva sfruttare a suo beneficio. Per fare un eloquente esempio: quando un gruppo di una regione era attaccato, i loro vicini non accorrevano in suo aiuto. Naturalmente, per l’armata etiopica, era molto più facile combattere separatamente contro gruppi isolati gli uni dagli altri. L’assenza di visione politica del FLE, la sua strategia militare e le divisioni interne, determinarono il declino del movimento. Ma negli anni settanta, alcuni musulmani e alcuni cristiani progressisti, membri dell’FLE, decisero di fondare un loro gruppo. Nacque così il Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo (FLPE). D’ispirazione marxista, il movimento aveva imparato la lezione dai suoi predecessori. Il FPLE sapeva che era necessario mobilitare tutta la popolazione anziché creare divisioni. Aveva altresì una visione politica molto più puntuale che poggiava su un’analisi pertinente della società eritrea. Più che una lotta armata, il FPLE avviò una vera rivoluzione: emancipazione delle donne, organizzazione di consigli democratici nei villaggi, riforma agraria, educazione… Tutto ciò permise di mobilitare il popolo eritreo al seguito dei combattenti del FPLE. Tutto ciò si è rivelato imprescindibile al fine dell’ottenimento dell’indipendenza eritrea.
Quindi, sembrava una battaglia persa in partenza. L’etiopia era sostenuta da tutti mentre l’Eritrea lottava da sola contro tutti.
Infatti. L’Etiopia era sostenuta dagli Stati Uniti, ma anche da Israele che voleva allacciare alleanze con i paesi non arabi della regione. D’altronde, durante il tentativo di colpo di Stato nel 1960, fu grazie ad Israele che l’imperatore, in viaggio in Brasile, poté stabilire rapidamente i contatti con un generale e far fallire la ribellione. Di seguito, l’Etiopia presentò la resistenza eritrea come una minaccia araba per la regione e anche in quell’occasione poté contare con l’appoggio di Israele. Specialisti israeliani della contro-rivoluzione allenarono una forza d’élite etiopica di circa mille uomini, noti con il nome di “Brigate Fiamma”. Anche l’Europa sosteneva l’Etiopia, e le forniva le armi. Inoltre il governo etiopico era il principale beneficiario dell’aiuto europeo destinato all’Africa. Infine, l’imperatore Selassié godeva di una forte presenza nel continente africano, cosa che non giovava affatto agli eritrei. Ho già spiegato in che modo gli Stati Uniti fecero pressioni affinché l’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) avesse sede in Etiopia. Negli anni sessanta, al fine di evitare che guerre civili scoppiassero in tutto il continente, tale organizzazione decretò che le frontiere alzate dal colonialismo non potevano essere messe in discussione. È del tutto evidente che questa decisione non è stata applicata per l’Eritrea. Le rivendicazioni dell’Etiopia sul territorio non avevano pertanto alcuna legittimità. È come se l’Italia rivendicasse la Francia col pretesto che la Gallia fece parte dell’impero romano! Ma Selassié aveva tutto l’Occidente dalla sua parte e la sua influenza in Africa era tale che la OUA faceva finta di non vedere.
Nel 1974, dopo 44 anni di regno, l’Imperatore Selassié fu finalmente rovesciato da una rivoluzione socialista. Ma il nuovo governo etiopico non concesse l’indipendenza all’Eritrea. Perché?
La rivoluzione etiope fu il frutto di un’alleanza fra civili dalle idee progressiste e militari. Ma ben presto apparvero divisioni in seno al movimento. Non appena i militari presero il potere, gli studenti e gli intellettuali rivoluzionari chiesero che l’armata operasse una transizione verso un governo civile; d’altronde sostenevano il diritto all’indipendenza dell’Eritrea. Ma la sciovinista giunta militare al potere, chiamata Derg, non aveva alcuna intenzione di abbandonare il territorio eritreo e lasciare il potere ai civili. Pertanto, l’armata lanciò una campagna di arresti e d’assassinii che, secondo Amnesty International, fece più di mille morti, principalmente fra intellettuali e studenti. Fu così che la rivoluzione etiopica venne privata dei suoi elementi più progressisti e i militari presero definitivamente il potere. Alla testa del Derg, vi era il tenente colonnello Mengistu Haile Mariam. Egli proveniva da un ambiente modesto, suo padre era soldato e sua madre cameriera. Al potere fino al 1991, Mengistu impose un regime totalitario e intraprese la militarizzazione del paese. Evidentemente, non voleva sentir parlare di autonomia dell’Eritrea e reprimette severamente la resistenza. In conclusione, con tale rivoluzione, l’Etiopia non fece altro che passare da una dittatura all’altra. E in piena guerra fredda, questo paese che fino ad allora era stato un alleato strategico degli Stati Uniti, inclinò verso il girone sovietico. Mosca apportò allora un ingente sostegno militare a Mengistu, allo scopo di reprimere la resistenza eritrea.
Tuttavia, vent’anni prima, l’Unione Sovietica si era mostrata favorevole all’indipendenza dell’Eritrea. Come si spiega questo cambiamento?
All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, Mosca sosteneva l’indipendenza dell’Eritrea poiché l’annessione di questo paese da parte dell’Etiopia era interesse degli Stati Uniti. Evidentemente, quando l’Etiopia divenne un alleato dell’Unione Sovietica, Mosca cominciò a vedere le cose in tutt’altro modo. Inoltre, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i Sovietici avevano acquisito una migliore conoscenza del Corno d’Africa e del mondo. All’epoca, riconoscevano le legittime rivendicazioni dell’ex colonia. Più tardi, invece, la loro politica di divenne miope, con una visone del mondo assai ristretta. Negli anni cinquanta, Nikita Khrouchtchev svilupperà una nuova e particolare teoria sul modo nel quale l’Unione Sovietica doveva sostenere le rivoluzioni in Africa: i paesi africani non avevano bisogno di un partito d’avanguardia per guidare le loro rivoluzioni, l’Unione Sovietica sarebbe stato il loro partito d’avanguardia! Khrouchtchev intendeva quindi trasporre il modello della rivoluzione russa ai paesi africani senza minimamente tenere conto delle loro specificità. Per dirla in altro modo: i Sovietici avevano creato delle scarpe a loro misura e pensavano che quelle scarpe calzassero a tutto il mondo; e se il tuo piede era troppo grande, bastava tagliare l’alluce per adattarlo! La teoria di Khrouchtchev era ridicola come questo esempio. Ciò spiega perché l’Unione Sovietica, sprovvista di una corretta visione di quel che si agitava nel Corno d’Africa, sostenesse l’Etiopia. Fu un grave errore.
Che impatto ebbe ciò sulla resistenza Eritrea?
Fin qui, la resistenza eritrea aveva ottenuto notevoli successi. La popolazione la sosteneva. Molti si unirono ai ranghi dei combattenti, soprattutto da quando l’esercitò etiope cominciò ad attaccare regolarmente la popolazione: villaggi incendiati, massacri di civili… Invece di spaventare gli eritrei, tali rappresaglie rafforzavano l’idea che quella coabitazione non fosse possibile e che pertanto la lotta per l’indipendenza fosse indispensabile. Nel 1975, per esempio, numerosi giovani aderirono all’FPLE in seguito all’esecuzione di 56 studenti eritrei. Per allora, la strategia messa in atto dai resistenti si era fatta molto sofisticata. Un esempio: l’Eritrea non aveva alcun sostegno e lottava sola contro tutti, cosa che rappresentava un problema per l’approvvigionamento di armi. In mancanza di alleati, l’FPLE prese come suo principale sostegno i propri nemici! Ad ogni vittoria riportata negli attacchi di guerriglia contro le truppe etiopi, gli eritrei si appropriavano degli armamenti dei loro nemici. Di conseguenza, col trascorrere degli anni, la resistenza divenne molto più equipaggiata, anche con artiglieria pesante. Immaginate: i soldati etiopi che combattono contro i loro stessi carri armati! Con questa tecnica, l’EPLF si trasformò da esercito di guerriglia in esercito meccanizzato.
Ma, nel 1977, non ci si aspettava che l’Unione Sovietica venisse in soccorso di Derg?
Fu un periodo difficile: la marina dell’armata rossa bombarda a tappeto le postazioni dell’FPLE lungo le coste, Mosca invia tremila consiglieri militari e quantità d’armi attraverso un ponte aereo con Addis Abeba. Si stima che l’esercito etiope abbia allora ricevuto 1000 carri armati, 1500 veicoli corazzati da combattimento e 90 fra elicotteri e caccia militari. Forte del sostegno sovietico, nel febbraio del 1982, Mengistu lancia una grande offensiva contro l’Eritrea: la campagna “Red Star” con i suoi 150.000 uomini, fu la più grande battaglia che l’Africa conobbe dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Malgrado ciò, Mengistu non riuscì ad ottenere l’eliminazione dell’FPLE…
Quello fu anche il periodo più duro di tutta la lotta per l’indipendenza. Il FPLE dovette abbandonare posizioni conquistate per un ripiego strategico. Mengistu ottenne che il Sudan chiudesse le frontiere con l’Eritrea: per settimane non arrivarano petrolio, cibo e altri rifornimenti che erano abitualmente inviati dal Sudan. Non vi era più alcuna possibilità per i rifugiati di raggiungere i campi al di là della frontiera. Ma, malgrado tutto, l’armata etiopica non riuscì ad eliminare l’FPLE. Bisogna dire che il movimento era molto ben organizzato. È vero che i soldati etiopi erano più numerosi e meglio equipaggiati, ma non facevano altro che obbedire agli ordini di un dittatore; mentre i combattenti dell’FPLE godevano di una più grande motivazione ed erano allenati meglio. Quella fu l’ultima volta che il governo etiopico minacciò la resistenza e la campagna “Red Star” ebbe una svolta in quella lunga lotta per l’indipendenza. Quando l’offensiva volse alla fine, dopo mesi di combattimenti, il FPLE cominciò a recuperare le posizioni che aveva abbandonato. Qualche anno dopo, l’Unione Sovietica, sull’orlo del crollo, annunciò a Mengistu che avrebbe smesso di fornigli armi. Il governo etiope cominciò a vacillare perché oltre a dover affrontare la resistenza eritrea, doveva anche fronteggiare gruppi nazionalisti che s’erano formati in Etiopia. Fra questi, il Fronte di Liberazione del Tigré (FLPT) che combatteva con gli eritrei. All’inizio, questo movimento rivendicava l’indipendenza per gli abitanti della regione del Tigré. Ma il FPLE, che sapeva quanto poteva essere pericolo operare divisioni concernenti le nazionalità, consigliò loro: “Voi siete etiopi anzitutto, ed è in qualità di etiopi che dovete battervi ed incoraggiare i vostri compatrioti a rovesciare la dittatura militare”. Così, nel 1991, crolla il Derg, Mengistu fugge, e dopo trent’anni di combattimenti, l’Eritrea conquista l’indipendenza.
Dopo tutti questi rivolgimenti, come evolvono le relazioni fra Etiopia e Eritrea?
L’Etiopia è un paese composto da diverse etnie. Che fosse governato da Menelik II, da Selassié o da Mengistu, il regime al potere non ha mai rappresentato le diversità del popolo etiope. Il paese è tuttora dominato da minoranze che agitano i loro interessi, creando delle grandi diseguaglianze in seno alla popolazione. Da quando un nuovo governo etiope ha preso il potere nel 1991, tutti pensavano che le cose sarebbero cambiate. Io stesso, accettai di lavorare come diplomatico per il governo. Anche l’Eritrea aveva grandi speranze. Diventando indipendente, avrebbe privato l’Etiopia d’un accesso al mar Rosso. Ma il presidente eritreo, Isaias Afwerki, propose di creare una zona di libero scambio fra i due paesi in modo che gli etiopi avrebbero potuto disporre con facilità dei porti dell’Eritrea. Le basi per la cooperazione fra i paesi del Corno d’Africa erano gettate e sembrava che la pace sarebbe tornata per sempre.
Ma presto arrivò la delusione?
Dal 1991, Meles Zenawi, leader del movimento Tigré, governa l’Etiopia. Non possiede una visione politica. Ricalca la tradizione, governando per i propri interessi e quelli del suo entourage senza tenere conto delle diversità etniche del paese. Inoltre, piuttosto che cercare di adattare le istituzioni ereditate da Mengistu, il nuovo governo si impegna semplicemente a distruggerle. Per esempio, ha smobilitato l’armata del Derg piuttosto che aprire un confronto democratico allo scopo di vedere come le cose potevano evolvere. Di conseguenza, molti ufficiali che avevano trascorso la loro vita nell’arma si sono ritrovati senza lavoro. Il nuovo governo ha semplicemente distrutto il corpo dello Stato etiope. È chiaro che vedendo ciò, all’ambasciatore USA sembrava di toccare il cielo con un dito: l’Etiopia è di nuovo alla mercé degli interessi imperialisti.
La prossima settimana, nell’ultima parte della nostra intervista, Mohamed Hassan ci rivelerà la ricetta dello sviluppo eritreo, come si può salvare l’Africa, perché l’Eritrea è malvista dal potere neocoloniale. Vedremo perché i rapporti fra Eritrea ed Etiopia sono ancora tanto controversi. Infine, discuteremo della questione dei diritti dell’uomo e politici: l’Eritrea è una dittatura?