Acque potabili siciliane è sull’orlo del fallimento. A cinquanta giorni dal referendum Torino si trova a vivere i primi effetti di quel che potrebbe accadere presto su vasta scala.
Smat investe a Palermo, buco da 14 milioni di euro
Per la città è un segnale da non sottovalutare, almeno secondo l’Agenzia per i servizi pubblici locali, che lo scrive nella sua relazione: «Episodi come questo, con le incognite e le turbolenze che può subire un’impresa che voglia fare il suo ingresso sul mercato nazionale e internazionale, potrebbero suggerire alle aziende e alla politica torinese di interrogarsi sui rapporti tra espansione territoriale e collegamenti con il territorio di provenienza, tra crescita del rischio industriale e aumento dell’azzardo al quale viene esposto il patrimonio degli azionisti-contribuenti». Un monito che dà linfa al fronte del «sì» nel referendum sull’acqua del 12 giugno. «Gli atti del Consiglio comunale e le delibere popolari parlano chiaro», ha detto Enzo Cugusi (Sel), presidente della commissione Ambiente, nell’ultima seduta in Sala Rossa. «Vincolano a garantire che la gestione del servizio idrico sia operata senza scopo di lucro ed esclusivamente mediante soggetti interamente pubblici». La battaglia sarà aspra, anche a livello politico.
Il fronte del «sì», in città, aggrega sinistra e buona parte del Pd ma non, ad esempio, il sindaco. Sergio Chiamparino è tra i sostenitori del decreto Ronchi. La sua giunta ha percorso questa strada prima ancora che diventasse obbligatoria, cominciando dal trasporto locale, messo a gara a gennaio. Ora, dovrebbe procedere con rifiuti, energia, e forse anche acqua. Le soluzioni sono due: l’affidamento del servizio tramite gara pubblica o l’individuazione di un socio privato che acquisisca almeno il 40 per cento del capitale.
La prima è più radicale: chi la sostiene è convinto che la concorrenza possa garantire un miglior servizio a tariffe più vantaggiose. Non mancano le incognite: cosa succederebbe se a vincere la gara non fossero le aziende comunali (Amiat, Smat)? Per le casse del Comune sarebbe uno sfacelo: azzeramento del patrimonio e degli investimenti. Gli assertori delle gare replicano che l’azienda comunale potrebbe comunque concorrere alla gestione del servizio per altri enti locali. Insomma, un comune che ha costituito un’azienda per gestire un servizio, affiderebbe la gestione di quel servizio a un’altra società, mentre la sua impresa si farebbe carico dello stesso servizio altrove, con tutti i rischi per la finanza pubblica derivanti da un’attività imprenditoriale di quel tipo. Pura teoria, dirà qualcuno. Secondo molti, a cominciare dall’Agenzia diretta da Carlo Foppa, il rischio c’è. E il caso Palermo lo proverebbe.
http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/399360/
(Andrea Rossi – La Stampa di Torino)