“Mani sporche sulla guerra in Libia”

Ormai sono sempre meno coloro disposti ad accettare la motivazione ufficiale che ministri e bollettini della Nato ripetono come un mantra ossia “la protezione dei civili”.

Mercoledì 11 Maggio 2011 13:30

Mani sporche sulla guerra in Libia

di  Sergio Cararo

Nella guerra di Libia, stanno emergendo una dietro l’altra tutte le assai poco nobili motivazioni che hanno portato le maggiori potenze europee della Nato a scatenare una operazione militare vera e propria contro quello che fino a tre mesi era ritenuto “un membro decisivo del partenariato euro-mediterraneo”.

Ormai sono sempre meno coloro disposti ad accettare la motivazione ufficiale che ministri e bollettini della Nato ripetono come un mantra ossia “la protezione dei civili”. Gli ultimi bombardamenti della Nato poi hanno colpito gli edifici della televisione e dell’agenzia di stampa libica. Cosa hanno a che fare con la “protezione dei civili” a Bengasi o a Misurata? E’ tempo di cominciare a chiamare le cose con il loro nome.

In questo caso sono i fatti – più che le opinioni – a inchiodare le “mani sporche”  dei governi della Nato che hanno riempito il Mediterraneo di navi militari e riempito di missili e bombe le città libiche, siano esse vicine o lontane dal fronte della guerra civile che oppone le milizie di Gheddafi a quelle del Cnt di Bengasi.

  1. La missione militare di “protezione civile” è diventata una caccia all’uomo con bombardamenti che si configurano come tentativi di omicidio mirato contro Gheddafi e i suoi familiari. In pratica siamo di fronte ad un terrorismo di Stato, in qualche modo eccitato dalla vicenda dell’uccisione di Osama Bin Laden, che punta all’eliminazione fisica del “nemico di turno” come presupposto alla soluzione politica o negoziata del conflitto;

  2. La missione di “protezione dei civili” si dissolve qualora i civili assumono le fattezze dei profughi che dall’Africa o dal Maghreb fuggono verso le coste italiane su carrette e mezzi di fortuna. Le navi militari della Nato o li ignorano – e li lasciano morire nella tomba d’acqua del Mediterraneo – o si limitano a lanciare qualche bottiglietta d’acqua o qualche scatola di biscotti. Dopodichè le regole di ingaggio finiscono lì.

  3. L’eliminazione del regime di Gheddafi sta assumendo i contorni di un “grosso affare” in molti sensi. Da un lato il sequestro dei beni finanziari libici all’estero, ha portato nelle casse delle banche dove erano depositate un bottino di quasi 120 miliardi di dollari. Si tratta dei beni della Lia (Lybian Investment Authority), della Central Bank of Lybia e della National Oil Corporation, congelati dalle sanzioni. Per aggirare il divieto di utilizzarli a proprio piacimento, le banche e i governi della Nato hanno escogitato un trucchetto con enormi conseguenze politiche e diplomatiche: hanno dovuto creare un soggetto. E’ questa la spiegazione della fretta con cui alcuni paesi hanno riconosciuto il Cnt di Bengasi. Occorre tener conto che già il 19 marzo (con il conflitto appena iniziato) a Bengasi erano già state costituite la Central Bank of Bengasi e Libyan Oil Company, due soggetti giuridici in grado di dare un quadro legale al sequestro dei beni libici dovuto alle sanzioni.

  4. Nei mesi scorsi, qualcuno deve aver pensato che il presidente francese Sarkozy fosse stato “mozzicato dalla tarantola”. Il suo oltranzismo e la sua fregola, hanno trascinato nei bombardamenti sulla Libia i governi di Usa, Gran Bretagna e poi l’Italia. Qual’era la ragione di questa escalation da parte dell’establishment francese? Alcuni hanno detto che erano ragioni elettorali e di calo di consensi. Come abbiamo visto alcune delle motivazioni erano altre e molto più concrete. Ma ce ne sono altre che attengono al ruolo colonialista della Francia in Africa e che solo in queste settimane sono state portate alla luce e all’attenzione di chi troppo facilmente dimentica il passato e il presente coloniale delle potenze europee (Italia inclusa) nelle relazioni con la sponda sud del Mediterraneo e il continente africano.

    Per la Francia, il fronte libico era del tutto speculare a quello in Costa d’Avorio, il quale nello stesso periodo in cui si è iniziato a bombardare la Libia, ha visto l’intervento militare francese per deporre con la forza l’ex presidente ivoriano Gbagbo. Motivo? Gbagbo, come Gheddafi, per quanto fossero discutibili sul piano democratico, avevano però cercato di sganciare i paesi africani – aderenti all’Unione Africana – da quello che era il Cfe, cioè l’unità di conto monetaria che vincola le economie e addirittura gli accordi commerciali con altri paesi da parte dei paesi africani francofoni …. alle decisioni della Francia. Il cambio di regime in Libia come in Costa d’Avorio sono stati perseguiti sistematicamente e pesantemente dal governo francese sin dall’inizio di tutta la vicenda.

  5. Qualcun’altro si domanderà: ma le rivolte del mondo arabo come si connettono a tutto questo? Una parte della risposta viene dalla filosofia dell’amministrazione Obama su quanto sta accadendo in Medio Oriente: “evolution but not revolution”. La modernizzazione possibile e i cambiamenti che stanno intervenendo in questa regione strategica, possono vedere al massimo una “evoluzione” nel senso della struttura politica con riforme che introducano meccanismi simili (ma non identici) a quelli dei paesi occidentali. Ma guai se dovessero mettere in discussione anche la struttura economico-sociale: rapporti di proprietà, nazionalizzazione delle risorse, distribuzione delle royalties sul petrolio etc. In quel caso altro che rivoluzione democratica, se non dovessero bastare i militari dei vari governi, regimi, monarchie arabe, le cannoniere della Nato sono già posizionate nel Mediterraneo e nel Mar Arabico. Chiaro il segnale?

Se queste osservazioni sono vere – e abbiamo la netta sensazione che lo siano – è evidente come a questo punto la Francia e le altre potenze della Nato perseguano l’omicidio di Gheddafi come un passaggio necessario per far quadrare l’operazione. Ne hanno creato i presupposti legali (la risoluzione dell’Onu, il riconoscimento di un nuovo soggetto di governo attraverso il Cnt di Bengasi) e ne stanno perseguendo la realizzazione con i “bombardamenti mirati”.

A fronte di tale presupposto e di tale evoluzione della guerra, chi accetta ancora di nascondersi dietro il dito della “protezione dei civili” è un complice di una operazione di stampo nitidamente coloniale che – esattamente un secolo dopo l’invasione italiana della Libia – si sta realizzando sotto i nostri occhi tra l’inerzia e la complicità delle “forze democratiche” e le grandi difficoltà che incontra il movimento contro la guerra in un contesto in cui “l’imperialismo cattivo” stavolta non è quello statunitense ma quello dal “volto umano” della nostra cara, vecchia e maledetta Europa.

Domenica prossima, a Roma, le reti del movimento No War che non hanno rinunciato a mobilitarsi contro questa guerra dal carattere sempre più palesemente coloniale, terranno una nuova assemblea nazionale per discutere come gettare sabbia e indignazione dentro questo ingranaggio. Ci si vede alle ore 10.00 in via Galilei 53. E’ un appuntamento che pochi possono permettersi il lusso di perdere.

http://www.contropiano.org/it/archivio-news/editoriale/item/1246-mani-sporche-sulla-guerra-in-libia

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