“Cgil. Il lupo perde il pelo ma non il vizio”

Mai è stato firmato un accordo così pesante e carico di significati politici contro il movimento dei lavoratori. Ma davvero era così imprevedibile?

 

La fine di fatto del contratto nazionale ridotto al lumicino, le RSU che mantengono la riserva di un terzo alle organizzazioni firmatarie rendendo così impossibile ogni pronunciamento democratico, la discrezionalità delle aziende sulla certificazione delle deleghe, l’innalzamento di fatto nel Pubblico Impiego della soglia di rappresentanza a ben oltre il 5 % sono solo alcuni elementi sui quali non ci soffermiamo ma che, peraltro, vengono ben analizzati negli altri articoli pubblicati sul nostro giornale in questi giorni.

Questo esito, per quanto negativo e foriero dell’incrudimento della lotta di classe “dall’alto”, era prevedibile ed, anzi, da qualcuno era stato previsto. Non era infatti credibile pensare ad una CGIL che ritornasse su i suoi passi ritrovando una funzione di lotta e di rilancio della democrazia nei posti di lavoro. Quanti lo hanno fatto, ancora una volta, dovranno rivedere le proprie valutazioni a meno che non siano stati già avvolti dalle “spire” concertative che qualche briciola comunque la distribuiscono.

Nella lettura delle vicende sindacali di questo ultimo decennio c’è una distorsione che impedisce di capire le dinamiche reali. Si continua, infatti, a dare attenzione politica ad un pendolo che va verso l’unità sindacale di CGIL, CISL,UIL quando c’è la crisi di Berlusconi ma poi si sposta verso la rottura di questa unità, quando il centrodestra riacquista forza. Il problema è il non vedere, o voler vedere, che questo segna l’ora sempre sullo stesso orologio. Fuor di metafora il dibattito a sinistra e nel movimento sindacale si concentra sulla contingenza e non guarda mai ai processi reali che si chiamano costituzione della superpotenza europea (diffidate sempre di chi si lamenta dell’assenza dell’Europa politica), ai processi di concentrazione delle multinazionali europee, alla gerarchizzazione tra gli Stati ed alla ingerenza sistematica negli affari degli Stati più deboli a cominciare dalle politiche di bilancio con il ricatto dei debiti sovrani. E’ questa l’Unione Europea reale e non quella che viene vagheggiata spesso anche a sinistra.

La Grecia, La Spagna, il Portogallo, l’Irlanda sono lì a testimoniarlo non possiamo che aspettarci altri “esempi” di questo tipo nei prossimi mesi a partire dall’Italia, dove con il trucco della manovra a scoppio ritardato di Berlusconi, il paese continua ad essere una preda possibile delle speculazioni finanziarie, belve mai sazie nella dimensione finanziaria e globalizzata dell’odierno capitalismo. Confindustria, CGIL,CISL, UIL non sono naturalmente “cattivi” ma sanno bene che la crisi economica e una rappresentanza addomesticata sono le due facce della stessa medaglia se vogliono controllare il conflitto di classe che in un modo o nell’altro si farà strada nei posti di lavoro e nella società.

Non possiamo comunque negare che l’ondeggiare di quel pendolo qualche confusione l’abbia prodotta tra chi in questi ultimi mesi pensava che si stessero creando le condizioni soggettive, con la copertura più o meno aperta della Cgil, per rilanciare il conflitto di classe e sociale in Italia. La Fiom in questo caso ha certamente condotto una battaglia dura e per certi versi inevitabile cercando di evocare un conflitto diffuso che rivedesse un protagonismo della classe operaia di fabbrica dentro uno scontro più generale. Questo dato va indubbiamente riconosciuto, ma ci sono elementi che non possono essere rimossi dalla valutazione complessiva.

Alcuni di questi hanno un carattere tattico. Infatti come ha potuto la Fiom inserire nel suo disegno di legge di iniziativa popolare sulla democrazia sindacale il criterio dei firmatari di contratto? Perché si è messa attorno al collo quel cappio che poi Marchionne ha stretto? Inoltre come poteva pensare di fare un gioco spericolato come quello che è stato fatto alla Bertone dove i delegati Fiom della RSU davano indicazione di votare Si al referendum mentre il nazionale diceva il contrario, addirittura rivendicando questo fatto come sintomo di intelligenza politica e non valutandolo per quello che è stato ovvero un preoccupante segno di debolezza?

Essendo questi elementi tattici hanno certamente un valore relativo, ma ce ne sono di più strutturali che sono stati politicamente e culturalmente rimossi dai settori di classe presenti nella Cgil. Come si può oggi ipotizzare una ripresa del conflitto di classe senza analizzare e capire quello che è realmente il ruolo della classe operaia di fabbrica in un paese come l’Italia, parte organica di un polo imperialista come quello europeo? La modifica quantitativa ma soprattutto qualitativa della composizione di classe del mondo del lavoro quali problemi comporta sul piano politico e del progetto sindacale? Di fronte alla radicale trasformazione dei modi in cui si utilizza la forza lavoro – la quale rimane sfruttata e subordinata in questa società al di là di ogni illusione politica – come si deve modificare la struttura e la forma di un sindacato di classe moderno? Come incide la dimensione disgregata e metropolitana della forza lavoro in questo progetto di ricostruzione del sindacato di classe? Purtroppo ci sembra che si sia fuori tempo massimo per dare risposte concrete alle modifiche strutturali avute e le forze come la Fiom hanno oggi a disposizione solo spazi tattici, i quali inevitabilmente verranno sempre più ridotti come dimostra “l’avviso comune”, al di là dei possibili ma contingenti ritorni di fiamma del conflitto.

Quello che vale per la Fiom ha ancora più valore per quelle parti di movimento che hanno ricercato un rapporto diretto con la Cgil, trovandosi così oggi nuovamente spiazzati e in modo ancora più evidente, a meno che non decidano essi stessi di seguire la strada indicata dalla Camusso. Se va detto che l’esito di questo scontro era prevedibile, non era invece scontato, almeno sul piano della ricostruzione di un fronte di lotta più solido e strategico. Invece ancora una volta è intervenuto il “tic” storico della sinistra: quello del politicismo, del tatticismo, del movimento a “schiuma frenata” come è stato lo sciopero generale del 6 Maggio, richiesto a gran voce per molti mesi e fatto quando chi lo chiedeva era rimasto senza voce. Dal 6 maggio al 28 giugno sono passati solo 53 giorni, uno schizzo temporale nel quale si è guardato altrove mentre la Cgil preparava pubblicamente il patto sociale che cercherà di imbrigliare il conflitto sociale e di sotterrare la democrazia sindacale.

Mauro Casadio (Rete dei Comunisti)

 

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