“In Libia proteggere i detenuti dalla tortura”

Amnesty International si e’ appellata a entrambe le parti coinvolte nel conflitto in corso in Libia chiedendo loro di proteggere i detenuti dalla tortura.

COMUNICATO STAMPA CS79-2011

LIBIA: ENTRAMBE LE PARTI IN CONFLITTO DEVONO PROTEGGERE I DETENUTI DALLA TORTURA

Amnesty International si e’ appellata a entrambe le parti coinvolte nel conflitto in corso in Libia chiedendo loro di proteggere i detenuti dalla tortura. Una delegazione di Amnesty International, giunta in Libia martedi’ 23 agosto, ha raccolto testimonianze di detenuti che hanno subito torture sia da parte dei soldati pro-Gheddafi che da parte delle forze ribelli nella zona di Az-Zawiya.

Testimonianze di violenze commesse dalle forze ribelli

Contro soldati pro-Gheddafi

Martedi’ 23 agosto, Amnesty International ha incontrato rappresentanti delle forze ribelli nei locali della scuola Bir Tirfas, usata ora come centro di detenzione per i soldati pro-Gheddafi e per presunti mercenari e civili fedeli al colonnello.

I rappresentanti delle forze ribelli hanno dichiarato che le violazioni dei diritti umani commesse sotto il precedente regime non si ripeteranno. Hanno aggiunto che tuteleranno il diritto dei detenuti a essere trattati con dignita’ e che questi riceveranno processi equi.

Un ragazzo, intervistato da Amnesty International in una cella sovraffollata in cui 125 persone riuscivano a malapena a muoversi e a dormire, ha raccontato come ha risposto all’appello del governo di Gheddafi a prendere le armi contro l’opposizione. Ha dichiarato di essere stato trasportato a un campo militare di Az-Zawiya e che gli e’ stato messo in mano un kalashnikov, che non sapeva minimamente come usare:

“Quando la Nato ha bombardato il campo, il 14 agosto, i sopravvissuti sono fuggiti. Ho abbandonato il mio fucile e ho chiesto riparo in una casa nei dintorni; ho raccontato ai proprietari cosa mi era successo e loro devono aver chiamato i thuuwar (i rivoluzionari”), perche’ sono arrivati subito dopo. Mi hanno chiesto di arrendermi e ho alzato le mani. Mi hanno fatto inginocchiare e mettere le mani dietro la testa. Poi uno mi ha detto di alzarmi. Quando l’ho fatto, mi ha sparato da corta distanza a un ginocchio. Sono caduto per terra e hanno continuato a picchiarmi col calcio dei loro fucili su tutto il corpo e in faccia. Mi hanno medicato con tre punti dietro l’orecchio sinistro. Nel centro di detenzione, di tanto in tanto continuavano a picchiarci, chiamandoci assassini”.

Un appartenente alle forze di sicurezza di Gheddafi ha riferito ad Amnesty International di essere stato rapito da un gruppo di uomini armati, il 19 agosto, mentre stava portando rifornimenti alle forze pro-Gheddafi. Ha affermato di essere stato picchiato su tutto il corpo col calcio dei fucili, preso a pugni e a calci. Il suo aspetto rendeva credibile la testimonianza. Ha proseguito dicendo che nel centro di detenzione, le percosse erano meno frequenti e brutali ma dipendeva da chi era di guardia.

Contro lavoratori migranti

Secondo i responsabili del centro di detenzione di Az-Zawiya, un terzo dei prigionieri e’ costituito da “mercenari stranieri”, tra cui cittadini del Ciad, del Niger e del Sudan.

Quando Amnesty International ha parlato con diversi di loro, hanno affermato di essere lavoratori migranti, arrestati nelle loro case, sul posto di lavoro o semplicemente a causa del colore della pelle.

Nessuno indossava uniformi militari. Hanno detto di temere per la loro vita poiche’ i loro rapitori e le guardie li hanno minacciati di “essere eliminati o condannati a morte”.

Cinque parenti di una famiglia del Ciad, tra cui un minorenne, hanno dichiarato ad Amnesty International che il 19 agosto stavano guidando verso una fattoria fuori Az-Zawiya per fare un po’ di raccolto, quando sono stati fermati da un gruppo di uomini armati, alcuni dei quali in divisa militare. Gli uomini armati hanno presunto che si trattasse di mercenari e li hanno portati al centro di detenzione, nonostante il loro autista avesse dato assicurazioni che erano lavoratori migranti.
Un uomo di 24 anni, del Niger, che risiedeva e lavorava in Libia da cinque anni, ha raccontato ad Amnesty International di essere stato rapito dalla sua abitazione da tre uomini armati il 20 agosto. Ha riferito di essere stato ammanettato, picchiato e messo nel portabagagli di una vettura. “Non sono minimamente coinvolto in questa guerra. Tutto quello che volevo era trovare un modo di vivere. Ma a causa del colore della mia pelle, mi trovo qui in carcere. Chi sa cosa mi accadra’ ora…”

Testimonianze di violenze commesse dalle forze pro-Gheddafi

La delegazione di Amnesty International ha scoperto prove di stupri commessi contro i detenuti nella famigerata prigione di Abu Salim, a Tripoli. Ex detenuti hanno dichiarato di aver visto giovani uomini portati fuori dalle celle di notte e rientrati diverse ore dopo con l’aspetto stravolto.

Due ragazzi hanno riferito ai compagni di cella di essere stati stuprati da un secondino. Secondo un ex detenuto, “uno dei ragazzi era in pessime condizioni dopo essere stato riportato in cella. I vestiti erano strappati, era quasi nudo. Ci ha detto che era stato stuprato. e’ accaduto a quei due ragazzi per diverse volte”.

Migliaia di uomini, tra cui civili estranei ai combattimenti, sono “scomparsi” durante il conflitto dopo essere stati presi dalle forze pro-Gheddafi. Le loro famiglie vivono da mesi nell’angoscia di non conoscere la loro sorte.

Coloro che sono stati liberati dalle carceri di Tripoli e di Sirte raccontano storie di tortura. Hanno descritto ad Amnesty International di essere stati picchiati con cavi di metallo, manganelli, bastoni e di essere stati sottoposti a scariche elettriche.

I delegati di Amnesty International hanno anche incontrato uomini che hanno riferito di essere stati feriti a colpi di pistola dai soldati pro-Gheddafi dopo che erano stati catturati e dunque non costituivano piu’ alcuna minaccia. Un uomo catturato nei pressi di Ajdabiya il 21 marzo ha raccontato che i suoi rapitori lo hanno bendato e lo hanno seviziato inserendo una canna di fucile nel suo ano.

FINE DEL COMUNICATO

Roma, 26 agosto 2011

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