Quanto segue è stato scritto due anni fa da Claudio Giusti, ma mantiene completamente la sua attualità.
23 agosto 2009
23 agosto 1927
Il Massachusetts uccide Sacco e Vanzetti
In re Troy Anthony Davis
E’ difficile non farsi coinvolgere emotivamente dalla ventennale saga giudiziaria di Troy Davis e impossibile non essere sedotti dalla sua avvincente trama, in particolare ora che la Corte Suprema è entrata nella vicenda con un clamoroso coup de théâtre.
Lunedì 17 agosto 2009 la suprema corte americana ha interrotto il suo lungo riposo estivo e, prendendo il considerazione per la prima volta in mezzo secolo un appello diretto (original writ of habeas corpus), ha ordinato alla Corte Distrettuale Federale della Georgia del sud di tenere una evidentiary hearing allo scopo di verificare le attestazioni d’innocenza di Davis.
La notizia è esplosa come una bomba sui media americani e noi Scotus maniaci non stiamo nella pelle all’idea della quantità di dotti articoli che produrrà la sentenza ”In re Troy Anthony Davis”. Roba da trasformare Kennedy v Louisiana in un gioco da bambini visto che la questione giudiziaria va ben al di là della sorte di Davis e coinvolge trent’anni di consolidata giurisprudenza americana. Trent’anni nei quali le Corti Supreme Statali, e soprattutto quella federale, hanno introdotto una quantità di strumenti legali atti a impedire ai condannati a morte di sfruttare più di tanto le possibilità di appello. Per non parlare poi del presidente Clinton che, in combutta col Congresso e con la scusa del terrorismo, ha prodotto (1996) quell’oscenità giudiziaria dell’Antiterrorism and Effective Death Penalty Act.
Abuse of the writ, actual innocence, AEDPA, audita querela, cause and prejudice, finality, harmless errors, new rule, newly discovered evidence, non retroactivity, plain error doctrine, procedural default, Teague vs Lane: l’appello capitale americano è diventato un campo minato in cui solo un numero esiguo di giuristi è in grado di orientarsi. Troy Davis è da un pezzo arrivato alla fine del percorso ed è un miracolo che non sia stato ucciso tempo fa. Ben vengano quindi le ardite chicanery della Scotus e le sue rotture dello stare decisis, anche se la situazione è senza sbocco: perché se Davis è innocente, ma non lo può dimostrare, l’ammazzano e, nel caso sia innocente, perché non l’ha dimostrato a tempo debito? E così l’ammazzano lo stesso.
Ma la Corte Suprema, nonostante Anthony Scalia (nota), è terrificata dall’idea di avere un non colpevole sul patibolo ed è alla ricerca di una via d’uscita nel ginepraio giuridico da lei stessa prodotto. Per ironia della sorte Troy Anthony Davis è stato relativamente fortunato nel ricevere la condanna a morte: perché, se avesse avuto l’ergastolo, ora starebbe con gli altri 140.000 lifers in mezzo ai duemilionicinquecentomila che affollano l’American Gulag e nessuno avrebbe mai sentito parlare di lui.
Però.
In tutto questo, cosa ci facciamo noi abolizionisti?
Non siamo certamente noi a doverci preoccupare dell’actual innocence di Davis e l’idea di una persona non colpevole avviata al patibolo dovrebbe togliere il sonno ai forcaioli e non certamente a chi la pena capitale la vuole eliminare.
Capisco l’emozione e la passione degli abolizionisti americani, ma questa campagna mi lascia perplesso; forse perché sono solito occuparmi di colpevoli e, nei due anni in cui Troy ha monopolizzato l’interesse, il boia americano non si è certo risparmiato e fra le sue vittime non sono state poche quelle che hanno protestato, fino all’ultimo respiro, la propria innocenza.
Io sono un vecchio cattivo e cinico e per me nel braccio della morte non ci sono innocenti, ma persone da salvare in nome della giustizia, dell’umanità e dell’equità. Inoltre il caso di Troy Davis ripropone, in forma leggermente diversa, il “Paradosso Bernabei”:
Le nuove udienze non modificano la sentenza e Troy viene ucciso in serena coscienza. Oppure è riconosciuto non colpevole e lo liberano affermando che il sistema ha funzionato e ammazzano tranquillamente gli altri condannati perché questi sono colpevoli. Oppure il Board of Pardons si convince della sua possibile innocenza e concede la grazia, intanto che gli altri sono uccisi perché nessuno si è mosso per loro.
Comunque è oramai evidente che gli stati americani aboliranno la pena capitale per i motivi sbagliati (costo, innocenti, ecc.) e che ci dobbiamo adattare, ma per noi abolizionisti questa è una partita pericolosa e dobbiamo sapere come giocarla. Dobbiamo avere ben chiari e saldi i nostri principi morali ed essere estremamente preparati sui duri fatti dell’applicazione della pena di morte che sono, sia ben chiaro, sempre a nostro favore. Se così poi forniamo all’opinione pubblica statunitense delle buone ragioni pratiche per l’abolizione non c’è nulla di male.
Claudio Giusti
Nota
Il giudice Scalia ha scritto nella sua dissenting opinion che la corte di cui fa parte non ha mai affermato che l’uccisione di un innocente è incostituzionale.
“This court has never held that the Constitution forbids the execution of a convicted defendant who has had a full and fair trial but is later able to convince a habeas court that he is ‘actually’ innocent. Quite to the contrary, we have repeatedly left that question unresolved, while expressing considerable doubt that any claim based on alleged ‘actual innocence’ is constitutionally cognizable.”
http://www.scotusblog.com/wp/wp-content/uploads/2009/08/Scalia-opin-Davis.pdf
http://www.scotusblog.com/wp/wp-content/uploads/2009/08/court-order-Davis.pdf
per il significato dei termini giuridici vedi:
http://www.osservatoriosullalegalita.org/special/usjus2/005us1-A.htm
http://www.astrangefruit.org/index.php/it/
http://www.osservatoriosullalegalita.org/special/penam.htm
Membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla Legalità e i Diritti, Claudio Giusti ha avuto il privilegio e l’onore di partecipare al primo congresso della sezione italiana di Amnesty International ed è stato uno dei fondatori della World Coalition Against The Death Penalty.