Gli “spettri” nascosti nel blitz operato con la nascita del governo Monti, cominciano ad essere intravisti anche da osservatori assai diversi da noi.
L’esecutivo dei “tecnici”, su mandato dei poteri forti europei, ha indubbiamente allontanato dallo scenario una variante inguardabile come Berlusconi, ma ha creato uno “stato d’eccezione” che sta suscitando perplessità crescenti e allarmi niente affatto scontati.
Gli editoriali usciti oggi contemporaneamente sui due maggiori quotidiani nazionali – La Repubblica e Corriere della Sera, a firma del costituzionalista Gustavo Zagrebelski e di Ernesto Galli della Loggia – esprimono con inusuale sincronia la medesima preoccupazione sullo strappo consumato all’assetto costituzionale che regge il nostro paese da sessantatre anni. Lo stato d’eccezione introdotto per spianare al governo dei tecnici – con l’aperta regia extraistituzionale degli apparati europei e l’imprimatur del Presidente Napolitano – delinea non solo una rottura del meccanismo della rappresentanza, ma introduce anche un pericoloso precedente che mina in profondità l’assetto democratico del paese.
Prendiamo a prestito le conclusioni di Zagrebelski (vedi i testi integrali in altra parte del giornale) perchè sembra difficile trovare parole migliori per indicare il problema e, soprattutto, le conseguenze. «Gli storici avrebbero molto da dirci sulla miscela perversa di crisi sociale e alienazione politica, cioè sulla rottura del nesso che i partiti devono creare tra società e Stato. Non che la storia sia il prodotto di leggi ineluttabili, ma certo fornisce numerosi esempi, nemmeno tanto lontani nel tempo: nel nostro caso, esempi – che sono ammonimenti – del disastro che si produce quando le forze della rappresentanza politica e sociale si ritirano a favore di soluzioni tecnocratiche, apparentemente neutrali, né di destra né di sinistra, al di sopra delle parti. Può essere che in queste considerazioni ci sia una piega di pessimismo, ma vale l’ammonimento: non tutti gli ottimisti sono sciocchi, ma tutti gli sciocchi sono ottimisti. E allora? Allora, il rischio è che, “quando tutto questo sarà finito” ci si ritrovi nel vuoto di rappresentanza. Una certa destra nel vuoto si muove molto bene, per mezzo di qualche facilissima trovata demagogica. Il vuoto, invece, a sinistra ha bisogno di ben altro, cioè di partecipazione e di fiducia da riallacciare tra cittadini, e tra cittadini e quelle istituzioni che esistono per organizzare politicamente i loro ideali e interessi».
Nel sistema democratico-liberale, partiti e sindacati (al di là dei riferimenti ideali e delle pratiche contrattuali) sono “corpi intermedi” che collegano società e Stato, mediando interessi diversi verso la “sintesi” della politica capace di governare. Se vengono bypassati – per un periodo lungo o brevissimo, è relativamente meno importante – allo scopo di “politiche lacrime e sangue”, si crea una frattura tra governanti e governati che non può essere ricomposta. Di sicuro, non “a costo zero”. Passata la buriana, insomma, non si ricomincia con campagne elettorali “eleganti” tra partiti educati e civili. Perché quelle “lacrime” e quel “sangue” richiedono ora una rappresentanza non virtuale. E altrettanto radicale.
La questione sollevata costringe dunque a ritarare le valutazioni sul governo Monti. Non più e non solo sul versante della macelleria sociale “unilaterale” che sta mettendo in atto, ma anche sul piano della minaccia al tessuto democratico. Monti ha reso palesemente “iniqua” la manovra scendendo a patti in via riservata con gli interessi sociali del blocco berlusconiano (frequenze tv gratuite, niente patrimoniale, niente prelievo ulteriore ai redditi più alti, esenzione dall’Ici e dalla rivalutazione delle rendite catastali al Vaticano etc.) mentre ha chiuso le porte – pubblicamente – ad ogni istanza di equità timidamente sollecitata dai sindacati o dal Pd.
Il ministro Fornero ha cominciato ad assomigliare a una Gelmini o un Sacconi, annunciando cose non vere (come “il nostro obiettivo è garantire pensioni più alte per i più giovani”; in quale articolo della manovra è scritto, madame?) e cose vere ma socialmente infami, come l’annunciato attacco alla progressione salariale sulla base dell’anzianità di servizio.
Fin qui siamo ancora al “normale” scontro tra interessi di classe contrapposti, con un governo che nasce e agisce in nome di una parte di questi interessi (quelli dei ricchi) contro altri (dei settori popolari), per redistribuire in modo fortemente ineguale reddito e ricchezza.
Ma c’è qualcosa di peggio. Sulla base dello stato di eccezione costruito intorno alla crisi e al rischio default, il governo Monti sta procedendo allo smantellamento della rappresentanza democratica (pesantemente delegittimata durante la fin troppo lunga stagione berlusconiana) e degli istituti che regolano il rapporto tra Stato e cittadini, trasformando questi ultimi in sudditi e “risorsa da spremere”.
E’ un radicale cambiamento di paradigma rispetto allo Stato repubblicano, in Italia e in Europa. Dà il fischio d’inizio a un gioco pericoloso, molto pericoloso. Anche perchè i giocatori che al momento hanno tutte le carte in mano non sembrano essere del tutto competenti in materia (si veda il clamoroso incidente sulla riduzione delle indecenti indennità parlamentari, inserito in modo dilettantesco in un decreto legge) e dànno il ritmo con una notevole dose di avventurismo.
Azzerare la politica e la mediazione sociale può sembrare – nell’alto dei cieli della Trilaterale o del Bilderberg – una mossa furba, uno “spariglio” che mette alle strette e disgrega una classe politica dominata da cacicchi senza orizzonte strategico e cavallette succhia-risorse. Ma ogni “spariglio” apre una crepa che, sul finale di partita, dà un risultato sorprendente. Dice il vecchio andante: “contro il popolo non si governa”. Nemmeno se, dall’alto dei cieli, si pensa di poterlo comunque fare. Con i droni.
Sergio Cararo
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