Comunicato n. 20/2013 – 07.11.13
Novembre 1917 – 2013: 96° Anniversario della Rivoluzione d’Ottobre
La verità è rivoluzionaria e la verità è che la rivoluzione non scoppia: si costruisce
“La borghesia imperialista, la Corte Pontificia con il suo clero, le Organizzazioni Criminali all’interno e i padrini esterni dell’attuale regime, gli imperialisti USA e i gruppi sionisti d’Israele, marciano verso destra, verso la mobilitazione reazionaria delle masse popolari, la guerra infinita e la reazione più nera. Con oscillazioni e titubanze perché è ancora viva la memoria di come per loro è finita male con il fascismo e il nazismo, ma quella è la direzione in cui i loro interessi e la loro natura li spingono.
Le masse popolari non hanno altra via d’uscita dall’attuale marasma economico, politico, sociale, morale, intellettuale e ambientale che instaurare il socialismo e riprendere a un livello superiore la strada indicata dai primi paesi socialisti.
Queste sono le due direzioni alternative, entrambe possibili e realistiche, per il nostro paese. In entrambi i casi nulla da fare per la sinistra borghese. Ma quale delle due direzioni prevarrà?
Nessuna delle due direzioni traccia un percorso che inevitabilmente gli avvenimenti seguiranno. Nessuno può garantire che le cose andranno in un modo piuttosto che nell’altro, perché il percorso che effettivamente gli avvenimenti seguiranno sarà determinato in primo luogo dall’azione che noi comunisti svilupperemo, dalle forze che riusciremo a mobilitare e a organizzare in primo luogo tra gli operai e in secondo luogo tra le altre classi delle masse popolari, da quanto svilupperemo con creatività e concretezza la guerra popolare rivoluzionaria che è la sola via per instaurare il socialismo, dallo sviluppo della resistenza delle masse popolari dei paesi oppressi e dalla rinascita del movimento comunista nel mondo, dall’atteggiamento del governo e delle varie componenti della borghesia, del Vaticano, degli imperialisti USA e dei vari altri attori del campo della borghesia imperialista.
Il maggior ostacolo a che le masse popolari imbocchino con decisione la strada dell’instaurazione del socialismo sta nelle arretratezze di noi comunisti, nei nostri limiti intellettuali e morali: della nostra comprensione delle caratteristiche, delle forme e dei risultati della lotta di classe in corso a livello nazionale e internazionale e della nostra determinazione e audacia nello spingerla in avanti. Uno dei grandi limiti dei comunisti è il peso che ha l’economicismo nelle nostre file” (dal comunicato del (n)PCI, 1° luglio 2008).
L’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre nel nostro paese cade in un periodo in cui da una parte l’aggravarsi del marasma economico e politico della crisi e dall’altra i risultati delle manifestazioni e delle altre mobilitazioni di ottobre (e in generale lo sviluppo della lotta di classe) mettono sul piatto in maniera più accesa e concreta il problema del “che fare” per cambiare il corso delle cose.
L’orientamento delle organizzazioni operaie e popolari, e in particolare degli operai e degli altri lavoratori comunisti, rappresenta l’aspetto decisivo e, nello stesso tempo, è una questione concreta (di impegni, decisioni, azioni, operazioni, battaglie in cui si traduce).
Di solito le celebrazioni della Rivoluzione d’Ottobre si concentrano sul durante e sul dopo (la presa del palazzo d’Inverno, il nuovo corso di civiltà e progresso a cui essa ha aperto la strada per le masse popolari in Russia e nel resto del mondo) e trascurano il prima, cioè la lotta condotta dai bolscevichi con alla testa Lenin per costruire la rivoluzione in Russia e, soprattutto, l’accanita e sistematica lotta ideologica per affermare nel movimento rivoluzionario russo una teoria, un orientamento e una linea giusti. In proposito sono celebri le polemiche di Lenin contro le deviazioni (estremismo, economicismo, parlamentarismo, ecc.) che intralciavano il cammino verso la rivoluzione. Una delle più estese, importanti e insidiose deviazioni è stata quella dell’economicismo.
Che cos’è l’economicismo
E’ la concezione che limita la lotta di classe alle rivendicazioni di miglioramenti salariali e delle condizioni di lavoro, quindi non distingue e di conseguenza non combina in modo efficace le lotte rivendicative (lotte rivendicative sindacali, cioè per strappare salari e condizioni di lavoro migliori o per difendere diritti e conquiste dalla rapina del singolo padrone e lotte rivendicative politiche, cioè per imporre allo Stato leggi e regole a proprio favore o per contrastare leggi e misure che danneggiano gli operai) e la lotta politica rivoluzionaria (quella per conquistare il potere). Ci sono diverse sfumature di economicismo.
A un estremo c’è chi identifica la lotta politica degli operai con le loro lotte rivendicative e riduce il compito dei comunisti a quello di promotori e organizzatori delle lotte rivendicative. E’ chiaro che questa concezione va bene ai capitalisti e alle loro autorità: se proprio non possono impedire ai lavoratori di lottare contro i capitalisti e vietare che si associno per questo, allora cercano di fare in modo che i lavoratori si limitino alle lotte rivendicative e non mettano in discussione il potere dei capitalisti. All’altro estremo c’è chi concepisce la conquista del potere e l’instaurazione del socialismo come risultato dell’ampliamento della partecipazione delle masse alle lotte rivendicative (“unire le lotte”) o come risultato di lotte rivendicative che si pongono obiettivi sempre più elevati e “incompatibili” con gli interessi della borghesia (“estremizzare i contenuti”) o come risultato dell’impiego nelle lotte rivendicative di forme di lotta più combattive e vietate alle masse popolari dalle leggi della borghesia (“radicalizzare le forme di lotta”) o come combinazione di questi ultimi tre fattori.
Che sia fondamentale fare lotte rivendicative è la concezione dei lavoratori che non si rassegnano più ai maltrattamenti cui sono sottoposti, ma che non sono ancora arrivati a concepire di poter fare a meno del padrone, di poter togliere al padrone il potere che ha e di poterlo prendere nelle proprie mani. Gli economicisti fanno diventare questa condizione una linea.
Alla lotta contro l’economicismo Lenin ha dedicato alcune delle sue pagine più famose, in particolare il citatissimo “Che fare?” del 1902. Tanti compagni, organizzazioni, partiti si richiamano (e giustamente) a Lenin, ai suoi insegnamenti, al suo ruolo dirigente nel primo assalto al cielo (la costruzione del socialismo in Russia, un paese immenso e ancora in gran parte arretrato) che diede il via alla prima ondata della rivoluzione proletaria che sconvolse il mondo. Ma richiamarsi a Lenin, alla sua esperienza e alla sua opera, tirarlo per la giacchetta, citarlo (come fanno in tanti: dal PRC/PdCI a Proletari Comunisti, dalla Rete dei Comunisti e Ross@ agli esponenti della sinistra CGIL e dei sindacati di base, da Sinistra Anticapitalista al PCL, passando anche per le aree più esplicitamente antipartito) non si traduce automaticamente nel farne propri e applicarne gli insegnamenti nelle concrete condizioni di oggi per costruire la rivoluzione socialista nel nostro paese. Anzi, per tanti versi ci troviamo in una situazione in cui quella malattia antica del movimento comunista si ripresenta in tutta la sua virulenza, l’economicismo è un “problema scottante del nostro movimento” tanto che (salvo cambiare i nomi e gli episodi usati come esempi) il “Che fare” del 1902 sembra fresco di stampa!
Una delle parole d’ordine più diffuse degli economicisti è “politicizzare le lotte sindacali”, ma “la socialdemocrazia rivoluzionaria (oggi diremmo i comunisti ndr) ha sempre compreso e continua a comprendere nella propria azione la lotta per le riforme, ma approfitta dell’agitazione economica non soltanto per presentare al governo rivendicazioni di ogni genere, ma anche (e innanzitutto) per rivendicare la soppressione del regime autocratico. (…) Insomma essa subordina la lotta per le riforme alla lotta rivoluzionaria per la libertà e il socialismo, come la parte è subordinata al tutto”.
Ai comunisti che riversano la loro azione nell’elaborare piattaforme rivendicative, Lenin oppone che “dobbiamo occuparci attivamente dell’educazione politica della classe operaia” perché “l’elevazione dell’attività delle masse operaie è possibile soltanto se non ci limitiamo all’agitazione politica sul terreno economico”.
La classe operaia per emancipare se stessa deve emancipare tutte le masse oppresse, deve essere “elevata” a occuparsi di tutto quello che si muove nella società. Questo vuol dire portare la parola d’ordine della soluzione politica che dà prospettiva anche alle rivendicazioni e ai bisogni immediati e urgenti, nel contesto di una crisi in cui la borghesia sta eliminando una dopo l’altra le conquiste che avevamo strappato quando il movimento comunista era forte in Italia e nel resto del mondo; usare le lotte economiche come una scuola di comunismo, per educare e organizzare alla necessità di prendere in mano le sorti del paese, quindi della società nel suo complesso, per trasformarlo.
L’economicismo va a braccetto con tutta una serie di altri “scivoloni”. La sfiducia nelle masse popolari che non capirebbero altri discorsi che quelli terra terra dei bisogni primari, la tendenza a mitizzare il “movimento spontaneo” e a seguirlo invece che dirigerlo (lasciandolo a un livello oltre il quale, spontaneamente, non potrà andare). La sottovalutazione della teoria rivoluzionaria, grazie alla quale oggi ci ritroviamo a fare i conti con gli stessi errori di 100 anni fa. La libertà di critica che non significa “la sostituzione di una teoria con un’altra, ma libertà da ogni teoria coerente e ponderata, eclettismo e mancanza di principi”, unita al rifiuto di sottoporsi alla critica e all’autocritica, perché l’economicista “non vede di buon occhio ogni discussione teorica, (…) ogni vasta questione politica, ogni progetto di organizzare i rivoluzionari”.
Spesso gli economicisti odierni contrappongono alla linea del Governo di Blocco Popolare che loro sono per il socialismo. Poi, però, siccome per il socialismo non ci sono le condizioni soggettive, di coscienza e di organizzazione delle masse popolari (la rete di organismi della classe operaie e delle altre classi delle masse popolari raccolte intorno al partito comunista, un certo grado di consolidamento e rafforzamento del movimento comunista e del partito comunista), anziché occuparsi di crearle si limitano a organizzare manifestazioni, scioperi, proteste, referendum, assemblee e riunioni, denunce, campagne d’opinione in appoggio all’una o all’altra rivendicazione… e per l’instaurazione del socialismo possiamo aspettare e sperare! Con buona pace di Lenin, che dando voce agli operai del suo tempo, affermava “bisogna quindi che gli intellettuali ci ripetano un po’ meno ciò che sappiamo già e ci diano un po’ di più di ciò che ignoriamo ancora, di ciò che la nostra vita di fabbrica e la nostra esperienza economica non ci permettono mai di imparare: le cognizioni politiche”. E che il compito dei comunisti non consiste “nell’abbassare il rivoluzionario al ruolo dell’artigiano, ma nell’elevare quest’ultimo al lavoro del rivoluzionario”.
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