Comunicato sul 93° anniversario della fondazione del primo Partito comunista italiano.
Appello del Comitato Centrale del nuovo PCI agli operai avanzati
“Occupare le fabbriche” e “uscire dalle fabbriche”
per mobilitare tutte le masse popolari a porre fine al corso catastrofico delle cose che la borghesia e il clero impongono nel nostro paese!
Questo è l’appello che il nuovo Partito comunista italiano lancia ai lavoratori delle aziende capitaliste in occasione dell’anniversario della fondazione nel primo PCI, a Livorno il 21 gennaio 1921. Questa è la sola via di salvezza per tutte le masse popolari del nostro paese. Chiunque oggi ha potere, influenza, autorità, deve incitare gli operai a compiere questa impresa e sostenerli in ogni modo. Quelli che sperano di rimediare alla catastrofe economica, ambientale, intellettuale e morale che travolge il nostro paese tramite le istituzioni della Repubblica Pontificia o quelle dell’Unione Europea, chi si arrabatta principalmente attorno a leggi elettorali o liste per le elezioni europee, è completamente fuori strada: se ci crede davvero è un ingenuo. Il corso delle cose da cambiare è tale che lo possono fare solo le masse popolari organizzate con un loro governo d’emergenza. Gli operai sono la parte delle masse popolari che può e deve mettersi all’avanguardia della loro mobilitazione e organizzazione per costituire un loro governo d’emergenza, il Governo di Blocco Popolare.
Il corso stesso della crisi del capitalismo pone gli operai in prima linea: o mobilitarsi o essere sbattuti sulla strada. Il corso stesso della crisi del capitalismo crea il terreno d’azione per gli operai avanzati perché mobilitino i loro compagni di lavoro. In questi giorni i capitalisti e le autorità della Repubblica Pontificia minacciano di ridurre, delocalizzare o chiudere centinaia di aziende: dalla Piaggio di Pontedera, all’Electrolux di Pordenone, all’Indesit, agli stabilimenti FIAT che ancora costellano l’Italia da Torino a Termini Imerese. Sono centinaia oggi nel nostro paese le aziende capitaliste già minacciate e altre sono destinate alla stessa sorte se non cambiamo il corso delle cose.
Che cosa possono e devono fare gli operai di fronte a simile minaccia?
L’idea che una qualche riduzione del salario e dei diritti sul posto di lavoro o un qualche alleggerimento fiscale e contributo pubblico sia una soluzione, è da miopi, è non vedere oltre il proprio naso. È la strada della morte lenta, serve solo a tirare in lungo e ad isolare gli operai perché siano liquidati dai padroni fabbrica per fabbrica, un caso alla volta, un po’ per volta, meglio ancora se mettendo una fabbrica contro un’altra.
Non è il costo del lavoro che induce i capitalisti a chiudere, ridimensionare o delocalizzare le aziende: è la crisi generale del capitalismo. Non è il costo del lavoro il fattore principale che determina la convenienza per un capitalista di mantenere aperta un’azienda in un paese piuttosto che investire il suo capitale nel mercato finanziario o trasferire l’azienda in altri paesi. Non è il costo del lavoro il fattore principale che determina la sua convenienza di investire in un paese piuttosto che in un altro. Il costo del lavoro è solo uno dei fattori e neanche il principale. Ancora più che dal costo del lavoro, la convenienza del capitalista dipende dalle prospettive del mercato finanziario, dal livello generale dei prezzi, dalle rendite (affitti di terreni e immobili, interessi, vitalizi e appannaggi, rendite finanziarie, ecc.) e dalle tasse, dal servizio del debito pubblico, dagli interessi bancari, dal corso dei cambi monetari, dai regolamenti vigenti. A sua volta il costo del lavoro non è più determinato principalmente dalla quantità di beni e servizi di cui dispone il singolo operaio: sul salario di ogni operaio gravano gli affitti, le rendite, gli interessi, i profitti, le tasse, le tariffe e il livello generale dei prezzi su cui i monopoli, i brevetti, la pubblicità, le spese generali, il cambio delle monete e altre voci incidono più che il tempo di lavoro.
Gli operai che accettano riduzioni di salario, aumenti di orario e cancellazione di diritti o che ottengono contributi pubblici e sgravi fiscali per il padrone della loro azienda, al massimo guadagnano un po’ di tempo. Non è la competitività dell’azienda impiantata in Italia rispetto ad altri paesi che salva gli operai del nostro paese: prima o poi qualche azienda di un altro paese prenderà a sua volta il sopravvento.
D’altra parte non è solo il salario e i diritti sul posto di lavoro che fanno la vita degli operai: l’inquinamento, la devastazione del territorio, il dissesto idrogeologico, la mancanza di prevenzione dei disastri naturali, le guerre, la decadenza del servizio sanitario, della scuola, dei trasporti, dei servizi per anziani e bambini e degli altri servizi pubblici, la riduzione dei diritti democratici e civili, l’abbrutimento e l’insicurezza generali incidono sulla vita degli operai quanto il salario e i diritti sul posto di lavoro.
Da tempo la fonte principale della ricchezza non è più il tempo di lavoro, ma l’applicazione della scienza e della tecnica alla produzione. Quindi il furto del tempo di lavoro degli operai, la riduzione di salario e l’aumento del tempo di lavoro (la soppressione delle pause di cui Marchionne si è fatto vanto), non è più e non può più essere la legge della produzione. Ostinarsi in un sistema di relazioni sociali che si basa ancora su quella legge, porta a scontrarsi ogni giorno con problemi più gravi. Solo con la lotta per instaurare il socialismo è possibile far fronte alla crisi del capitalismo. Mobilitarsi e organizzarsi per costituire il Governo di Blocco Popolare è un passo su questa strada.
La crisi generale del capitalismo peggiora ovunque nel mondo le condizioni delle masse popolari. La borghesia e il clero da alcuni decenni stanno eliminando in tutto il mondo le conquiste di civiltà e di benessere che le masse popolari, sebbene a livelli diversi, avevano strappato nella prima parte del secolo scorso quando il movimento comunista era forte e avanzava in tutto il mondo nella prima ondata della rivoluzione proletaria scatenata dalla Rivoluzione d’Ottobre e dalla vittoria dell’Unione Sovietica sulle potenze imperialiste. La crisi del 2007 ha accelerato e aggravato il processo. Solo le masse popolari organizzate sono in grado di cambiare questo corso delle cose. Tra tutte le classi sfruttate e oppresse la classe operaia, i lavoratori delle imprese capitaliste, sono più degli altri in grado di porsi alla testa della mobilitazione e organizzazione delle masse popolari per cambiare il corso delle cose. Lo devono fare!
Gli operai avanzati devono formare in ogni azienda organismi operai (OO) che si occupino sistematicamente della salvaguardia delle fabbriche prevenendo con lungimiranza le manovre padronali per ridurle o delocalizzarle. Ma proprio per questo, oltre che occuparsi della loro fabbrica, devono contemporaneamente proiettare la loro azione sulle masse popolari della zona circostante per mobilitarle e organizzarle a formare organizzazioni popolari (OP) e stabilire collegamenti con le OO delle altre aziende per arrivare a creare un governo d’emergenza delle OO e OP, il Governo di Blocco Popolare.
Per cambiare il corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista non bastano le proteste e le rivendicazioni sindacali, anche se sono condotte con autonomia e perfino in opposizione alla destra che dirige le organizzazioni sindacali di regime. Le vicende vissute dagli operai della Piaggio di Pontedera (PI) nel corso degli ultimi anni sono la dimostrazione più chiara e lampante di questa verità: le RSU combattive sono ridotte a dover far fronte al contratto di solidarietà per quasi la metà degli operai ancora presenti che oramai sono ridotti a circa un quarto di quanti erano solo alcuni anni fa. Non bastano sovvenzioni e alleggerimenti fiscali a beneficio delle aziende che i padroni vogliono ridurre, delocalizzare o chiudere. Bisogna dare il via a una trasformazione generale del sistema di relazioni sociali del paese. E il primo paese imperialista che lo farà, mostrerà la strada e aprirà la via anche alle masse popolari degli altri paesi, che hanno bisogno anch’esse di cambiare il corso delle cose.
Proprio gli avvenimenti di questi giorni confermano che la lotta sindacale non basta a far fronte alla situazione. Non solo perché la Repubblica Pontificia si è ampiamente dotata di sindacati venduti e complici dei padroni e del loro Stato e la CGIL è addirittura finita nelle mani di nipotini di Craxi del tipo della Susanna Camusso, non solo perché la FIOM è diretta in maniera ondivaga da Maurizio Landini, non solo perché i sindacati alternativi e di base (tipo USB, CUB, Confederazione Cobas, ecc.) sono minoritari e si ostinano a limitare la loro attività a rivendicazioni e proteste. Ma principalmente perché il problema che abbiamo di fronte è un problema politico. Per cambiare il corso delle cose bisogna che il governo del paese sia in mano a chi vuole cambiarlo. Bisogna che chi ha interesse a cambiarlo e vuole cambiarlo, si organizzi per imporre un proprio governo d’emergenza.
Il nuovo Partito comunista italiano non solo fa appello agli operai avanzati perché si impegnino in quest’opera, ma a sua volta si impegna a sostenere in ogni modo la loro iniziativa. Il nuovo PCI ha tratto insegnamento dalla deviazione del primo PCI e degli altri partiti comunisti dei paesi imperialisti e dall’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria. Il lavoro che abbiamo fatto negli anni scorsi ha creato un partito ancora piccolo ma intellettualmente e moralmente solido, perché ha una concezione del mondo ben fondata, una scienza frutto dell’elaborazione dell’esperienza con il patrimonio teorico del movimento comunista e linee politiche generali chiaramente definite per affrontare il compito che ci sta davanti, di fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Porteremo a compimento l’opera che il primo partito comunista ha lasciato incompiuto. Questo è il terreno su cui il partito comunista si fonderà nuovamente con gli operai avanzati.
Trasformare la ribellione e la protesta in organizzazione delle masse popolari fino alla costituzione del Governo di Blocco Popolare, il governo d’emergenza delle masse popolari organizzate!
Costituire clandestinamente in ogni azienda privata e pubblica e in ogni zona Comitati di Partito, moltiplicare le OO e le OP e favorire il loro coordinamento e l’orientamento a costituire un loro governo d’emergenza!
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Comitato Centrale del (n)PCI http://www.nuovopci.it