“L’esito del congresso del PRC conferma il marasma e la confusione che attanaglia i partiti eredi dei revisionisti, quelli che avevano portato alla dissoluzione del vecchio PCI”.
Milano, 21 gennaio 2014 (93° anniversario della fondazione del vecchio PCI)
Il IX Congresso del PRC (Perugia, 6 – 8 dicembre 2013) si è concluso con una profonda spaccatura interna che ha portato all’elezione, da parte del CPN (11-12 gennaio 2014), di un segretario di minoranza e di una segreteria di minoranza. Paolo Ferrero è stato riconfermato con appena 67 voti su 153 (54 astenuti, 7 schede bianche e 19 voti a Arianna Ussi). Il congresso non solo non ha risolto i problemi di linea e di orientamento, ma ha rafforzato gli scontri tra le varie fazioni e aumentato la confusione tra militanti e simpatizzanti.
L’esito del congresso del PRC conferma il marasma e la confusione che attanaglia i partiti eredi dei revisionisti, quelli che avevano portato alla dissoluzione del vecchio PCI e gli esponenti e gli intellettuali anticomunisti della sinistra borghese che a questi si sono aggregati.
Il fallimento di questi partiti non è dovuto all’opportunismo, al tradimento o alla malafede di questo o quel dirigente, ma alla linea politica che hanno perseguito in questi decenni. Quella linea aveva al centro e come obiettivo “fare da sponda politica ai lavoratori e alle masse popolari nelle istituzioni” della Repubblica Pontificia (RP), promuovendo rivendicazioni, denunce e proteste, invece che elaborare e sviluppare la strategia per mobilitare e organizzare la classe operaia per conquistare il potere e costruire il socialismo in un paese imperialista come il nostro. Questo è il compito storico di qualsiasi partito comunista. E’ il compito che distingue un partito comunista dai partiti riformisti (socialisti e socialdemocratici). E’ il compito nuovo che distingue il nuovo movimento comunista da quello che lo ha preceduto, perché il primo movimento comunista ha fatto sì passi avanti di portata enorme, ma non è riuscito a conquistare il potere in alcun paese imperialista. Il progetto che fin dalla sua nascita il PRC ha perseguito è stato fare l’ala sinistra dello schieramento del Centro sinistra, rifluendo di fatto (anche se manteneva il nome di comunista) tra i partiti riformisti della sinistra borghese (partito della sinistra alternativa). Questo progetto consisteva principalmente nel mantenere il potere che aveva conservato dopo la fine del primo Partito Comunista Italiano e che la borghesia gli concedeva grazie al prestigio che ancora aveva tra i lavoratori e le masse popolari, nel parlamento e nelle istituzioni della Repubblica Pontificia (nel governo, nelle amministrazioni locali, negli enti locali, nelle aziende pubbliche, ecc.).
La definizione del PRC (ma anche del PdCI) come partito della sinistra borghese irrita tanti compagni e compagne che vi militano, ma questa è la verità se mettiamo le cose con i piedi per terra e non ci fermiamo alle definizioni, ai simboli e alle dichiarazioni. Noi chiediamo a questi compagni di spiegarci e di spiegare in cosa e come il PRC e il PdCI si sono distinti e si distinguono concretamente dai partiti socialisti e riformisti.
Questi partiti hanno avuto potere e prestigio fino al sopraggiungere della fase terminale della crisi generale (2007), cioè fino a quando la borghesia non ha dovuto procedere, senza se e senza ma, ad eliminare rapidamente le residue conquiste e i diritti delle masse popolari. A partire da quel momento, la borghesia ha lasciato da parte tutte quelle pratiche di mediazione che avevano caratterizzato i decenni precedenti e ha avviato il licenziamento dei mediatori. Parte da qui lo sbandamento, la frammentazione e il marasma che ha caratterizzato i partiti e organismi che facevano parte di quell’esperienza. Partiti e organismi che, consapevolmente o meno, si erano sviluppati con la concezione e la pratica della sinistra borghese, che dalla borghesia dipendevano, che non avevano autonomia, non “bastavano a se stessi”, cioè non si fondavano sul marxismo, ovvero sulla scienza che “contiene in sé tutti gli elementi fondamentali tali, non solo per costruire una totale concezione del mondo, una totale filosofia, ma per verificare una totale organizzazione pratica della società, cioè per diventare una integrale, totale civiltà”. (Antonio Gramsci, Quaderno 11, Nota 27, in Quaderni del carcere, Einaudi, Torino, 2001, p. 1434)
La dispersione del PRC in diversi partiti e frammenti, i personalismi, l’avvilupparsi in sterili polemiche, la politica di fallimentari alleanze elettorali, le lamentele sull’essere inadeguati e sulla complessità della situazione, i proclami sulla forza della borghesia e sull’arretratezza delle masse popolari, sono il frutto della mancanza di una seria analisi della fase (natura della crisi in corso e soluzioni possibili) e della mancanza di una linea strategica e tattica per farvi fronte, elementi fondamentali perché un’organizzazione possa meritare il nome di partito comunista. E’ questa carenza strutturale che impedisce di trattare in maniera adeguata le contraddizioni interne e di sviluppare positivamente la lotta tra le due linee: la linea della destra (promotrice della tesi che “il socialismo è stato una serie di errori e orrori” e che è possibile riformare il capitalismo attraverso un nuovo New Deal, sviluppando il rapporto con la sinistra del PD e della CGIL) e la linea della sinistra (promotrice della tesi che occorre farla finita con il capitalismo e instaurare il socialismo).
Senza una concezione di avanguardia (la concezione comunista del mondo) non è possibile svolgere un ruolo di avanguardia! Questa tesi vale sempre e nei momenti di crisi si manifesta chiaramente, perché in questi momenti la concezione comunista del mondo diventa l’arma fondamentale per impedire la deviazione verso una deriva reazionaria. Una concezione di avanguardia non si improvvisa e non si costruisce con appelli all’unità e alla buona volontà o ricorrendo ad alchimie organizzative (Paolo Grassi all’assemblea nazionale di Unire la Sinistra che si è tenuta a Roma il 18.1.14: …costruire il coordinamento delle forze che stanno a sinistra del PD è possibile se “tutti noi che siamo stati i protagonisti delle tante sconfitte di questi anni, sappiamo metterci di lato e favorire l’ingresso di forze nuove e fresche”…).
Nei documenti e nel dibattito congressuale emerge che gli esponenti di tutte le correnti del PRC non hanno una benché minima comprensione dell’origine e della natura della crisi in corso: si discute, a mo’ di mantra, dei suoi effetti, dei sommovimenti e disastri che essa provoca, di come rovesciare la crisi su chi l’ha prodotta, di “sviluppare il conflitto”, ma nulla si dice sulla sua origine e natura. Il non essere capaci o non voler capire che questa è una crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale impedisce di comprendere dove questa crisi porta, quali sono le soluzioni, le sole vie d’uscita possibili ovvero la guerra (distruzione del capitale) o la rivoluzione (eliminazione del capitale). Il gruppo dirigente del PRC non comprende o non vuole comprendere che dalla crisi generale del sistema capitalista e dal corso disastroso che essa determina usciremo solo instaurando il socialismo: cioè imponendo un sistema di potere che ha come suoi organi locali le organizzazioni operaie e popolari (OO e OP) e sostituendo all’azienda capitalista che produce merci per fare profitti un’agenzia pubblica che produca beni e servizi per soddisfare i bisogni individuali e collettivi della popolazione, all’anarchia di interessi la pianificazione della produzione e delle attività, alla concorrenza tra paesi la collaborazione internazionale con tutti i paesi disposti a collaborare con noi.
La rinascita del movimento comunista è ancora agli inizi e nell’immediato non è possibile che la classe operaia, diretta dal suo partito comunista, conquisti direttamente il potere. E’ per questo che sosteniamo come necessaria la costituzione di un Governo di Blocco Popolare che sia imposto ai vertici della Repubblica Pontificia dalle masse popolari organizzate e guidato da elementi autorevoli che riscuotono la loro fiducia. In caso contrario, sperimenteremo un vortice di miseria, devastazioni e guerre mondiali. Questa è infatti la direzione verso cui ci spingono i vertici della Repubblica Pontificia e la Comunità Internazionale (CI) dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti, indipendentemente dalla volontà e consapevolezza dei loro caporioni. Detto in altri termini: arriveremo prima noi comunisti ad avviare un nuovo corso delle cose o i promotori della mobilitazione reazionaria e della guerra? Questa è la sostanza della posta in gioco.
Il gruppo dirigente del PRC con i suoi economisti e intellettuali di riferimento pensano, e sostanzialmente propongono, la linea che è possibile uscire dalla crisi riformando il capitalismo, “imponendo” cioè alla borghesia (con la contrattazione o la partecipazione ad un futuro governo di Centro sinistra come sostiene la corrente di destra; con proteste e lotte dure e coordinate come sostiene la corrente di sinistra) misure favorevoli alle masse come il reddito di cittadinanza, la riduzione dell’orario di lavoro, grandi opere pubbliche in violazione dell’agenda imposta dalla triplice (FMI, BUE e BCE), ecc. In sostanza dicono che è possibile avviare un nuovo New Deal. E’ evidente che non comprendono e non vogliono comprendere che non fu il New Dealdi Roosevelt a risolvere la prima crisi generale, ma la Seconda Guerra Mondiale con le sue immense distruzioni di capitale (uomini e mezzi) e gli sconvolgimenti che ne seguirono che permisero la ripresa del capitalismo. Così tratta la questione il (nuovo)PCI nel novembre 2012: “Non c’è alcuna possibilità di ristabilire un corso regolare di valorizzazione. In qualche modo, sia pure ognuno nel suo linguaggio, lo sanno o almeno lo percepiscono tutte le persone esperte del campo, compresi i vertici delle istituzioni finanziarie del sistema imperialista mondiale e gran parte dei suoi vertici politici e militari. Da qui la morale criminale del “dopo di me il diluvio” (Re Sole) che Keynes traduceva: a lungo andare noi saremo tutti morti; o, vista da un altro lato, la sindrome da Titanic.” (in La Voce del (nuovo)PCI, n. 42, p. 32, in http://www.nuovopci.it/voce/voce42/laviagbp.html).
La questione principaleche sfugge ai (e dalla quale sfuggono i) dirigenti del PRC è che l’evoluzione della crisi generale del sistema capitalista pone sempre più in evidenza e con forza che per uscire da questa crisi bisogna farla finita con il capitalismo. Per farla finita con il capitalismo bisogna costruire il socialismo, e per costruire il socialismo non basta un partito comunista con la bandiera rossa e la falce e martello né l’unità di quelli che si dichiarano comunisti, ma occorre un partito comunista con caratteristiche ben precise e in grado di mobilitare, organizzare e dirigere i lavoratori e le masse popolari a costruire il proprio potere, il nuovo mondo possibile (di cui cianciava Bertinotti). Deve essere un partito comunista in grado di analizzare le condizioni, le forme e i risultati della lotta di classe in corso e di far tesoro dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale e del movimento comunista italiano e internazionale. Deve essere un partito che ha compreso e superato i limiti per cui il movimento comunista non ha instaurato il socialismo nel nostro paese (e negli altri paesi imperialisti) nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale nonostante fosse possibile e nonostante i miracoli di eroismo dispiegati dai comunisti e dalle masse da essi dirette nella vittoriosa Resistenza antifascista.
Il terreno principale sui quali i comunisti devono impegnarsi è superare lo sbandamento ideologico (nel campo della teoria e della politica) che provoca la confusione e la disgregazione, che impedisce di elaborare una linea teorica e una pratica conseguente e coerente perché “solo con una concezione del mondo d’avanguardia, il movimento comunista può rinascere”. La sua rinascita è indispensabile per guidare le masse popolari e la classe operaia a far fronte alla crisi del capitalismo, a cambiare il corso delle cose imposto dalla borghesia e dal clero.
Anche il trambusto creato dal recente congresso del PRC è occasione per tante compagne e compagni che militano in questo partito di alzare con orgoglio la bandiera rossa del socialismo, per rafforzare in loro la convinzione che ci si unisce saldamente e in modo duraturo e fino alla vittoria affrontando con scienza e con passione il compito storico di noi comunisti che è quello di costruire il nuovo potere e la rivoluzione socialista, qui e ora!
Avanziamo nella lotta per costruire la rivoluzione socialista nel nostro paese e per contribuire alla rinascita del movimento comunista internazionale!
Il comunismo è il nostro futuro!
Pietro Vangeli della DN del Partito dei CARC
Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo (CARC)
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