Piano casa, ‘irrisolti i nodi della sofferenza abitativa’

Piano casa: “La svolta non c’è ! Un provvedimento che galleggia sulla crisi, non affronta i nodi della sofferenza abitativa. Agli sfrattati per morosità una mancia di 50 euro al mese”.

comunicato stampa


Piano casa: “La svolta non c’è ! Un provvedimento che galleggia sulla crisi, non affronta i nodi della sofferenza abitativa. Agli sfrattati per morosità una mancia di 50 euro al mese.

Di strategico solo l’insensata vendita delle case popolari. Le proposte dell’Unione Inquilini.

Dichiarazione di Walter De Cesaris – Segretario Nazionale Unione Inquilini.

“Se le anticipazioni, gli annunci e il testo del decreto in nostro possesso, fossero confermati allora il cosiddetto piano casa è un palliativo, un unguento su un corpo martoriato. Il Governo ha partorito il topolino e dietro il fumo di misure sostanzialmente inconsistenti per contrastare il caro affitti e lo tsunami degli sfratti per morosità, l’arrosto è rappresentato dalla dismissione di quanto rimane del patrimonio abitativo pubblico.

Tra il 2013 e il 2015, visto che nel I semestre 2013 ci sono state quasi 40 mila nuove sentenze di sfratto, di cui 35 mila per morosità, le sentenze esecutive per morosità, potrebbero essere circa 200 mila.

Negli stessi anni, per ciascuno degli anni, assisteremo ad almeno 100 mila richieste di esecuzioni e l’esecuzione forzosa di circa 30.000 sfratti.

Sulla base delle risorse messe a disposizione dal Governo per il fondo morosità, 100 milioni l’anno per il 2014 e 2015, abbiamo un contributo annuo medio/famiglia di 600 euro l’anno, ovvero 50 euro al mese.

A questo punto: siamo a un intervento a pioggia insignificante per risolvere le morosità o a un intervento significativo per appena il 10% dei nuclei interessati.

Sommando il fondo per la morosità con quello per il sostegno all’affitto, si dispone per gli anni 2014 e 2015 di 200 milioni di euro, un importo inferiore di oltre 1/3 rispetto allo stanziamento per il solo fondo sociale nel 1999 (310 milioni di euro) con una situazione economica e sociale del tutto differente e un fenomeno degli sfratti incomparabilmente più attenuato: nel 1999, 38 mila sentenze (50% delle attuali), 25 mila per morosità (1/3 di oggi).

La cedolare secca al 10% per il canale concordato può essere una misura giusta ma da sola è inadeguata per una significativa riduzione dei canoni attuali. Servirebbe ben altro: recuperare risorse dal libero mercato, eliminando il privilegio di una tassazione agevolata (cedolare al 21%), da riversare nell’ambito della proprietà, azzerando le tasse a singoli privati, società ed enti che riducono del 50% i canoni attuali e ricontrattualizzano famiglie con sfratto.

Da rigettare la dismissione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, di dubbia costituzionalità. Il Governo intende realizzare una dismissione generalizzata del patrimonio pubblico, con un decreto ad hoc, spingendo Regioni e comuni a rivedere in alto i prezzi e, addirittura, prevedendo la vendita all’asta degli alloggi assegnati ad utenti “fuori reddito”, mentre questi dovrebbero essere riassegnati agli aventi diritto, e accompagnare verso l’housing sociale coloro che  superano i redditi per la permanenza. Questo intervento rischia di essere il cuore nascosto del provvedimento, una misura che va nella direzione opposta a quella che sarebbe necessaria. Come pensa il Governo di rispondere alle 650 mila istanze per una casa popolare certificate come aventi diritto dai comuni a cui oggi non si può dare risposta?

Non illuda la misura proposta del riscatto per le abitazioni di housing sociale, comparto marginale del settore abitativo italiano, malgrado i proclami ripetuti dai governi, in quanto per i suoi costi di accesso, non risponde alla domanda inevasa di case popolari.

Rimane il capitolo, da noi fortemente richiesto, del recupero del patrimonio esistente delle case popolari (30 e 40 mila alloggi non assegnati perché da ristrutturare) con uno stanziamento di 500 milioni ma con un decreto di attuazione troppo spostato nel tempo (6 mesi). Vorremmo, inoltre, vedere chiaro sulla copertura del finanziamento, somme nuove o, come fatto nel passato, riciclo di interventi già varati e non attuati.

Ci vorrebbe più coraggio: un piano strutturale per l’edilizia a canone sociale, attraverso il recupero e il riuso del patrimonio pubblico e il già costruito, simile per dimensioni ai piani del secondo dopoguerra.

Sarebbe importante il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti, oltre al miliardo e mezzo di fondi ex Gescal che risultano ancora non utilizzati, a sostegno di un piano per il diritto alla casa, per il lavoro e la ripresa del Paese.

Ma il Governo vuole sostenere l’emergenza, non affrontare la questione casa come strutturale

 

 

 

  Unione Inquilini

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10 marzo 2014

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