L’articolo Non c’è più la CGIL di Giorgio Cremaschi ha il pregio di chiamare chiaramente chi lo legge a fare il punto della situazione del movimento sindacale italiano e a trovare una linea per la rinascita.
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18 maggio 2014
A proposito di un articolo di Giorgio Cremaschi
L’articolo Non c’è più la CGIL di Giorgio Cremaschi ha il pregio di chiamare chiaramente chi lo legge a fare il punto della situazione del movimento sindacale italiano e a trovare una linea per la rinascita. Fatto dal più autorevole esponente della sinistra dei sindacati di regime (difficile considerare tale un Maurizio Landini sempre più impigliato nel gioco tra Camusso, Renzi e Vendola), l’appello merita di essere considerato seriamente. E certamente sarà considerato seriamente dai frequentatori dei molti periodici on line che l’hanno rilanciato, anche se è comparso sulla rivista Alternative per il socialismo cui meglio si addice la denominazione Alternative al socialismo (basti dire che la rivista è diretta dall’ignobile individuo che sarà ricordato per aver posto termine, con un lauto vitalizio per sé, alla presenza nel Parlamento della Repubblica Pontificia di ogni gruppo che si dichiari comunista e che non perde occasione per biascicare “la storia di errori e orrori” che ha preso dal Libro nero del comunismo di berlusconiana memoria).
Proprio per l’importanza che il ruolo del suo autore conferisce a Non c’è più la CGIL,pesa maggiormente il difetto maggiore dell’articolo: porre il problema della crisi del movimento sindacale italiano con una straordinaria limitatezza di orizzonti sia storici (l’arco di tempo che prende in esame : “dagli anni 50 e 60 del secolo scorso”) sia di contenuto (voler trovare la via della rinascita del movimento sindacale, l’uscita dalla crisi del movimento sindacale, nel movimento sindacale stesso, in un qualche “sindacalismo conflittuale” di “dimensione più vasta” che il “chilometro zero”).
Cremaschi in qualche modo avverte la ristrettezza dei limiti in cui si costringe (“forse c’è qualche rapporto” tra la crisi del movimento sindacale e la crisi “della sinistra radicale e anticapitalista” … “alla CGIL è venuto meno il retroterra politico e culturale delle grandi organizzazioni politiche della sinistra. Non c’è più il Partito Comunista”). Ma non ne esce, non sviluppa fino in fondo questo pensiero.
Cremaschi e quelli che con lui cercano la via d’uscita dalla crisi del movimento sindacale la troveranno se andranno oltre i limiti storici e di contenuto in cui essi stessi si costringono. Quando la troveranno, vedranno meglio anche le forze che possono mobilitare, che quei limiti oggi gli impediscono di vedere: Cremaschi dimentica che perfino “quella struttura di apparato tanto vasta quanto chiusa verso l’esterno” è tanto poco chiusa ai sintomi della propria crisi che Susanna Camusso l’8 maggio è stata eletta con il voto contrario di ben 14 dei suoi 122 sostenitori appena eletti nel Direttivo Nazionale della CGIL (che conta 151 membri). Non ha torto il mensile del Partito dei CARC, Resistenza, che nel numero di maggio ha titolato La CGIL scoppierà tra le mani della destra che la dirige il suo bilancio della campagna congressuale CGIL.
Ben dice Cremaschi: con la crisi del movimento sindacale, inteso come movimento a cui i lavoratori partecipano, CISL e UIL ritornano alle origini. Infatti sono nate per iniziativa del clero e della borghesia imperialista (USA nel caso specifico) che hanno usato la loro influenza per raccogliere lavoratori sotto le bandiere della CISL e della UIL. Ma Cremaschi nella sua ricostruzione storica e logica trascura che invece la CGIL rinacque dalle ceneri del fascismo per iniziativa dei comunisti, cioè del PCI.
Parimenti trascura che “le condizioni della ripresa dell’iniziativa” della CGIL negli “anni 50 e 60 del secolo scorso” furono costruite dopo che, sotto la direzione del PCI, i partigiani avevano riconsegnato ai padroni le fabbriche (e alla burocrazia fascista le prefetture e le questure) che, sempre sotto la direzione del PCI, avevano occupato alla fine della Resistenza: cioè furono costruite come contrappeso alla collaborazione del PCI all’instaurazione della Repubblica Pontificia e surrogato della rivoluzione socialista a cui il PCI rinunciava benché il movimento comunista fosse ancora in ascesa in tutto il mondo. In Italia come in tutti i paesi imperialisti nel secondo dopoguerra le conquiste di civiltà e di benessere le masse popolari le strapparono lottando contro la borghesia imperialista, ma fu deviando le masse su questa via che la borghesia imperialista e il suo clero riuscirono a riprendere saldamente il controllo della situazione, controllo che era stato gravemente compromesso dalla sconfitta del nazifascismo ad opera non solo dell’Unione Sovietica, ma anche dell’Internazionale Comunista. Questa infatti aveva reso impossibile la collusione degli USA e della Gran Bretagna con la Germania hitleriana (a proposito di questo passaggio della storia mondiale rimandiamo all’articolo Un libro e alcune lezioni di Umberto C. comparso su La Voce n. 24).
In Italia poi l’inizio del ripiegamento del movimento sindacale (linea dell’EUR – Luciano Lama, 1978) è strettamente intrecciato non solo con l’inizio della seconda crisi generale del capitalismo per sovrapproduzione assoluta di capitale, ma anche con la sconfitta dell’ultimo tentativo di dare al primo movimento comunista italiano una direzione alternativa al revisionismo moderno, una direzione rivoluzionaria. Infatti è in quegli stessi anni che naufragano nel militarismo le Brigate Rosse, nate all’inizio degli anni ‘70 con il proposito e sul progetto di venire a capo con la propaganda armata della direzione revisionista che si era imposta nel PCI annegando la Resistenza nella Repubblica Pontificia.
– Per capire la situazione attuale del movimento sindacale e trovare il bandolo della matassa, la via della rinascita, bisogna uscire dal movimento sindacale, allargare gli orizzonti alla storia complessiva della lotta di classe nel nostro paese e nel mondo. Il movimento sindacale è solo un aspetto di quella lotta, una componente di essa, neanche la componente principale: solo i gruppi di ispirazione bordighista e trotzkista coltivano ancora oggi la concezione che la lotta sindacale [e comunque rivendicativa, tradeunionistica la chiamava Lenin a sottolineare che in essa includeva sia le rivendicazioni rivolte al padrone (salari, condizioni di lavoro, servizi aziendali) sia le rivendicazioni rivolte allo Stato dei padroni (legislazione, servizi, sussidi, fisco, ecc.)] sarebbe, sempre e ovunque, la principale e necessaria via di accesso del proletariato alla lotta politica rivoluzionaria, alla lotta per instaurare il socialismo, quando non sostengono addirittura che sarebbe già di per se stessa, direttamente, lotta politica. Proprio in questi mesi in Italia questa concezione è stata apertamente riproposta, abbellita e condita con una ricca (e piuttosto sconclusionata) antologia di dati statistici (Dove sono i nostri), dal gruppo Clash City Workers: e nella confusione e demoralizzazione attuali fa brodo. Ma la teoria e la realtà l’hanno da tempo irrefutabilmente confutata. Nel 1902 Lenin nel trattato Che fare? ha dimostrato teoricamente che era una concezione sbagliata della realtà. La storia della prima ondata della rivoluzione proletaria l’ha smentita nei fatti al di là di ogni dubbio e appello. La sterilità (storica, dimostrata su un lungo periodo di anni, sia in periodi di ascesa sia in periodi di declino del movimento comunista) dell’attività (a volte anche generosa se ci si potesse limitare a considerare gli sforzi individuali) dei gruppi di ispirazione bordighista e trotzkista conferma in negativo l’erroneità della concezione che la lotta sindacale (o comunque rivendicativa) è l’inizio e la base della lotta di classe. La lotta sindacale è solo un aspetto, neanche il principale e tanto meno quello decisivo, della lotta di classe.
– Per capire la situazione attuale del movimento sindacale e trovare il bandolo della matassa, la via della rinascita, bisogna usare il materialismo dialettico come metodo di analisi: non solo considerare i molti aspetti della realtà, ma considerare la trasformazione che ogni aspetto ha compiuto e compie e le relazioni tra di essi.
La storia del movimento sindacale è un aspetto della storia della lotta del proletariato alla testa del resto delle masse popolari e dei popoli oppressi contro la borghesia imperialista e il suo clero. È impossibile capire l’attuale crisi del movimento sindacale e trovare la soluzione ad essa, se ci si ostina a restare chiusi nel movimento sindacale, a cercare l’alternativa alla crisi in una linea sindacale combattiva, in un sindacato conflittuale. Che non basti un sindacato conflittuale, Cremaschi in qualche misura lo sente: “Il sindacalismo di base, pur promotore di conflitti generosi ed importanti, ha dimostrato di non avere la forza” di occupare il posto un tempo occupato dalla CGIL (“anche per le sue divisioni” butta lì Cremaschi tanto per non dimenticare il radicato eclettismo, per cui si indebolisce o addirittura abbandona la ricerca dell’aspetto principale e decisivo, la ricostruzione del filo logico del processo, per andar dietro ai mille aspetti secondari che compongono ogni processo reale). Ma non va oltre, non sviluppa fino in fondo il suo pensiero.
Chi vuole capire la crisi attuale del movimento sindacale e trovare la soluzione, deve uscire dai limiti del movimento sindacale, deve approdare al bilancio del movimento comunista.
Perché nella prima parte del secolo scorso, nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria, i partiti comunisti non hanno instaurato il socialismo in nessuno dei paesi imperialisti?
La rivoluzione di nuova democrazia in Russia (e poi in Cina e in altri paesi) non ha dato il via alla rivoluzione socialista in Europa e negli USA. L’attuale crisi del movimento sindacale è un aspetto della più generale crisi del movimento comunista (Cremaschi che non distingue il movimento comunista dalla sinistra borghese, presenta la crisi del primo e della seconda come un unico fenomeno: “devastazione nel campo della sinistra radicale e anticapitalista”). La domanda che abbiamo posto è il punto di partenza di ogni seria inchiesta e di ogni seria ricerca di soluzione anche a proposito della crisi del movimento sindacale.
A questa domanda il nuovo Partito comunista italiano ha dato una risposta, a nostro parere esauriente, nell’opuscolo I quattro temi principali da discutere nel movimento comunista internazionale. Invitiamo quindi i nostri lettori a studiarlo e a scendere in campo. Nella rivoluzione socialista, per superare il capitalismo e la società borghese, quello che i suoi promotori pensano decide di quello che fanno. Solo se hanno una comprensione abbastanza avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe, riescono a dirigerla con successo, dissero già Marx ed Engels (Manifesto del partito comunista, 1848). Chi non ha una linea giusta, ne segue una sbagliata. Chi non ha autonomia ideologica della borghesia e dal clero, opera sotto l’influenza della borghesia imperialista e del suo clero (in particolare chi pretende di parlare della lotta di classe in Italia senza considerare il ruolo della Corte Pontificia e del suo clero, ne è succube: come dimostra la triste fine del partito radicale: dei Pannella, degli Spadaccia e delle Bonino). Sono la coscienza e l’organizzazione che fanno del numero dei proletari una forza politica, che fanno delle masse popolari i protagonisti della loro storia. Coscienza e organizzazione non nascono spontaneamente dall’esperienza dello sfruttamento e dell’oppressione: richiedono una specifica attività intellettuale e una riforma morale. È questo l’apporto dei comunisti alla lotta di classe degli operai contro la borghesia imperialista e il suo clero.
Avanti quindi nella ricerca di una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe! Su questa base riusciremo a spingerla avanti fino all’instaurazione del socialismo e oltre, verso il comunismo!
Comitato Centrale del (n)PCI http://www.nuovopci.it