Walter De Cesaris: “Il 6 novembre tutti sui tetti. Il messaggio dev’essere chiaro: le case popolari sono un bene comune che non si svende ma si rilancia”.
Un milione di famiglie vivono in case popolari. 650.000 sono collocate nelle graduatorie comunali.70.000 famiglie ogni anno subiscono una sentenza di sfratto e nel 90% dei casi si tratta di sfratto per morosità incolpevole. Attualmente il ministro Lupi ha inviato alla Conferenza Stato –Regioni lo schema di decreto che riguarda le procedure di vendita degli immobili di edilizia residenziale pubblica. Parliamo di Comuni, Ater, Aler, Iacp et). Il decreto di cui parliamo è in applicazione dell’articolo 3 comma 1 della legge 28 marzo 2014, 80, ( il famigerato piano casa di Lupi).
Com’è possibile parlare di vendita di case popolari all’asta quando abbiamo 650.000 famiglie in graduatoria e 70.000 che invece ogni anno subiscono una sentenza di sfratto? E davanti a un paese in cui le famiglie vivono ormai da anni in uno stato di precarietà abitativa che non migliora.
Siamo in una sorta di commedia dell’assurdo. C’è una legge che ha come titolo “misure per ridurre il disagio abitativo” che al suo interno prevede misure che, invece, lo aggravano. Vorrei dire che è un vero e proprio crimine sociale aprire la prospettiva dello sfratto per gli assegnatari delle case popolari in una condizione generale del Paese attraversata dalla più grave crisi economica e sociale dal dopoguerra e in una condizione specifica che riguarda la questione casa che si fa sempre più drammatica, come segnala la questione sfratti.
Facciamo una panoramica sui numeri.
Nel corso del 2013, per ogni giorno lavorativo, sono stati emesse 333 sentenze di sfratto, vi sono stati 558 accessi di ufficiali giudiziari, 143 sgomberi con la forza pubblica: un bollettino di guerra quotidiano contro la fascia più povera e indifesa della popolazione. L’esplosione degli sfratti in Italia (ricordo che prima del 2008 si viaggiava a una media di circa 40 mila sfratti l’anno e siamo arrivati in sei anni quasi ad 80.000 e che, per la morosità, si è passati da circa 20/ 25 mila sfratti l’anno a oltre 65.000), è solo la punta dell’iceberg di una sofferenza abitativa strutturale. I dati parlano più chiaramente e duramente di qualsiasi giro di parole: 700 mila famiglie vanamente in attesa di una casa popolare di cui avrebbero diritto, triplicato il numero di ricoveri in baracche e altri rifugi di fortuna.
Qual è la risposta del governo a questa situazione?
Il governo pensa a come dismettere ulteriormente quanto rimasto del comparto pubblico, malgrado l’Italia sia la maglia nera europea nel settore, e a come aggravare ulteriormente la sofferenza abitativa del Paese. Pensare di vendere le case popolari e , addirittura, di venderle all’asta al miglior offerente è un follia e il Ministro Lupi, firmatario del decreto ministeriale che prevede tale misura, assomiglia a una sorta di “dottor Stranamore” dei nostri tempi.
Secondo il decreto gli assegnatari che sono in possesso dei requisiti per la permanenza nelle case popolari avranno il diritto alla prelazione nell’acquisto, sì, eppure lo avranno al prezzo di aggiudicazione a seguito dell’espletamento dell’asta. Sembrerebbe una presa in giro, no? Come è possibile credere che una famiglia assegnataria possa sobbarcarsi questa spesa?
Maria Antonietta, diceva della folla che protestava per la fame: “Non hanno pane, perché non mangiano brioches”. Il governo sembra avere la medesima sensibilità sociale di quella regina e la medesima incoscienza della reale situazione in cui le persone vivono, o meglio, sopravvivono. Nello schema di decreto che il Ministro ha inviato al concerto con le regioni e i Comuni si dice che le case popolari si mettono all’asta partendo dal valore di mercato e che l’assegnatario ha un diritto di prelazione al prezzo di aggiudicazione dell’asta. E’ del tutto evidente, la conseguenza che si determina, non c’è bisogno di particolare inventiva o di essere particolarmente pessimisti. La conseguenza è logica: la casa la compra chi ha la disponibilità economica, che molto difficilmente sarà chi vi abita, che, quindi, viene messo nella prospettiva di subire uno sfratto. Vorrei aggiungere che sono i più poveri, gli anziani e quelli che non hanno reddito e pagano affitti sociali che vengono messi in una condizione di maggiore difficoltà.
E secondo quanto prevede il decreto presentato dal ministro è un altro passo per favorire il libero mercato, dunque la speculazione edilizia. Parliamo della campagna lanciata dal sindacato contro questo decreto e delle conseguenze a cui andremmo incontro…
E’ evidente che si tratta di un provvedimento che favorisce la rendita immobiliare e, aggiungo, vuole segnare la fine del comparto pubblico. Non è chiaro, sulla base del provvedimento come funzioneranno queste aste. Per l’intanto segnalo solo come, nel testo, vi sono incongruenze anche logiche che dimostrano la sgrammaticatura di chi lo ha scritto materialmente. Si prevede, per esempio, che l’assegnatario abbia 30 giorni di tempo dall’aggiudicazione per esercitare la sua eventuale prelazione ma, al tempo stesso, che la pubblicazione dei risultati delle aggiudicazioni avvengono entro 30 giorni dalla loro effettiva pronuncia. Qualcosa evidentemente non quadra nemmeno nelle procedure da loro stessi stabilite.
Parliamo delle aste, che poi possono essere al rialzo e al ribasso, giusto?
Sì, ci si ritroverà in una condizione in cui gli immobili in aree di pregio e appetibili dalla rendita immobiliare potrebbero avere offerenti e immobili in aree degradate invece rimanere senza alcuna richiesta. Il sistema delle case popolari sarebbe trasformato in una sorta di “bad company”, cioè gli rimarrebbero le parti di peggior valore, quelle più degradate, i cui costi di manutenzione sarebbero più onerosi. Tra gli assegnatari, potrebbero comprare (forse) quelli che hanno redditi maggiori ma che, in ragione del canone rapportato al reddito, oggi pagano di più di canone e, pertanto, aiutano il sistema ancora a reggersi in piedi. In questo senso, trovo incomprensibile il silenzio di Federcasa e dei gestori degli IACP, ATER o comunque sono denominato in base alle riforme effettuate in diverse regioni. Così come trovo incomprensibile il silenzio delle Regioni, dei Comuni e dell’ANCI. La norma ha evidenti profili di incostituzionalità perché lo Stato non può dettare norme su un patrimonio che non è suo e sul quale la competenza di regioni ed enti locali è esclusiva. Eppure, abbiamo appreso recentemente, che la Conferenza Unificata, nella riunione del 16 ottobre, ha dato l’assenso al decreto. Allo stato attuale, non conosciamo ancora il merito di detto parere favorevole, se cioè, è vincolato a modifiche. Valuteremo meglio una volta conosciuti i particolari. Temo, però, che l’impianto sia rimasto. Se è così, anche Regioni e Comuni sono corresponsabili di questo atto socialmente criminale.
E sulla vendita in blocco degli immobili fatiscenti?
Si prevede anche che si possano vendere in blocco gli edifici di ERP definiti fatiscenti o i cui costi di manutenzione possano essere ritenuti troppo onerosi. Un altro regalo alla rendita immobiliare. E’ facile immaginare, per esempio, che la dismissione in blocco di interi edifici possa essere connessa a cambi di destinazione d’uso. Gli immobili fatiscenti vanno recuperati e risanati ai fini di restituirli alla loro funzione sociale non svenduti alla speculazione immobiliare. Un mondo quello delle aste in cui si muovono bene i pescecane e gli affaristi di varia natura, in cui sono facili le “combine” e gli accordi sotto banco, un mondo in cui la trasparenza non mi sembra molta.
Mettere all’asta una casa popolare è un atto contro i cittadini in difficoltà.
Le case popolari sono un bene comune da non dismettere o peggio svendere. L’intervento pubblico nelle politiche abitative va rilanciato e il suo obiettivo primario deve essere quello di incrementare l’offerta di alloggi a canone sociale per rispondere alla enorme domanda inevasa di abitazioni compatibili con i redditi e che il dramma dei senza casa e degli sfratti evidenzia in maniera inconfutabile.
Siamo in piena campagna nazionale contro questo decreto adesso…
Noi siamo impegnati in una campagna nazionale contro il decreto che vuole la vendita all’asta delle case popolari per quello che concretamente fa (immette la precarietà e lo spettro sfratto anche per gli assegnatari) e per quello che significa politicamente (il colpo finale al sistema dell’ERP). Pensiamo di portare avanti questa battaglia e di vincerla. Come si sa un conto è parlare di morte altro è morire. Tradotto: le misure previste in questo decreto non solo sono ingiuste ma anche nei fatti molto difficili (io ritengo addirittura impossibili) da realizzare. Noi li sfideremo, Regione per Regione, città per città a mettere in pratica quello che un “Dottor Stranamore” ha deciso da dietro una scrivania di Piazza di Porta Pia a Roma (la sede del ministero di Lupi). Si sono messi lungo un percorso accidentato e noi lavoreremo per renderglielo impraticabile.
Parliamo dell’iniziativa nazionale del 6 novembre…
Già abbiamo lanciato una campagna di assemblee e di raccolte di firme in tutta Italia. Il prossimo 6 novembre, faremo una prima iniziativa eclatante: tutti sui tetti per dire che le case popolari sono un bene comune che non si svende ma si rilancia. Una catena umana sulla cima delle case popolari per dire che non ci butteranno giù ma anche che non vogliamo “buttarci giù”. Non ci rassegniamo, vogliamo reagire e dire un grosso no a questo disgustoso progetto. Abbiamo una alternativa molto credibile e fattibile. Recuperare il patrimonio pubblico in disuso e riutilizzarlo ai fini della residenza sociale è una grande operazione di equità sociale e di rilancio del Paese, un investimento sul futuro.
intervista a Walter De Cesaris, Segretario Nazionale Unione Inquilini
a cura di Isabella Borghese, giornalista
Unione Inquilini Roma