Come avviene in occasione dell’approvazione delle leggi finanziarie, la questione “terra dei fuochi” subisce il classico “assalto alla diligenza” al fine di strappare per sé un qualche beneficio economico.
Newsletter di Novembre, 2014
L’assalto alla diligenza
Come avviene in occasione dell’approvazione delle leggi finanziarie, in cui vi sono da definire i diversi capitoli di spesa e le lobby si scatenano per infilare emendamenti a loro favore, la questione “terra dei fuochi”, essendo diventata attrattrice di ingenti risorse finanziarie, subisce il classico “assalto alla diligenza” al fine di strappare per sé un qualche beneficio economico.
Il giorno 29 ottobre 2014, presso la parrocchia del Parco Verde di Caivano, è stato presentato il progetto “Sviluppo e promozione delle produzioni agroalimentari locali” che ha ottenuto, per la sua realizzazione, un contributo di 200.000 euro dalla CCIAA di Napoli. Il progetto si propone di perseguire il suo obiettivo attraverso la creazione di un sistema di gestione certificato etico ed ambientale “replicabile su scala planetaria”.
Destinatario del finanziamento è un raggruppamento di enti comprendente l’Unione Coltivatori Italiani, l’Organizzazione di Produttori Almaseges e l’associazione onlus terra dei veleni. Il significativo sottotitolo del progetto è: “terra dei fuochi e dei veleni: da minaccia per l’economia rurale ad opportunità per l’adozione di un modello di sviluppo etico ambientale sostenibile”
In pratica, ci si propone di creare un protocollo di certificazione.
Un protocollo o standard di certificazione nel settore agroalimentare, nasce dalla volontà di qualcuno (commercianti al dettaglio quali le catene della Grande Distribuzione Organizzata, industrie di lavorazione e/o trasformazione di prodotti ortofrutticoli, aziende agricole etc.) di avere o dare garanzie circa il rispetto di determinati requisiti di qualità, sicurezza alimentare, tutela ambientale ed etica richiesti. I protocolli prevedono la modalità di gestione dei requisiti richiesti (procedure di produzione, controlli, gestione non conformità, gestione dati etc.).
A conclusione dell’iter di certificazione vi è il controllo di II livello effettuato da enti terzi, riconosciuti dall’organizzazione dello standard, per il rilascio della stessa.
Il requisito fondamentale di un protocollo di certificazione è la sua condivisione ed accettazione da parte degli acquirenti il prodotto certificato. La condivisione ed accettazione, a loro volta, discendono dalla riconoscibilità internazionale del protocollo o standard che dipende in misura preponderante dalla autorevolezza di chi ha creato il protocollo (in genere catene della Grande Distribuzione Organizzata internazionali, vedi ad es. GLOBAL GAP
Attualmente, tra i protocolli di certificazione maggiormente condivisi ed accettati, anzi, diremmo, il più delle volte richiesti, a livello internazionale, nel settore agroalimentare, si possono menzionare il Global gap, il QS, il BRC food e l’IFS food. Per chi vuole approfondire l’argomento suggeriamo il sito internet della società Agrosistemi s.r.l. di Angri, società specializzata nel settore delle certificazioni (www.agrosistemi.com).
Dunque, sembra evidente il primo ma decisivo punto debole del progetto in esame: manca una autorevolezza e/o riconoscibilità non diciamo internazionale, ma almeno nazionale, di chi si propone di creare questo nuovo protocollo di certificazione, dal che, come detto, discende la scarsa se non nulla possibilità di essere accettato da parte dei potenziali acquirenti.
Di fatto, come visto, esistono già diversi protocolli di certificazione nel settore ortofrutticolo, riconosciuti internazionalmente, condivisi ed accettati in Italia ed all’estero che prendono in considerazione tutti gli aspetti della sicurezza alimentare, dalla tutela ambientale, all’etica ed alla qualità dei prodotti.
Il Global gap, ad esempio, è già molto diffuso presso le aziende agricole esportatrici o produttrici di prodotto per la IV gamma campane, tant’è che, come a suo tempo pubblicato sul nostro sito www.taskforcepandora.com, l’organizzazione global gap, avendo diverse aziende certificate nel territorio della cd. terra dei fuochi, ha recentemente effettuato uno studio sulla sicurezza alimentare delle produzioni del territorio, studio che ha portato alla conclusione che i valori riscontrati sui prodotti sono quelli “previsti in condizioni di produzione normali”.
Questo per quanto riguarda il metodo.
Se poi entriamo nel merito, il protocollo che ci si propone di creare prevede l’effettuazione di ricerche analitiche sulle matrici ambientali (acqua e terreno) e vegetali di una gamma di composti inorganici e organici molto ampia, in particolare di metalli pesanti (21), Idrocarburi Policiclici Aromatici (9) e Composti Organici Volatili (19).
Dei 49 analiti ricercati, ne è regolamentata la presenza su ortofrutta di soli tre (cadmio, piombo e rame).
Non esistono, invece, parametri di riferimento per le acque ed i terreni ad uso agricolo.
Ora, limitandoci alla trattazione dei prodotti vegetali (da cui, peraltro, deve discendere quella dei parametri ambientali), è evidente che, in mancanza di valori di riferimento, ovvero del Tenore Massimo Tollerato dei diversi contaminanti sui diversi prodotti agricoli, la loro ricerca diventa fine a se stessa se non c’è modo di interpretarli.
L’aspetto salutistico dei diversi contaminanti è, infatti, legato all’ADI (Admissible Daily Intake, ovvero la dose massima giornaliera accettabile per l’uomo senza evidenza di danni per la salute).
L’ADI, a sua volta, discende dal NOEL (No Observed Effect Level), ovvero dalla dose giornaliera senza effetto sulla salute degli animali su cui si effettua la sperimentazione. Questo livello viene diviso per un fattore di sicurezza variabile, ad es. per i fitofarmaci, da 100 a 2.000 per definire l’ADI. Vale a dire che l’ADI è almeno la centesima parte del livello di assorbimento giornaliero che sperimentalmente non ha dato effetti sulla salute.
Tale valore va poi parametrato al consumo medio giornaliero del prodotto agricolo per definire il Tenore Massimo Tollerato del contaminante nella singola tipologia di vegetale, tenore che dipende, appunto, da quanto contaminante è possibile ingerire giornalmente (ADI) e da quanti grammi/kg al giorno vengono mediamente consumati della singola tipologia di vegetale.
Solo una volta regolamentato il tenore massimo tollerato (come avvenuto per il piombo, il cadmio ed il rame) è possibile interpretare i valori analitici.
Il presupposto che un contaminante sia assimilabile tramite un alimento e che ne sia, di conseguenza, definito il tenore massimo tollerato è condizione necessaria per procedere alla regolamentazione di livelli di presenza nelle potenziali fonti di contaminazione.
Ad oggi, a livello europeo, il Reg. (CE) 1881/06 e s.m.i. definisce il tenore massimo dei contaminanti nei prodotti alimentari. I contaminanti regolamentati sono gli unici ritenuti assimilabili dai vegetali e pericolosi per la salute.
Per i prodotti vegetali ad uso umano, oltre al rame, regolamentato come prodotto fitosanitario, è regolamentato unicamente il tenore dei metalli pesanti cadmio e piombo, in quanto unici contaminanti la cui presenza è ritenuta possibile e potenzialmente dannosa per l’essere umano.
Pertanto, all’attualità, avrebbe un senso la ricerca del solo contenuto di cadmio e piombo sui vegetali e degli stessi analiti assimilabili nel terreno agricolo. Assimilabili in quanto biodisponibili, cioè in una forma chimica assimilabile dalle piante. Avere un quadro chiaro sulla distribuzione di metalli e inquinanti organici nei vegetali che mangiamo, di certo rappresenta una base di informazioni necessaria per definire la salubrità degli alimenti oltre che un utile indicatore della qualità ambientale. A breve sarà pubblicato uno studio della Università di Napoli in collaborazione con l’ISS per definire i valori di riferimento. Intanto è evidente, che in mancanza di normativa relativa al tenore massimo tollerato negli alimenti di origine vegetale, la eventuale presenza di qualsiasi altro contaminante non è interpretabile, dunque la sua ricerca superflua.
In conclusione, appare evidente che la realizzazione del progetto “Sviluppo e promozione delle produzioni agroalimentari locali “ si risolve in un ulteriore, e nelle condizioni economiche in cui versiamo intollerabile, spreco di denaro pubblico.
Se proprio si riteneva che la certificazione potesse essere utile agli agricoltori della cd. terra dei fuochi, bastava che i soldi stanziati fossero utilizzati per incentivare la certificazione dei produttori agricoli con uno degli standard esistenti senza dar credito ad operazioni quantomeno velleitarie e, pertanto, inutili.