“Ancora a proposito dei venditori di fumo e di Rete dei Comunisti”

 

I venditori di fumo e la lotta di classe ha suscitato molte e diverse reazioni. Questo è in linea di massima un risultato positivo: affrontare le divergenze è la via obbligata per risolvere quelle che sono risolubili e mettere in chiaro meglio le altre.

 

 

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30 maggio 2015

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ALBA Mediterranea o Governo di Blocco Popolare?

Ancora a proposito dei venditori di fumo e di Rete dei Comunisti – Contropiano


Il Comunicato CC 14/2015 – 21 maggio 2015 I venditori di fumo e la lotta di classe ha suscitato molte e diverse reazioni. Questo è in linea di massima un risultato positivo: affrontare le divergenze è la via obbligata per risolvere quelle che sono risolubili e mettere in chiaro meglio le altre. La situazione è grave e per uscire dal marasma in cui siamo occorre unire le forze in ogni caso in cui non ci sono divergenze tali che unirsi vorrebbe dire intralciarsi o addirittura paralizzarsi: per unirsi, unità d’azione o unità di partito, bisogna anzitutto delimitare bene le rispettive posizioni Vediamo quindi di capire il senso delle reazioni al Comunicato e di tirarne lezioni.

Trascurando le sfumature, ci sono state reazioni sostanzialmente di tre tipi.

1. Alcuni ci hanno chiesto se è ben radicata nella realtà della lotta di classe, quindi realistica, la linea che noi stiamo seguendo: promuovere la formazione di Organizzazioni Operaie (OO) nelle aziende capitaliste e di Organizzazioni Popolari (OP) nelle aziende pubbliche, nelle agenzie dei servizi pubblici, nelle zone d’abitazione (OP territoriali) e per temi d’interesse (OP tematiche) perché costituiscano il Governo di Blocco Popolare e lo facciano ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia.

2. Altri ci hanno chiesto quanto sono ben fondate e decisive le critiche che noi facciamo alla proposta di ALBA Mediterranea propagandata e propugnata da Rete dei Comunisti e da altri organismi.

3. Infine ci sono le reazioni indignate di vari esponenti di Rete dei Comunisti (RdC) che si sono offesi

– perché li abbiamo chiamati venditori di fumo dato che propagandano una proposta di moda ma campata in aria,

– perché li abbiamo indicati come “ala sinistra della sinistra borghese”.

Vediamo le tre cose una a una, ma diciamo subito che fare gli offesi è sbagliato, serve a confondere le acque. Noi comunisti non ci offendiamo per le critiche che ci vengono fatte: se sono serie rispondiamo e se c’è da imparare impariamo e ci correggiamo; se non sono serie le lasciamo al giudizio del pubblico e le usiamo per valutare chi le ha formulate. Così si comporta chi è impegnato in una seria impresa pratica e vuole venirne a capo.

1.

La linea del Governo di Blocco Popolare è fondata sull’analisi della natura delle classi e delle rispettive forze nella lotta di classe in corso e sulla scienza e l’esperienza del movimento comunista. L’abbiamo illustrata più volte, in dettaglio e da vari lati, in particolare nei testi a cui rinviamo con il link sopra indicato. Per una ulteriore buona illustrazione rinviamo all’articolo Sovranità nazionale o sovranità popolare? pubblicato nel numero 5 (maggio 2014) di Resistenza, il mensile del P.CARC.

Le obiezioni e le richieste di chiarimenti sono numerose e varie, ma tutte in sostanza riguardano un unico tema  riassumibile nella risposta alla domanda che il P.CARC ha posto al centro del suo IV congresso nazionale (13 e 14 giugno 2015): cosa fare per tirarci fuori dal marasma attuale e cambiare il corso delle cose in senso favorevole alle masse popolari? Solo pochi vanno oltre e chiedono chiaramente quale è la relazione tra la risposta a questa domanda (la tattica) e la lotta per instaurare il socialismo (la strategia).

“Forse che voi comunisti siete a favore della conservazione dell’Unione Europea o della conservazione dell’euro?” è il chiarimento più richiesto. La risposta a questo è semplice: “Noi comunisti siamo per l’eliminazione dell’euro, dell’UE e della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti, del sistema imperialista mondiale e del modo di produzione capitalista. Noi comunisti anzi proponiamo e seguiamo l’unica via efficace e realistica per farlo a partire dal nostro paese: una via facile? No, non facile perché una via facile non esiste, ma una via realistica, possibile: una via che parte dalle condizioni del triste presente e indica i passi successivi da compiere per arrivare al risultato. Siccome è l’unica via realistica ed efficace e siccome l’umanità ha bisogna di eliminare il modo di produzione capitalista e le sue superfetazioni (il catastrofico corso delle cose è prodotto dalla crisi in corso che è una crisi strutturale), siamo sicuri che riusciremo a portare su questa via una parte crescente delle masse popolari e prima o poi arriveremo a percorrerla fino in fondo: basta che noi persistiamo con determinazione, lottiamo senza riserve ed eleviamo la nostra comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe in corso: tutto questo dipende da noi. Il carattere clandestino del nPCI garantisce la continuità della nostra opera qualunque cosa faccia la borghesia.”

La spiegazione del nostro preciso piano d’azione e la dimostrazione della sua bontà, nella misura in cui è possibile darla a priori, cioè prima di averne fatta la dimostrazione pratica, è nella letteratura del nostro Partito che a sua volta si fonda sulla “scienza dell’attività con cui gli uomini fanno la loro storia”, scienza che è denominata anche concezione comunista del mondo o marxismo-leninismo-maoismo. Una scienza che si è forgiata e ha dato buona prova di sé nella pratica della lotta di classe da più di un secolo e mezzo a questa parte.

Nessuna grande impresa è mai stata compiuta né può essere compiuta diversamente: sulla base della scienza esistente si stabilisce l’obiettivo, si traccia almeno a grandi linee la strada per raggiungerlo e ci si mette a percorrerla facendo via via fronte agli imprevisti. Poi la pratica darà la dimostrazione conclusiva della bontà dell’obiettivo e della strada e convincerà anche gli scettici e gli attendisti.

Che l’Unione Europea sia l’unione dei gruppi imperialisti europei, capeggiati da quelli franco-tedeschi, è cosa scontata. Inizialmente, subito dopo la seconda Guerra Mondiale l’unificazione europea fu promossa dai gruppi imperialisti USA in funzione anticomunista e antisovietica, ma a ricostruzione economica compiuta, la costruzione dell’Unione Europea fu presa in mano dai gruppi imperialisti europei, in particolare franco-tedeschi. La tutela dei gruppi imperialisti USA era diventata un ostacolo alla valorizzazione del loro capitale e il dollaro una minaccia alla stabilità dei loro affari.

L’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e il disfacimento dell’Unione Sovietica hanno dato le ali alla loro audacia contro i lavoratori europei, contro i popoli dei paesi semicoloniali e degli ex paesi socialisti e perfino alla competizione sempre più serrata benché ancora cauta con i gruppi imperialisti USA. Noi comunisti analizziamo il corso delle cose usando il marxismo, la concezione comunista del mondo. Quindi che la salvezza dell’umanità dalla catastrofe incombente e il suo progresso passino attraverso la dissoluzione dell’unione dei gruppi imperialisti europei ed esiga addirittura la loro soppressione è per noi cosa scontata. La divergenza tra noi e i fautori dell’ALBA Mediterranea non sta nell’eliminazione o meno dell’euro e dell’Unione Europea. Sta nel come arrivarci: attraverso la costituzione del GBP nel nostro paese o attraverso un accordo tra gli Stati dei paesi economicamente più deboli dell’UE?

Molti nostri lettori chiedono chiarimenti sul realismo della nostra linea che seguiamo e sulla relazione tra la linea seguiamo oggi e l’instaurazione del socialismo che è il nostro obiettivo.

Ci chiedono: La proposta di ALBA Euromediterranea è inconsistente: sia pure. Ma il vostro “preciso piano d’azione”  per costituire il GBP ha le gambe per viaggiare? In altre parole: Voi vi date i mezzi per attuare nonostante l’ostilità della borghesia e del clero quello che proponete?

Le gambe per viaggiare del nostro preciso piano d’azione stanno principalmente nel fatto che il Governo di Blocco Popolare sarà costituito dalla rete capillare delle Organizzazioni Operaie e Popolari che operano come nuove autorità pubbliche e costituiscono l’ossatura del nuovo Stato. Questa rete, per sua natura, come è in grado di costituire un governo composto da uomini di fiducia delle OO e OP e di farlo ingoiare ai vertici della RP, è in grado anche di prendere in mano e tenere in pugno tutta l’economia del paese e l’intero sistema delle sue relazioni interne e internazionali e quindi di far fronte sia all’aggressione della CI e dell’UE sia al contrattacco dei vertici della RP. Per sua natura la costituzione del GBP apre inevitabilmente un periodo di lotta le cui forme e le cui fasi sono da vedere, non sono tutte e in dettaglio prevedibili oggi né importa prevederle in dettaglio, ma che inevitabilmente sfocia nell’instaurazione del socialismo nel nostro paese e in altri.

2.

La concezione della ALBA Euromediterranea invece non si basa né sull’analisi di classe dei paesi interessati né sull’analisi delle forze motrici della loro storia. È una delle fantasie diversive di cui è feconda la sinistra borghese, una parola d’ordine che dovrebbe essere di successo perché condivisa da molti, alla moda, credibile, allusiva all’ALBA creata in America Latina, ecc., ma tanto campata in aria che neanche i suoi fautori si preoccupano di precisarne gli aspetti fondanti e di andare a fondo nell’analisi della situazione in cui dovrebbe realizzarsi.

1. I suoi fautori e propagandisti non dicono neanche quali classi e forze politiche italiane hanno rinchiuso il nostro paese nella “gabbia dell’Unione Europea” e costretto ad aderire all’euro e perché. Parlano dell’Italia senza neanche occuparsi del suo sistema politico che dalla fine della seconda Guerra Mondiale in qua si basa sul potere di ultima istanza della Corte Pontificia e della sua Chiesa e sulla supervisione USA sulle sue Forze Armate, sui suoi servizi segreti e sulla sua diplomazia.

2. I suoi fautori e propagandisti non dicono neanche quali classi e forze politiche italiane dovrebbero rompere la gabbia dell’Unione Europea e stabilire con gli altri paesi mediterranei le relazioni riassunte nella parola d’ordine ALBA Euromediterranea che illustrano in modo approssimativo e raffazzonato. Lo stesso volonteroso Sergio Cararo, quando vuole lodare l’opera di Luciano Vasapollo Il risveglio dei maiali, non trova di meglio da dire che è “un libro ponderoso”: ponderoso certo, ma prolisso, raffazzonato e zeppo di affermazioni confuse, aggiungiamo noi e la dimostrazione la si ha leggendolo.

3. I suoi fautori e propagandisti non si sono neanche preoccupati di dimostrare chiaramente che il catastrofico corso delle cose per le masse popolari del nostro paese deriva dall’introduzione dell’euro e dalla adesione all’Unione Europea e che cesserebbero con l’abolizione dell’euro e la rottura della “gabbia dell’Unione Europea”.

C’è di più: perfino alcuni fautori dell’abolizione dell’euro e della rottura della “gabbia dell’Unione Europea”, persone schierate con Rete dei Comunisti e la sua fumosa proposta, dicono il contrario.

Domenico Moro, anche lui un fautore dell’eliminazione dell’euro e primo relatore del Convegno “Rompere la gabbia dell’Unione Europea” tenuto a Roma il 22 marzo 2014 per iniziativa di Noi Saremo Tutto ma patrocinato anche da Rete dei Comunisti, nel suo scritto Perché e come l’euro va eliminato (che raccomandiamo ai nostri lettori perché è un articolo meno ermetico, contorto e vago di quanto lo siano abitualmente gli scritti degli esponenti della sinistra borghese) illustra chiaramente sia il posizionamento antieuro di una parte importante della borghesia italiana e dei suoi portavoce sia il fatto che l’attuale catastrofico corso delle cose non nasce dall’euro. Ma neanche questa questione viene discussa seriamente in Rete dei Comunisti. Tanto la loro proposta ha solo scopo propagandistico, serve a tessere legami internazionali e interni, è insomma espressione del politicantismo di persone che non hanno fiducia nelle masse  popolari, che sono convinte che le loro brillanti idee non sono comunque destinate a guidare l’attività delle masse popolari data l’arretratezza e la scarsa combattività che quelle persone attribuiscono alle masse popolari.

Il problema è che il lavoro di Rete dei Comunisti in campo teorico ha un carattere completamente e tipicamente accademico. Fare accademia significa non usare la teoria come guida per l’azione, ma parlare, studiare, scrivere articoli e libri, tenere conferenze e convegni, senza dare risposta ai problemi decisivi, senza tirare le conseguenze pratiche dalle analisi, senza analizzare e studiare fino in fondo i temi che si trattano, senza occuparsi di tutti i risvolti che hanno nel contesto concreto della lotta di classe.

I fautori di ALBA Mediterranea propongono che gli Stati dei paesi economicamente più deboli dell’Unione Europea (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) si coalizzino tra loro dividendosi dagli Stati degli altri paesi europei (Germania, Francia, Gran Bretagna, paesi nordici), alleandosi con gli Stati degli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo e creando una loro propria moneta. In realtà si tratta di un progetto inconsistente (di fumo, abbiamo detto)

1. perché non ha le gambe per camminare: gli Stati che dovrebbero coalizzarsi sono principalmente comitati d’affari di gruppi imperialisti, anche se devono travestirsi da istituzioni di tutto il popolo, sono questi comitati d’affari che dovrebbero coalizzarsi tra loro, rompere con gli altri gruppi imperialisti europei e costituire ALBA Euromediterranea;

2. perché, se mai dovesse realizzarsi, non potrebbe che essere la catena che metterebbe le masse popolari dei paesi coalizzati alle dipendenze dei gruppi imperialisti più forti dell’area: una riedizione dell’Unione Europea in formato ridotto, perché “tanto mi dà tanto”.

Per molti dei seguaci e simpatizzanti di Rete dei Comunisti la cosa non costituisce un problema perché secondo la mentalità della sinistra borghese (imperante in questa fase anche nel senso comune delle masse popolari) gli Stati non sono comitati d’affari di gruppi imperialisti, ma sono veramente istituzioni di tutto il popolo, “Stati democratici” come loro stessi si spacciano. Se si prende per buono quello che gli esponenti di RdC scrivono, ne risulta una concezione semplicistica per cui basta che in un paese un gruppo promotore di ALBA Euromediterranea vinca le elezioni perché possa far realizzare allo Stato di quel paese i suoi sogni volonterosi.

Individualmente i dirigenti di Rete dei Comunisti non sono degli stupidi. Sanno bene che gli Stati di cui parlano non sono istituzioni di tutto il popolo. Che anche se i gruppi imperialisti non riuscissero a impedire che un gruppo promotore di ALBA Euromediterranea vincesse le elezioni, questo gruppo dovrebbe adattarsi agli interessi dei gruppi imperialisti perché non si sarebbe dato i mezzi per attuare la sua politica. Ma pensano che se riescono a far credere a una larga parte della popolazione che i suoi mali derivano dalla “gabbia europea” in cui qualcuno l’ha rinchiusa, mettono in moto un processo che porterà lontano. Dove e come, è cosa di cui non parlano. Insomma, essi presentano il programma della trasformazione del corso delle cose cominciando dalla parte più accessibile, più popolare, più accettabile dal senso comune che il declino del movimento comunista e l’opera della borghesia e del clero hanno reso prevalente tra le masse popolari, perfino tra gli operai e addirittura tra una parte degli operai avanzati. Cosa di più facile che far credere che i mali del momento derivano dall’ottusità o dalla prepotenza dei tedeschi? Lo dicono anche Salvini, Forza Nuova, ecc. Perfino Landini dice che i mali dei lavoratori finirebbero se lo Stato italiano facesse “come la Germania”. Perfino una parte importante degli industriali e dei banchieri italiani sono tentati di aderire alle manovre antieuro promosse dai gruppi imperialisti USA, come ben indica Domenico Moro nello scritto sopra citato. L’accoppiata Bergoglio (papa Francesco)-Renzi è espressione di questa tendenza. Quindi c’è spazio per brillare, per tessere relazioni e legami, in Italia e all’estero.

3.

Veniamo infine alla collocazione di Rete dei Comunisti nella sinistra borghese, come sua ala sinistra.

Indignarsi per le critiche, considerarle offese e non entrare in merito è abitudine corrente proprio nella sinistra borghese  e tra i politicisti (in italiano antico si direbbe: politicanti), anche tra quelli che ogni sera e mattina si pronunciano a gran voce contro il politicismo (in italiano antico si direbbe: politicantismo), inteso come riduzione della lotta politica ad accordi, buone relazioni, intrighi, manovre e beghe tra gruppi e individui, ognuno per soddisfare interessi suoi propri che non osa dichiarare. Ma se non si discute del merito delle analisi e delle linee, per forza di cose le relazioni tra gruppi e individui che di politica si occupano, diventano politicantismo. Ciò che distingue un partito comunista sia da un circolo locale di compagni uniti dalla reciproca fiducia sia da un’associazione di politicanti che si dicono comunisti, è che i membri del partito comunista sono uniti da una comune concezione del mondo e da una comune linea politica. Sia la prima che la seconda sono soggette alla verifica della pratica. Per questo nel partito comunista la critica e l’autocritica sono correnti procedure di sviluppo e di crescita, come in ogni organismo sano di persone unite nel perseguimento di un comune dichiarato obiettivo.

Gli esponenti di Rete dei Comunisti si sono sentiti offesi perché abbiamo collocato Rete dei Comunisti nel campo della sinistra borghese? È buon segno rifiutare di essere annoverati nella sinistra borghese, ma anziché fare gli offesi, bisogna prendere le distanze dalla sinistra borghese, smettere di parlare genericamente di sinistra e di rivolgersi genericamente alla sinistra, tracciare chiaramente la linea di demarcazione tra sinistra borghese e comunisti.

In cosa consiste la sinistra borghese?

In cosa individui e gruppi della sinistra borghese si distinguono dai comunisti?

La sinistra borghese è composta da individui e gruppi ognuno con propri caratteri distintivi che si tiene stretti come ogni capitalista tiene stretto il suo capitale. Che ognuno si tenga i suoi giudizi e pregiudizi, che tutti gli altri debbano dichiarare di rispettarli è la premessa corrente di ogni tentativo di accordo e coalizione tra loro. Una cosa non seria: vi immaginate un gruppo di medici che dichiarano di associarsi per debellare una malattia e contemporaneamente dichiarano che non importa la terapia che ognuno di loro pratica? Solo i fautori di una cultura accademica possono a ragione permettersi di tenersi ognuno le sue idee, anziché vedere se sono giuste o sbagliate.

Malgrado i giudizi e pregiudizi che ognuno si tiene stretti, individui e gruppi della sinistra borghese hanno due tratti comuni.

1. Sono tutti malcontenti del corso delle cose che la borghesia impone al mondo e dichiarano di volerlo cambiare in senso favorevole alle masse popolari (intese come quella parte della popolazione che comprende, oltre ai proletari, tutti quelli che hanno di che vivere solo se lavorano): per questo li chiamiamo sinistra e con loro in determinate circostanze facciamo l’unità d’azione.

2. Rifiutano la concezione comunista del mondo, non riconoscono che la società borghese è “gravida del comunismo” e che i mali che l’affliggono sono le “doglie del parto”, non assumono l’instaurazione del socialismo come proprio obiettivo e non assumono l’esperienza del movimento comunista, in particolare l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria (quella scatenata dalla Rivoluzione d’Ottobre e che, per la prima volta nella storia dell’umanità, ha unito in un unico movimento mondiale di progresso tutto quanto di più avanzato esisteva in ogni paese), come materiale da cui trarre lezione e scienza per instaurare il socialismo. Gli esponenti della sinistra borghese trascurano e alcuni addirittura condannano questa esperienza (“errori e orrori” proclamano Bertinotti e Ferrero). In sintesi, vogliono migliorare il mondo ma restando nel capitalismo: per questo li chiamiamo sinistra borghese e noi comunisti rifiutiamo di far parte di uno stesso partito con loro.

La sinistra borghese è la versione moderna dei socialisti utopisti, premarxisti, i promotori del movimento socialista nella prima parte dell’Ottocento. In Italia nella seconda parte del secolo scorso gli esponenti della sinistra borghese sono diventati dirigenti delle masse popolari perché sono i successori dei revisionisti moderni. Questi dopo la vittoria della Resistenza (1945) hanno approfittato delle arretratezze del movimento comunista e lo hanno distolto dall’obiettivo di instaurare il socialismo. Gradualmente hanno corrotto il vecchio PCI e il tessuto di organismi operai e popolari che esso  aveva fatto sorgere. Hanno gradualmente diluito la concezione comunista che lo animava fino a cancellarla. Parte dei revisionisti moderni si sono trasformati in sinistra borghese e questa ha ereditato dai revisionisti moderni la direzione del movimento popolare. Lo sfacelo a cui lo ha portato ha fatto sorgere la contraddizione tra le masse popolari e la sinistra borghese che negli ultimi anni si è manifestata nel tracollo della sinistra borghese sul piano elettorale e nell’indebolimento del movimento sindacale. Con la linea della costituzione del Governo di Blocco Popolare noi comunisti poniamo gli esponenti della sinistra borghese che ancora conservano prestigio e seguito tra le masse popolari di fronte a un bivio: o mettono quanto resta del loro prestigio e seguito al servizio delle Organizzazioni Operaie e della Organizzazioni Popolari per costituire il GBP, o perderanno anche il prestigio e il seguito che ancora hanno.

La sinistra borghese si è fatta forte del declino del movimento comunista nella seconda parte del Novecento per giustificare il suo rigetto del movimento comunista. “Che forse i fatti non hanno dimostrato abbastanza l’inconsistenza del movimento comunista?” è stato il filo conduttore dei ragionamenti dei suoi esponenti. Se bastasse una sconfitta per dimostrare l’inconsistenza di una teoria e abbandonarla, gli uomini non avrebbero mai sviluppato alcuna scienza, come nessun bambino imparerebbe a camminare se bastasse qualche caduta per confutare la validità dei suoi sforzi per stare su due gambe.

Al contrario i grandi successi raggiunti solo dai comunisti e da nessun altro movimento di riforma o trasformazione della società borghese, del sistema capitalista e del sistema imperialista, stanno a dimostrare che la concezione comunista del mondo, come sviluppata da Marx-Engels, da Lenin-Stalin e da Mao Tse-tung è giusta. Il marasma a cui i revisionisti moderni e la sinistra borghese hanno aperto la strada, lo conferma. Stava quindi a noi comunisti scoprire i limiti nella comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe che ci hanno impedito di proseguire la marcia trionfale compiuta nella prima parte del secolo scorso, a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre. È quello che abbiamo fatto. I risultati della nostra ricerca sono esposti nel Manifesto Programma del nuovo Partito comunista italiano. Questi risultati noi comunisti stiamo ora sperimentando, provando e riprovando nella pratica della lotta di classe.

Rete dei Comunisti e il movimento comunista

In Rete dei Comunisti si riscontrano pienamente i due tratti che caratterizzano la sinistra borghese e che abbiamo sopra indicato. Per questo abbiamo posto il gruppo nella sinistra borghese e precisamente nella “ala sinistra della sinistra borghese” perché RdC non fa professione di anticomunismo (alla Bertinotti e alla Ferrero, per intenderci), anzi molti associati della RdC si considerano e si dichiarano comunisti.

Ma cosa intendono per comunismo? In cosa si manifesta la loro adesione al comunismo?

Ci sono quattro tratti importanti e specifici di Rete dei Comunisti che rendono il gruppo estraneo al movimento comunista.

1. L’uso accademico della teoria. Per noi comunisti senza teoria rivoluzionaria non c’è movimento rivoluzionario e la teoria è guida per l’azione. Non si può dire che in Rete dei Comunisti predomini il disprezzo della teoria come invece è il caso di molti altri gruppi e personaggi della sinistra borghese. RdC ha anzi dedicato molto alla teoria, ma è stata una teoria che si è limitata alla descrizione di questo o quell’aspetto del presente, unilaterale e per lo più avulsa dai problemi reali e decisivi del movimento comunista, comunque non finalizzata alla rinascita del movimento comunista. Una teoria specialistica o accademica come si riscontra in molti altri intellettuali della sinistra borghese. Con il suo lavoro nel campo della teoria RdC non ha affrontato e tanto meno dato risposte ai problemi decisivi del movimento comunista: quali sono i motivi per cui in nessuno dei paesi imperialisti i comunisti hanno instaurato il socialismo nel corso della prima crisi generale del capitalismo? Quali sono le cause del declino del movimento comunista dopo i grandi risultati raggiunti nella prima parte del secolo scorso? Come riprendere l’avanzata? Queste sono le domande a cui Rete dei Comunisti non ha dato risposta malgrado la mole del suo lavoro teorico. A queste domande noi comunisti abbiamo dato  la risposta esposta nel nostro Manifesto Programma (2008) e in particolare nell’opuscolo I quattro temi principali da discutere nel Movimento Comunista Internazionale (2010).

Che l’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti fosse un’impresa che richiedeva ai comunisti una profonda riforma intellettuale morale, una rottura profonda sul piano intellettuale e morale rispetto ai dirigenti dei partiti socialisti, era cosa ben compresa da quei promotori e dirigenti della Rivoluzione russa che conoscevano l’ambiente dei partiti europei della II Internazionale, in particolare da Lenin e da Stalin. A conferma basta leggere quello che dice Lenin a conclusione di Cinque anni di rivoluzione russa e la prospettive della rivoluzione mondiale, la sua relazione al IV Congresso dell’Internazionale Comunista (13 novembre 1922).

Il bisogno di una profonda trasformazione del Partito e della riforma intellettuale e morale dei suoi membri è ben chiaro anche nelle riflessioni compiute da Gramsci nei tre anni in cui ha diretto il Partito italiano (dalla fine del 1923 alla fine del 1926 – si veda ad esempio Cinque anni di vita del partito del febbraio 1926) e nel periodo trascorso nel carcere fascista fino alla morte.

La storia del movimento comunista in Italia e negli altri paesi imperialisti documenta che questa trasformazione non c’è stata e il declino del movimento comunista ha confermato che era necessaria. Quindi i comunisti oggi nel campo della teoria devono dare risposte alle domande poste sopra, altrimenti fanno teoria accademica o limitata a ricerche specialistiche. Il grande lavoro compiuto da RdC nel campo della teoria senza cercare e tantomeno dare risposte a quelle domande conferma che Rete dei Comunisti non appartiene al movimento comunista.

2. Il contropiano del piano del capitale. Dichiararsi promotori e fautori di un “contropiano” è un’altra conferma dell’appartenenza di Rete dei Comunisti alla sinistra borghese e della sua estraneità al movimento comunista. Proporsi come proprio compito un “contropiano” significa infatti proporsi di combattere il “piano del capitale”, quindi essere convinti che esiste un “piano del capitale”: i capitalisti sarebbero veramente in grado di elaborare un loro piano di gestione delle vita economica e politica della società, gestirebbero effettivamente la società secondo questo loro piano e la sinistra dovrebbe impedire loro di attuarlo. Questa vecchia concezione dei propri compiti da parte di persone e gruppi che si dicevano comunisti è già stata da noi comunisti esaminata e confutata molti anni fa in uno scritto non a caso intitolato Don Chisciotte e i mulini a vento (1985) e ad esso rimandiamo i nostri lettori. La tesi che i capitalisti non si contrappongono l’un l’altro perché ognuno deve valorizzare il proprio capitale, ma collaborano secondo un piano da essi elaborato per spremere i lavoratori e le masse popolari, è tesi fondante della concezione del mondo che la Scuola di Francoforte (Horkheimer, Adorno, Pollock, Marcuse & C) contrappose nella prima metà del secolo scorso al marxismo, nell’ambito della lotta contro il movimento comunista. Se i capitalisti agivano in base a un piano, per porre rimedio ai mali della società borghese non era necessario instaurare il socialismo. Bastava indurli ad adottare un piano meno malvagio: non rivoluzione ma riforme. In effetti la teoria del “piano del capitale” è la negazione del marxismo e quindi del movimento comunista che sul marxismo si fonda. Secondo il marxismo il capitalismo è un ben definito modo di produzione formatosi in Europa a partire dal secolo XI. Cosa è un modo di produzione? È il sistema di relazioni che mette i lavoratori nelle condizioni di produrre e li induce a lavorare. Il capitalismo è il modo di produzione in cui i proprietari dei mezzi e delle condizioni della produzione assumono i proletari e li fanno lavorare a produrre merci (beni o servizi). Come ogni modo di produzione, il capitalismo funziona secondo sue proprie leggi che Marx ha scoperto e illustrato in Il capitale. I capitalisti devono conformarsi a quelle leggi. Le leggi proprie della valorizzazione del capitale per ogni capitalista, singoli o associati, sono leggi di natura, oggettive, indipendenti dalla sua volontà. Esse costringono gli amministratori del capitale a spremere i lavoratori e le masse popolari. Lo sfruttamento degli operai non è cosa che dipenda dalle idee o dal carattere dei capitalisti, non è una questione soggettiva, intellettuale o morale. Il capitalista è un amministratore del capitale: se non obbedisce alle leggi del modo di produzione, viene sostituito da un capitalista che vi  si attiene, da un capitalista suo concorrente. Per questo i proletari possono liberarsi dall’oppressione dei capitalisti solo ponendo fine al modo di produzione capitalista.

Erigere a propria insegna la lotta contro il piano del capitale anziché proporsi di instaurare il socialismo ed eliminare il capitalismo, è rinnegamento del movimento comunista.

3. La sponda politica delle lotte operaie e popolari. La concezione del partito comunista come sponda (gruppo di sostegno delle rivendicazioni e richieste degli operai e delle masse popolari in generale) nelle istituzioni del sistema politico del nostro paese, la Repubblica Pontificia, è la riproposizione, con parole da sinistra borghese, del ruolo riformista che il vecchio PCI ha effettivamente svolto finché era diretto dai revisionisti, durante il periodo del “capitalismo dal volto umano”, prima che incominciasse la seconda crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale, quando il movimento comunista era tanto forte nel mondo da far paura alla borghesia e da portarla a mettere in opera il sistema di controrivoluzione preventiva. Inutile dimostrare che queste condizioni non esistono più, che voler fare oggi la sponda politica delle lotte delle masse popolari significa voler fare i riformisti in un contesto senza riforme. Il partito comunista deve porsi come obiettivo l’instaurazione del socialismo, non l’obiettivo di fare la sponda politica. Non a caso nei paesi imperialisti i partiti comunisti ridottisi a fare da sponda politica sono ridotti al lumicino o scomparsi.

4. Il superamento della forma partito. Per instaurare il socialismo la classe operaia deve avere un partito comunista, un partito costituito da uomini e donne legati l’uno all’altro dalle relazioni ideologiche, politiche e organizzative esposte poco più di un secolo fa da Lenin (Che fare? (1902) e Un passo avanti e due indietro (1904)). L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria con i suoi successi e le sue sconfitte ha confermato pienamente le indicazioni di Lenin e le ha arricchite con gli apporti di Mao che abbiamo riassunto in La ottava discriminante (in La Voce n. 41). Invece secondo i fautori del “superamento della forma partito” i comunisti non dovrebbero più essere legati l’uno all’altro dalle relazioni ideologiche, politiche e organizzative indicate da Lenin, ma sarebbero un’accolta di individui e gruppi ognuno dei quali liberamente (nel senso deteriore di arbitrariamente e individualisticamente) si professa comunista e al più sono connessi in rete. Il “superamento della forma partito” accomuna Rete dei Comunisti ad altri gruppi della sinistra borghese e la fa continuatrice non del movimento comunista ma delle correnti opportuniste già individuate e denunciate da Lenin più di un secolo fa. Esso è un altro dei tratti che rende Rete dei Comunisti estranea al movimento comunista.

Questi quattro tratti caratteristici di Rete dei Comunisti giustificano la nostra indicazione di RdC come “ala sinistra della sinistra borghese”. Quindi non si tratta di insulti, ma di chiare e buone ragioni.

Non fate quindi gli offesi, signori esponenti della Rete dei Comunisti, ma piuttosto chiarite a voi stessi e ai vostri seguaci come vi posizionate rispetto al movimento comunista.

Il futuro è del comunismo. A nessuno è precluso di partecipare alla rivoluzione socialista. Basta volerlo!

Comitato Centrale del (n)PCI http://www.nuovopci.it
 

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