“Lettura critica della Legge sugli Ecoreati”

È diventato legge il ddl sugli ecoreati, su cui si discuteva da tempo in attesa di una votazione definitiva. L’approvazione è avvenuta al Senato lo scorso 19 maggio.


Lettura critica della Legge sugli Ecoreati

 

È diventato legge il ddl sugli ecoreati, su cui si discuteva da tempo in attesa di una votazione definitiva. L’approvazione è avvenuta al Senato lo scorso 19 maggio.

La notizia è passata come una svolta nel codice penale nel combattere chi danneggia l’ambiente e la salute pubblica. Con la nuova legge sugli ecoreati, si legge, diventano punibili con maggiore severità una serie di comportamenti che passano da contravvenzioni a delitti, dunque di maggiore gravità per l’ordinamento giudiziario.

Disastro ambientale. 

Questa fattispecie (Art. 452-quater) connota un’alterazione irreversibile dell’ecosistema, oppure dell’equilibro di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa, o ancora l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi. Reclusione da 5 a 15 anni, con aggravante prevista se il danno è procurato in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico.

 

Traffico e abbandono materiali ad alta radioattività.

Art. 452-sexies: Cessione, acquisto, ricezione, trasporto, importazione, esportazione, procura, detenzione, trasferimento, abbandono, o disfacimento di materiale ad alta radioattività. Prevista reclusione da due a sei anni con multa da 10mila a 50mila euro. IN caso di compromissione di acque, dell’aria, di un ecosistema, della biodiversità, della flora o della fauna sono tutte aggravanti, rese ancora più alte se viene messa in pericolo la vita di persone.

 

Impedimento controllo.

Art. 42-septies. “Chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.

 

Associazioni contro l’ambiente. 

Qualora i reati vengano commessi in forma associativa sono previste ulteriori aggravanti.

 

Ravvedimento operoso.

Art. 452-decies. Chi si adopera per evitare conseguenze ulteriori dell’attività delittuosa, si vedrà ridotta la pena dalla metà ai due terzi.

 

Confisca.

Art. 452-undecies. In caso di condanna, viene disposta la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commettere il reato. Toccherà al giudice individuare quali beni sottoporre a confisca, che non si applica qualora l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e alla bonifica dei luoghi coinvolti.

 

Gestione degli illeciti ambientali. 

Vengono introdotte anche modifiche al D.Lgs.152/06 con una nuova Parte riguardante le procedure di gestione degli illeciti amministrativi e penali qualora i comportamenti in contravvenzione non abbiano cagionato danni o pericolo concreto. Viene previsto, in analogia alle norme di sicurezza sul lavoro ed altri reati c.d. “minori”, la possibilità di depenalizzazione del reato in caso di adempimento alle prescrizioni tecniche asseverate dall’organo tecnico di competenza e contestuale oblazione (ossia versamento in misura ridotta del massimo della contravvenzione).

 

Cerchiamo di spiegare di seguito nei dettagli la nostra critica al decreto legge.

 

Già la scelta di introdurre un nuovo titolo nel Libro Secondo del Codice Penale dovuta forse alla presunta necessità di introdurre il concetto stesso di ambiente nel nostro sistema penale denoti sia una scarsa comprensione della valenza comunque onnicomprensiva dell’attuale Codice Penale sia la manifesta incapacità nel saper definire, con termini di attuale comune accezione, le specifiche fattispecie di reato che si intendono perseguire, anche utilizzando l’articolato sistema penale già esistente e che come appena accennato già prevede la tutela di “beni ambientali”. Il Titolo VI già ab origine, databile al 1930, prevede come il danno a quelli che oggi chiamiamo “sistemi ambientali” sia penalmente perseguibile, come dimostrano le pene previste per incendi, frane, inondazioni etc., ivi comprese le fattispecie ”colpose”  ex art. 434.

Inoltre la richiesta avanzata dalle parti sociali e spesso dalla magistratura stessa sulla definizione di “disastro ambientale” e sulla necessità di formalizzare il principio ispiratore del “chi inquina paga” -formulato dalla Unione Europea- puntualizzandone requisiti e condizioni, non ci pare sia pienamente raggiunto con la formulazione del Ddl n.1345 in discussione,

L’esame del testo approvato in seconda lettura al Senato, evidenzia a nostro avviso le seguenti criticità:

 

ART. 452-BIS

 

  • La fattispecie di “inquinamento ambientale” di cui all’art. 452-bis e quella di “disastro ambientale” di cui al 452-quater, così come formulate, risultano facilmente confondibili nella visione del normale cittadino, venendo quindi a violare il principio di tassatività della fattispecie incriminatrice.

  • Infatti, la definizione del reato di “inquinamento ambientale” risulta oltremodo fumosa laddove dice  “cagiona una compromissione o un deterioramento rilevante: 1) dello stato delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo,; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.” 

  • È evidente come la terminologia deterioramento rilevante non contenga alcuna nozione puntuale, né quantitativamente né qualitativamente, cui il cittadino in primis ma anche il magistrato subito dopo possano avere un punto di riferimento certo.Valga la pena di osservare che, in teoria, anche l’immatricolazione di 50 nuovi autoveicoli/anno nell’ambito di un comune a bassa densità di vetture e con basso traffico extraurbano  può configurare localmente un deterioramento rilevante dell’aria, mentre in una metropoli  come Roma o Milano anche l’immatricolazione di 1000 autoveicoli risulta ampiamente ridiluita sia nel numero di veicoli dei residenti già circolanti sia nell’ulteriore carico sull’aria-ambiente dei tanti veicoli affluenti da aree extraurbane. Ancora, il concetto stesso sia di compromissione che di deterioramento richiede che sia definito inequivocabilmente il termine almeno temporale di paragone cui il cittadino ma anche il magistrato possono riferirsi con certezza: anche per questa ineluttabile necessità possa valere l’esempio che persino il normale sfruttamento agricolo di un suolo precedentemente incolto o con vegetazione autoctona spontanea di fatto compromette in maniera rilevante lo stato preesistente dello stesso, ma non per questo si è creata una situazione di inquinamento.

  • Sarebbe stato necessario, oltre che opportuno, definire sia temporalmente, che spazialmente l’estensione del presunto deterioramento e/o compromissione, in quanto in mancanza di tali parametri certi anche l’espressione stessa  “cagiona abusivamente” non consente né il perseguimento di avvenuto inquinamento, sempre possibile anche con comportamenti non previsti come illeciti, né la quantificazione spaziale del reato né, infine, la salvaguardia del cittadino da arbitrarie interpretazioni del troppo generico termine .  

 

ART. 452 TER

 

  • Le previste pene per il reato di lesioni personali, con la sola eccezione di malattie di durata inferiore a 20 gg, nonché di lesioni gravi, gravissime e di morte erano già previste dal codice penale agli artt. 582, 583, 584, 586 e 589; in particolare, l’art.586 già prevedeva esplicitamente pene per lesioni o morte derivanti da altro delitto, e la riformulazione delle pene, allo stato, risulta incostituzionale giacché a parità di danno cagionato alla persona la relativa pena risulta diversa e ciò in violazione palese deglì artt. 3 e 25 della ns. Costituzione

 

ART. 452-QUATER

 

  • L’art. 452-quater assegna alla locuzione disastro ambientale una specifica caratterialità sia spaziale  (cfr. “estensione delle compromissione”) che temporale per quanto proiettata nel futuro ( cfr. “eliminazione particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali”), ma quella che più lascia perplessi è la dicitura “alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema”, atteso che ogni ecosistema proprio in quanto tale è in un proprio continuo divenire tanto più mobile quanto comunque condizionato dagli ecosistemi adiacenti ovvero coesistenti.

  • Atteso quindi che nel Disegno di Legge approvato è già palesata la differenza tanto significativa quanto concettualmente condivisibile tra “Inquinamento ambientale” e “Disastro ambientale”, diversamente modulati anche nella pena prevista, occorreva che fossero fissati i relativi riferimenti di fattispecie, ossia in quali casi la compromissione o deterioramento significativi e misurabili previsti in art. 452-bis configurino alterazione irreversibile ovvero in base a quale metro di paragone la loro eliminazione possa essere considerata particolarmente onerosa. Tale aspetto assume significativa criticità perché le tecnologie di bonifica, come tutte le tecnologie, hanno costi maggiori in prima applicazione da un lato e dall’altro in sede di contenzioso la stessa “eliminabilità” teorica dell’alterazione laddove provata ne attesta la reversibilità, risultando quindi questo articolo intrinsecamente antinomico 

  • Inoltre, appare almeno incongruo che una fattispecie di minore danno, l’inquinamento, preveda sia la sanzione pecuniaria a ns. avviso anche modesta,  sia quella reclusiva, mentre il disastro ambientale non comporti alcuna sanzione pecuniaria ma solo quella reclusiva, anch’essa a ns. avviso comunque esigua .

 

ART. 452-SEXIES

 

  • Tutta la regolamentazione delle sostanze radioattive è già supportata da norma specialistica, il D.Lgs.  230/95 e ss.mm.ii., per cui si ritiene che per i principi che regolano il nostro Ordinamento sia errato inserire la fattispecie di reato prevista dall’art 452-quinquies = Traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività nel Codice Penale Generale. Oltre tutto, la fattispecie prevista riguarderebbe solo il “materiale ad alta radioattività” che non è esclusivamente suscettibile di indurre un danno ambientale, mentre l’attuale normazione appena richiamata prevede già ad oggi una ammenda da venti a cento milioni di lire, quindi grossolanamente equiparabile a quella prevista, e ciò indipendentemente della categoria di radioattività, oltre la pena dell’arresto.

  • Pertanto, se questo articolo intendeva incrementare a scopo dissuasivo la incorretta gestione dei soli materiali ad alta radioattività, sarebbe stato ben più logico, oltre che giuridicamente più corretto, apportare la variazione alle pene previste dall’art.  140 del cit. D.Lgs. 230/95, nei seguenti termini, che oltre tutto già prima di oggi consentivano di ricondursi al disastro ambientale c.d. “innominato” così come previsto nell’art. 434 C.P.. Infatti, il comma 1-bis dell’art. 140 del D.Lgs.  230/95 già dettava “La pena di cui al primo comma è aumentata se dal fatto deriva il pericolo di compromissione o deterioramento: 1) della qualità del suolo, del sottosuolo, delle acque o dell’aria; 2) dell’ecosistema, della biodiversità, della flora o della fauna selvatica. Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone, la pena è aumentata fino alla metà.”

 

ART. 452-DECIES

 

  • Pur comprendendo la necessità operativa di riservare ai collaboratori di giustizia un trattamento premiante detta collaborazione, si ritiene che sia percepibile come “ingiusto” dalla cittadinanza che si considerino equiparabili le posizioni di coloro che, pur accomunati dalla condanna per art. 416 aggravato dall’art. 452-septies, siano diversamente risolutivi rispetto al protrarsi/compiersi del delitto ovvero almeno alla messa in sicurezza e bonifica del danno arrecato.

 

In sintesi,

La Legge 28/2015 sui c.d. “ecoreati” presenta tre gravi criticità:

 

  1. La legge penale non può mai essere retroattiva, e questo costituzionalmente (art. 25 c.2: Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso) e che si concretizza nel  Codice Penale con l’art. 2 c.1: Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato. Pertanto, questa legge non può costituzionalmente avere effetto su nessuno dei giudizi ad oggi pendenti, ma nemmeno su quelli che potrebbero venire intentati dopo la sua approvazione se relativi ad eventi avvenuti prima della sua approvazione, e persino su nessuno dei procedimenti attualmente ancora in fase istruttoria. Perché si possa attuare la necessità di avere un ristoro della collettività -o dei singoli- che si ritenesse danneggiata da danni o disastri ambientali già avvenuti, quindi, occorre una definizione precisa di ciò che è danno e di ciò che è disastro, e soprattutto che questa definizione sia univocamente quantificabile e non lasciata ad interpretazioni non scientifiche e men che mai ad emozioni individuali o collettive.

  2. Così come formulata, per di più, questa norma che prevede pena per chi “cagiona abusivamente” può risultare una sostanziale sanatoria per chi è attualmente indagato o sotto processo per il disastro ambientale c.d. “innominato” già previsto dall’art. 434 C.P. Infatti, ai sensi dell’art. 2 c.4 del Codice Penale qualora una Legge intervenuta dopo la commissione del reato sia più favorevole al colpevole, questi può chiederne l’applicazione per il principio giuridico del favor rei: e ciò implica che coloro, ad oggi già sotto processo, che abbiano comunque causato un comprovato disastro ambientale -che restava configurato nel precedente “disastro innominato” previsto dall’art. 434- potranno in virtù di tale principio, chiedere l’applicazione del neo-introdotto art. 452-quater. In tale modo, qualora il pur provato disastro sia avvenuto con modalità “non abusiva”, ossia non in contravvenzione con le norme esistenti all’epoca dei fatti, non essendo il disastro stato cagionato abusivamente non vi saranno gli estremi di prova del reato stesso, con conseguente e dovuta assoluzione.

  3. E questo rappresenterà nei processi la terza ed ancora più grave criticità: L’intero impianto di questo disegno di legge si basa su definizioni soggettive e non obiettivabili, partendo da quella di “inquinamento ambientale”  e finendo a quella di disastro ambientale”. E questo contrasta con quanto previsto dall’art. 24 della Costituzione, Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Nel momento in cui non risultasse provato nel processo in corso un incremento peggiorativo tra le condizioni ambientali così come rilevate all’atto del rinvio a giudizio e le condizioni del medesimo sito al momento dell’entrata in vigore delle prime norme di tutela ambientale,  non essendovi né la prova obiettivabile del danno/disastro né dell’abusività che l’abbia causata, assisteremo a raffiche di assoluzioni giuridicamente ineccepibili perché il fatto non sussiste o perché non è reato. Infatti, per potere avere l’univoca certezza che vi sia stato un “inquinamento ambientale” occorre conoscere di dettaglio lo status quo ante esistente prima che si verificasse l’evento ritenuto dannoso e su tutte le matrici potenzialmente interessate: aria, suolo, sottosuolo, falde, fauna e flora di ogni livello sistematico ecosistema locale, ed a maggior ragione occorre avere questa precisa conoscenza nel caso di “disastro ambientale”, atteso che la valenza depenalizzante del “ripristino” è uno dei capisaldi di questa Legge. Ad oggi, questi dati scientifici oggettivi, che devono necessariamente essere di data certa, in Italia non ci sono neppure per siti come l’Italsider di Taranto, che ha iniziato la sua produzione nel 1965 e non si hanno dati riferiti a nessuna nelle matrici ambientali precedenti i primi anni del millennio, e ciò proceduralmente impedirà la possibilità di prova del reato atteso che ai sensi dell’art. 1 – quindi, il presupposto di tutto il resto – del Codice Penale in base al quale “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge”.

 

In conclusione,

 

così come risulta formulata, l’attuale regolamentazione penale dei c.d. “ecoreati” è assolutamente priva di requisiti essenziali per il nostro ordinamento di “certezza del reato” la cui valutazione per quanto richiesta come “misurabile” resta valutabile solo in maniera arbitraria e soggettiva e pertanto in violazione addirittura dell’art. 1 del Codice Penale che detta “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge”: il cittadino non saprà mai se un qualunque dato ambientale “misurabile” una volta misurato potrà essere valutato come danno, come disastro ovvero come normalità, e persino operando nel rispetto assoluto di tutta la cogente normativa ambientale sarà sempre soggetto all’arbitrarietà valutativa  di chiunque.

Inoltre, dispiace in modo particolare che persino in questa occasione non si sia spesa neppure una parola su altri aspetti non igienico-sanitari del bene “ambiente”, quali ad esempio il paesaggio o il consumo del suolo, beni ambientali assolutamente essenziali per un diverso sviluppo, anche economico, dell’Italia in un futuro che ci auguriamo prossimo. 

 

Aurora Brancia 

Task Force Pandora

4 Giugno, 2015

 

http://www.taskforcepandora.com

Sharing - Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *