“Ci sono quelli che non smettono di porre domande, chi non sa dove passare e quelli che mettono in comune idee e punti di vista. In ogni caso è forte il bisogno di percorsi non consueti, di un apprendimento diverso, di scrivere fuori dai margini”.
NEWSLETTER DI COMUNE
SCORGERE QUALCOSA CHE ACCADRÀ
Ci sono quelli che non smettono di porre domande, chi non sa dove passare e quelli che mettono in comune idee e punti di vista. In ogni caso è forte il bisogno di percorsi non consueti, di un apprendimento diverso, di scrivere fuori dai margini. Il quinto appuntamento nazionale della Rete di cooperazione educativa (che da alcuni anni mette insieme insegnanti, babbi, educatrici, mamme… compagni di strada di maestri come Lorenzo Milani, Mario Lodi, Gianfranco Zavalloni), a Bastia Umbra (24 e 25 ottobre), è prima di tutto un tentativo per riconoscere le scintille di un mondo nuovo, uno spazio di incontro in un periodo piuttosto buio nella storia dell’educazione. Alla due giorni è stata invitata anche la redazione di Comune: condivideremo in un laboratorio (le iscrizioni sono aperte qui) il nostro sforzo nel raccontare e accompagnare i molti modi con cui, nonostante tutto, il cambiamento sociale fiorisce in basso
VALENTINA GUASTINI E CARLO RIDOLFI
DOVETE LASCIARE IN PACE I MAESTRI
Quella di sottoporre a giudizio gli insegnanti è una vera ossessione per gli esecutori delle vuote demagogie della Buona Scuola. Ma con quali criteri farlo? Quali strumenti usare? Le domande si accavallano, l’apprensione cresce e tra i docenti s’insinua un disagio che non è affatto frutto delle circostanze ma risponde a un obiettivo cinico quanto preciso. Un bel giorno di fine settembre, poi, uno di questi insegnanti vede circolare un’ipotesi, una tabellina tanto ridicola quanto umiliante. Guardatela con attenzione qui sotto, racconta la Buona Scuola meglio di tante analisi. Intanto, però, il disagio si è fatto indignazione e poi esaperata, furibonda ira: lasciatemi lavorare in pace!
PIETRO RATTO
SULLA COSIDDETTA CRISI DEI RIFUGIATI SIRIANI
L’improvvisa epidemia di rifugiati – che rovescia in Europa un dolore finora sopportato solo dai paesi confinanti con la Siria: Turchia, Libano e Giordania – ha collegato, nella percezione dell’opinione pubblica, l’esodo dei siriani con la violenza dello Stato islamico. Una percezione solo mediatica se si tiene conto che – secondo l’Unhcr – l’11 luglio 2014, prima dell’ «invasione» di Iraq e Siria da parte dell’Isis, c’erano già 3 milioni di rifugiati siriani nella regione. Nell’ultimo anno se ne è aggiunto un milione mentre la decisione dei rifugiati di spostarsi in Europa si deve soprattutto alla diminuzione degli aiuti in favo re degli stessi rifugiati (in Turchia, Libano e Giordania) da parte dell’Europa e degli Usa. Ora bisogna alleviare in qualunque modo le sofferenze del popolo siriano ma non dobbiamo dimenticare chi sono i responsabili di quelle sofferenze e della sconfitta della democrazia in Siria: in primo luogo il regime di Assad e quanti lo hanno sostenuto (Russia, Iran, Hezbollah) e poi quelli che l’hanno combattuto in maniera ipocrita, senza far realmente nulla o dirottando risorse economiche e armi verso quegli stessi jihadisti che oggi sono da bombardare (Arabia Saudita, Turchia, Usa, Ue)
SANTIAGO ALBA R ICO
QUELLO CHE LE RUSPE NON POSSONO DISTRUGGERE
A Ventimiglia c’era “la cucina in cui per quattro mesi abbiamo cucinato assieme mischiando culture e sapori – scrive Emanuela Lava -, il tavolone sul quale ogni mattina si faceva colazione e ci si radunava per leggere le solite terribili notizie sui quotidiani, l’infermeria dove abbiamo imparato un poco di più a prenderci cura gli uni degli altri, il piazzale dove abbiamo suonato cantato manifestato abbracciandoci stretti, l’ufficio che ha o spitato workshop, lezioni di lingua, interminabili stesure di comunicati, l’area tende che in questi mesi ha visto liti furiose, flirt, momenti di sconforto e di euforia, gente arrivare, gente partire …. Mercoledì le ruspe hanno abbattuto tutto quello che potevano abbattere …. Ma non c’è dubbio, abbiamo vinto comunque. Ci siamo cercati gli uni con gli altri fino alla fine e quando ci siamo trovati siamo tornati forti, fortissimi, quello che abbiamo creato per davvero in quattro mesi, nessuna ruspa potrà distruggerlo …. Io non sono libera se un mio fratello non è libero, quindi si ricomincia, da qui ….”. Già, si ricomincia da qui, da un patrimonio di relazioni sociali diverse coltivato in quattro mesi, ogni giorno: per le ruspe è tempo di frustrazioni
EMANUELA LAVA
NON STIAMO ZITTI. NON STIAMO FERMI
Dal presidio di Ventimiglia alla marcia a piedi scalzi passando per chi nelle scuole e nei territori crea ogni giorno città nuove meticce e interculturali. Ci sono molti modi con cui migliaia di persone rifiutano il razzismo istituzionale e quello della gente comune e ripensano la grammatica dell’accoglienza: ciò che li lega è prima di tutto il loro “ribellarsi facendo”, ma anche l’invisibilità. Non siamo abituati a riconoscerli, meno ancora i media sono abituati a raccontarli. A Roma, ad esempio, è nata una rete spontanea, Welcome All, intorno ad alcune iniziative di solidarietà (delle sessantasei ragazze nigeriane trattenute illegalmente nel Cie di Ponte Galeria al Comi tato per i diritti dei nuovi desaparecidos del Mediterraneo). “Non stiamo più a guardare. Non stiamo zitti, non stiamo fermi, l’inerzia ci fa complici …. – si legge nel loro manifesto – A governi e istituzioni diciamo: guardatevi intorno …. Ai razzisti diciamo addio, non vi ascolteremo, non siete parte del gioco, non abbiamo tempo per voi …. Non chiediamo per chi suona la campana. Siamo noi che dobbiamo dire e fare …“
LORENZO DECLICH E SAVINA TESSITORE
IMMAGINARE UNA SVOLTA NELLA STORIA
Possiamo immaginare una via d’uscita dall’inferno soltanto partendo dai punti centrali su cui l’inferno poggia: la superstizione che si chiama crescita, la superstizione che si chiama lavoro salariato. La crescita non tornerà perché non è più possibile, non è più necessaria, non è più compatibile con la sopravvivenza del pianeta, e ogni tentativo di rilanciare la crescita coincide con devastazione ambientale e sociale. Di lavoro, semplicemente, ce n’è sempre meno biso&s hy;gno: dobbiamo cominciare a ragionare in termini di riduzione drastica e generalizzata del tempo di lavoro per avere la possibilità di liberare una frazione sempre più ampia del tempo sociale da destinare alla cura, all’educazione e alla gioia
FRANCO BERARDI BIFO
► LA BUONA ECONOMIA NON ESISTE
SERGE LATOUCHE
► QUELLA SVEGLIA PUNTATA ALLE SEI DEL MATTINO
M. CALABRIA E G. CARMOSINO
XYLELLA, LA CURA ALTERNATIVA È UN SUCCESSO. E ORA?
La lotta per gli ulivi del Salento non si arresta. I risultati della ricerca sperimentale condotta da Marco Scortichini, direttore del Centro di Ricerche per la Frutticoltura di Caserta, sono stati straordinari: l’utilizzo di un biostimolante – che non effetti tossici sulle piante – su ben centodieci alberi nel leccese ha permesso di guarirlli tutti. Perché la Commissione europea tarda ad accettare l’evidenza che non solo la Xylella non sarebbe scientificamente accertata su tutte le piante affette da disseccamento ma soprattutto che una cura esiste?
ANTONIA BATTAGLIA
METTERE IN DISCUSSIONE IL DOMINIO DEL DENARO
Se si da un’occhiata a una banconota inglese o statunitense, troviamo la scritta “In God we trust”. Scrive Giorgio Agamben: “Dio non è morto, è stato trasformato in denaro”. Analizzare cosa sia il denaro – quindi la moneta, il debito, l’interesse -, è una impresa ardua e complessa, perché si sono mescolate tra loro diversi fattori e diverse relazioni tra oggetti sociali differenti. Tuttavia è un esercizio che occorre fare e che non possiamo delegare agli “esperti”. Antonio Savino, che si definisce “artigiano della decrescita”, ci prova in questo testo con l’aiuto, tra gli altri di Marx, Latouche e Agamben. Su questo tema abbiamo b isogno di “domande giuste”, dice Savino, “in un mondo completamente monetizzato in cui gli esseri umani non contano più su niente, almeno questo deve contare qualcosa”
ANTONIO SAVINO
► FACCIAMO I CONTI SENZA DENARO
MARZIA CORONATI
L’ULTIMA LEZIONE DI INGRAO
Le immagini dei funerali di Pietro Ingrao, scrive Alain Goussot, mostrano non solo la distanza oceanica tra il ceto politico istituzionale presente sul podio e l’uomo che “voleva la luna”, ma anche la scarsa presenza di ceti popolari e dei giovani che probabilmente non sanno neanche chi fosse Ingrao. È in corso una perdita di memoria collettiva, “ne va della capacità di pensare in modo critico, dell’essere cittadini e non sudditi”
ALAIN GOUSSOT
► CONVERSAZIONI SOTTO UN CIELO DI PIOMBO
ROSSANA ROSSANDA E PIETRO INGRAO
► PIETRO INGRAO E LA SFIDA DEL FEMMINISMO
LEA MELANDRI
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