“Siamo tutti profughi”

Il 2015 si sta rivelando un anno particolarmente complicato per l’Europa; dopo un primo semestre segnato dalla tragedia greca, è cominciato il dramma dei profughi provenienti dalla Siria e da altri paesi.

 

Siamo tutti profughi

In fondo siamo tutti profughi che cercano di tornare a un mitico paradiso perduto originale. Se insisteremo, muri, barriere e inganni non riusciranno a fermare il nostro cammino. 

 

Il 2015 si sta rivelando un anno particolarmente complicato per l’Europa; dopo un primo semestre segnato dalla tragedia greca, è cominciato il dramma dei profughi provenienti dalla Siria e da altri paesi. Di nuovo riunioni su riunioni europee del massimo livello e di nuovo – con il permesso dei poveri profughi – un comportamento dei governi che va dal “Re nudo” di Andersen, nel migliore dei casi, al personaggio di Eli Wallach nei “Magnifici sette”, un miscuglio tra l’idiota convinto di conservare le apparenze e il miserabile senza scrupoli disposto a tutto pur di ottenere quello che vuole.  

La gente fugge dalla Siria perché là c’è una guerra, fomentata fin dall’inizio dalla Nato. Dunque paesi che hanno contribuito a fomentare una guerra in Siria ora si rifiutano di accogliere o almeno aiutare chi ne è stato danneggiato. Non solo li bombardano, ma poi gli chiudono in faccia le frontiere. 

Al di là delle definizioni date dall’Acnur o Wikipedia, un profugo è una persona che lascia il suo paese o la sua regione perché là ha il futuro chiuso e decide di provare ad aprirlo in un altro luogo. Secondo questo criterio la maggioranza degli attuali migranti si possono considerare profughi, giacché non se ne vanno per piacere, ma per obbligo.  

Grazie ai progressi nei trasporti negli ultimi decenni e all’avanzata della globalizzazione economica e delle telecomunicazioni, l’aumento delle migrazioni è la cosa più logica e prevedibile. Tuttavia i governi hanno risposto a questo fenomeno crescente ponendo maggiori ostacoli alle frontiere (con l’eccezione dell’accordo di Schengen tra alcuni paesi europei, che in questo momento è in discussione). Così, mentre si facilita la circolazione del denaro per il pianeta, a vantaggio di chi ne possiede o può gestirne molto, aumentano le difficoltà per il movimento delle persone. 

La risposta data dalla maggioranza dei governi della civile Europa al problema dei rifugiati siriani è stata di un’indegnità tale che non ci sono parole per definirla. Il solo fatto di doverne scrivere già dimostra il clamoroso fallimento della supposta civiltà europea, che ha preteso di imporsi come modello al resto del mondo. Esiste ancora qualcuno in questo piccolo pianeta che non si rende conto che stiamo parlando di persone? Persone che sono nate, hanno avuto un’infanzia, sono cresciute come potevano, con sofferenze ma anche con allegria, che a volte si comportano in modo sbagliato, ma nutrono anche grandi sogni e aspirano alla felicità come tutti noi. Come abbiamo potuto credere che la felicità di alcuni si opponga a quella di altri? Non finiremo mai di crescere?    

A questo punto non ci resta che fare appello alla parte migliore dell’essere umano, che nei momenti più oscuri lo ha salvato dal disastro totale, a quell’empatia con l’altro chiamata in vari momenti della storia  fratellanza, solidarietà o cameratismo. Non importa il nome che le diamo: quando le persone sono capaci di riconoscersi negli altri, tutte le barriere si rompono.  I “concorrenti” non sono più tali, se appena possono le persone aprono le loro case e mettono il meglio di sé per aiutare chi ne ha bisogno. Oggi sono i profughi, domani potranno essere altri, o magari noi stessi… 

Quando, vari mesi fa, un attacco criminale ha ucciso vari giornalisti, molti hanno detto: “Je suis Charlie”. Oggi possiamo dire: “Io sono un profugo”, “Siamo tutti profughi.” Anche se sembriamo diversi, non lasciamoci ingannare dalle apparenze. Siamo un unico cuore che batte allo stesso ritmo. 

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