A 70 anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, la Cgil ha voluto ricordare tutte le persone uccise durante la seconda guerra mondiale perché disabili.
Disabili: ieri come oggi, “vite da scarto”. Cgil: Sempre più discriminati
La Cgil ricorda i disabili uccisi durante la seconda guerra mondiale: una riflessione che parte da lontano per discutere sulla condizione attuale di chi ha una forma di disabilità. Nina Daita (Politiche per la disabilità, Cgil) “La storia passata narra di eccidi, quella presente di diseguaglianze sociali”
ROMA – A 70 anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, la Cgil ha voluto ricordare tutte le persone uccise durante la seconda guerra mondiale perché disabili. “Oggi, come ieri, si persevera in un atteggiamento culturale, professionale e lavorativo di segregazione di chi ha degli handicap”, afferma Nina Daita, responsabile nazione Politiche per le Disabilità Cgil, nel corso del convegno “Vite da scarto”. “La giornata di oggi non vuole essere un momento commemorativo ma una riflessione sulla disabilità di oggi. La storia passata narra di eccidi, quella presente di diseguaglianze sociali”. Ad essere maggiormente discriminate sono le donne disabili: solo 4 su 10 hanno un posto di lavoro. “Sembra che la loro vita valga un po’ meno di quella dei normodotati”, continua Daita.
Minori e adulti disabili furono le prime cavie degli orrori nazisti. Anche se non si dispongono di dati certi, si stima che furono circa 375.000 le persone sterilizzate perché affette da malattie ereditarie, vale a dire lo 0,5% della popolazione tedesca. Agli adulti disabili era riservato invece il Aktion T4, progetto che deve il nome a Tiergarten Strabe, la via di Berlino dove aveva sede la Cancelleria del Reich e degli Enti responsabili della sua attuazione: i pazienti venivano rinchiusi in case di cura e poi uccisi. In totale il numero delle vittime furono 200.000.
“Nella tragedia di tutti si ritrova la storia di ognuno. Sono stati uccisi perché erano un costo per la società. Il passato può ritornare se non si costruisce un futuro a memoria del male. La politica ha il compito di difendere l’equità. Non capiamo perché si tagliano sempre le risorse a chi è più povero. In questo modo si crea una società di diseguali: nella riforma del Jobs Act le aziende possono scegliere il disabile migliore come nell’agricoltura i caporali chiamano a lavorare nei campi i migranti più forti e rifiutano gli altri. Ci batteremo perché tutto questo venga rivisto. Le nostre vite non sono vite da scarto, indegne”, continua Daita.
Durante l’evento è intervenuta anche Elena Improta, presidente associazione “Oltre lo sguardo” e madre di un giovane tetraplegico: “Le persone gravemente disabili non hanno neanche più il diritto di entrare nei centri diurni perché sono considerati ad alto carico assistenziale. Noi genitori siamo contenti di averli a casa ma vogliamo per loro di più: non solo il diritto al bere o al mangiare, ma quello di essere incluso in un progetto di vita. Per ottenere questo, oggi siamo costretti ad urlare, a fare scioperi della fame, anche a perdere la propria dignità e giornate di lavoro. Ledere il diritto di un figlio disabile vuol dire anche ledere anche quelli della sua mamma. Bisogna superare l’idea che chi è disabile è un peso per la società”.
Per Daita “cercare il modo di debellare i pesi improduttivi, gli stranieri, gli ultimi non serve a nulla. Ci saremo sempre: il nostro compito è proprio quello di aiutare i cosiddetti sani a trovare il giusto valore della vita. Nella civilissima Danimarca è iniziata la campagna “Down free” per diventare entro il 2030 il primo paese senza Down. La politica, invece, deve insegnare la tolleranza”.
(29 ottobre 2015)