Assunzione disabili con chiamata nominativa ‘a rischio caporalato”

La “chiamata nominativa” per l’assunzione dei lavoratori disabili, contenuta nel Jobs Act, rischia di aprire la strada a una nuova forma di “caporalato”: è quanto sostiene l’associazione “Tutti nessuno escluso”.

 

Assunzione disabili, ricorso all’Ue contro chiamata nominativa. “Rischio caporalato”

La denuncia dell’associazione “Tutti nessuno escluso”, che promuove una manifestazione per mercoledì 11 e un ricorso alla Commissione europea: la novità contenuta nel Jobs Act permette a datori di lavoro di assumere “disabile su misura”.

La “chiamata nominativa” per l’assunzione dei lavoratori disabili, contenuta nel Jobs Act, rischia di aprire la strada a una nuova forma di “caporalato”: è quanto sostiene l’associazione “Tutti nessuno escluso”, il coordinamento nazionale per l’inclusione sociale dei disabili psichici, che sta organizzando una manifestazione a Montecitorio per mercoledì 11 (9.30 – 13.30), ma soprattutto un ricorso alla Commissione europea contro la normativa. “Ribadiremo il nostro secco no alla norma che concede ‘carta bianca’ ai datori di lavoro, i quali possono scegliere, a proprio insindacabile giudizio, il ‘disabile su misura’ da assumere – ci spiega Virginio Massimo, presidente dell’associazione – Permettendo così la legalizzazione di una specie di ‘caporalato’ per l’assunzione dei lavoratori con disabilità. Un meccanismo ingiusto e discriminatorio – aggiunge – che non garantisce trasparenza e rispetto delle regole per tutti e costringe le per sone con disabilità a cercare di ottenere un lavoro come un ‘favore’ e non come un diritto”.

La vecchia norma: chiamata nominativa e assunzioni numeriche. Come e perché la nuova norma farebbe tutto questo, lo spiega l’avvocatessa Giuliana Alberti, nel parere che ha scritto riguardo il possibile ricorso alla Commissione europea contro la chiamata nominativa generalizzata dei lavoratori disabili. “Il Jobs Act ha introdotto alcune modifiche in materia di accesso al lavoro per i disabili, intervenendo in particolare sugli strumenti e le modalità per il collocamento mirato, nonché sulla platea dei destinatari-datori di lavoro e sugli incentivi per le assunzioni obbligatorie – spiega Alberti – Sinteticamente, la normativa previgente si fondava su un sistema di tutele e di obblighi crescenti a seconda delle dimensioni dell’azienda. Anche le modalità di assunzione variavano a seconda dell’entità dell’azienda: ai sensi dell’art. 7, infatti, le richieste erano nominative per i datori che occupavano da 15 a 35 dipendenti. In caso di imprese con un maggior numero di l avoratori, le richieste erano solo in percentuale nominative. La restante quota prevedeva assunzioni numeriche sulla base delle graduatorie stilate presso i Centri per l’impiego”.

La nuova norma: solo chiamata nominativa. Le modifiche contnute nel Jobs Act da un lato sono migliorative, in quanto estendono l’obbligo di assunzione di persone disabili e la quota di riserva a tutti i datori di lavoro (dunque anche alle imprese con una soglia di dipendenti inferiore a 15) e prevedono maggiori agevolazioni per le assunzioni di personalità con disabilità intellettive o psichiche. “Ma mutano inspiegabilmente ed in maniera considerevole il sistema del collocamento mirato e le modalità di scelta ed assunzione da parte dei datori di lavoro dei soggetti da assumere – osserva Alberti – E’ questo l’aspetto veramente critico della normativa in esame, che porterebbe, a nostro avviso, a forme di discriminazione indiretta”. Rispetto alle vecchie norme, infatti, “il sistema modificato dal Decreto attuativo 151/2015 del Jobs Act prevede esclusivamente la chiamata nominativa quale modello generale per adempiere all’obbligo di assunzione, restando la possibilità di richiedere una preselezione fra le persone iscritte negli appositi elenchi una mera opzione, non vincolante, per il datore di lavoro”.

Il confronto con l’Europa. Una situazione anomala, questa, anche rispetto alle norme e i principi dell’Ue, tanto che “emergono, a nostro parere, profili contrastanti tali da legittimare un ricorso alla Commissione europea al fine di avviare una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia – afferma Alberti – La normativa europea di riferimento – precisa – è la direttiva 2000/78/CE, che gli Stati membri dell’Ue sono obbligati a recepire: disposizioni che stabiliscono un quadro generale di riferimento per l’attuazione del principio di parità di trattamento in materia di occupazione”. Principio che sarebbe quindi violato dalle nuove norme, che permetterebbero di fatto ai datori di lavoro “di provvedere alle assunzioni in via nominativa, discriminando tutti quei soggetti inseriti negli elenchi e nelle graduatorie e che con capacità lavorativa equivalente potrebbero trovarsi in condizioni di accesso al lavoro molto più critiche e difficili”. Ci sarebbero, in somma, secondo l’associazione e l’avvocatessa, tutte le ragioni e gli strumenti per fare ricorso alla Commissione europea, affinché intervenga contro questo indirizzo “discriminatorio” introdotto dalla riforma del lavoro in Italia. (cl)

 

Redattore Sociale del 06-11-2015

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