Il Partito dei CARC aderisce alla Piattaforma Sociale Eurostop e alla manifestazione nazionale contro la “guerra al terrorismo” da essa promossa per il 16 gennaio.
Milano, 29.12.2015
Adesione del P.CARC alla Piattaforma Sociale Eurostop e alla manifestazione nazionale contro la “guerra al terrorismo” del 16 gennaio
Per realizzare gli obiettivi della Piattaforma sociale per il lavoro, la democrazie e la pace, impariamo dall’esperienza
– del Comitato No Debito, No Monti Day e Controsemestre europeo
– del governo Tsipras in Grecia
– delle grandi mobilitazioni del 2003 contro la guerra in Iraq
Il Partito dei CARC aderisce alla Piattaforma Sociale Eurostop (http://www.eurostop.info/) e alla manifestazione nazionale contro la “guerra al terrorismo” da essa promossa per il 16 gennaio.
I promotori della Piattaforma giustamente affermano “non intendiamo aspettare una magica ora X, nella quale tutti i popoli si liberino assieme. Vogliamo cominciare qui e ora!”. E’ un passo in avanti rispetto all’impostazione di partenza espressa nel Forum Euromediterraneo del 23 maggio ’15 a Napoli, in cui ventilavano appunto l’idea di una rottura con l’UE e l’Euro effettuata in contemporanea dai cosiddetti PIIGS. La “rottura in contemporanea” non è possibile e proporsela porta solo all’attendismo: ogni paese ha una sua storia, un suo sistema di relazioni sociali, una combinazione sua propria di classi dominanti e di classi oppresse, una sua specifica posizione e relazione con il resto del mondo. La catena si spezza paese per paese. E il primo paese imperialista che lo fa, apre le porte anche agli altri. L’Italia può essere questo paese: per le sue dimensioni, per la grandezza del suo debito pubblico, per il ruolo che ha in Europa e perché è sede del Vaticano (uno dei puntelli del sistema imperialista in tutto il mondo).
I promotori della Piattaforma indicano che occorre “una via alternativa alle politiche di austerità, autoritarismo, guerre e che dia forza nel respingere il ricatto economico, politico, psicologico esercitato dal potere finanziario attraverso la UE e l’Euro [e NATO]. Una piattaforma che serva come obiettivo politico generale, ma che sia anche strumento e riferimento delle lotte quotidiane. Una piattaforma che serva ai movimenti, ai sindacati, alle organizzazioni politiche, nelle lotte del lavoro, in quelle sociali e per l’ambiente”. Nell’appello per l’assemblea nazionale “NO EURO, NO UE, NO NATO” del 21.11.15, illustrano anche i quattro punti in cui si concretizza questa alternativa:
1. rottura della e con la UE e l’Euro, partendo dalla disdetta dei Trattati, condizione per politiche di eguaglianza sociale e di diverso sviluppo. (…) Nazionalizzazione delle grandi banche (…) Revisione del debito pubblico accumulato. Pubblicizzazione dei grandi impianti strategici, delle reti e dei beni comuni. (…) Rottura dei patti di stabilità e restituzione ai comuni e agli enti locali dei loro poteri democratici;
2. priorità assoluta all’abbattimento della disoccupazione di massa e alla lotta alla povertà (…) Casa, scuola, lavoro per tutti, regolarizzazione dei migranti, cancellazione delle leggi che precarizzano il lavoro a partire dal Jobs Act;
3. riconquista di un piena democrazia partecipata, affermando e sviluppando i principi della Costituzione Repubblicana del 1948, oggi cancellati dalle controriforme;
4. rifiuto di ogni politica e di ogni azione di guerra e sostegno alla modifica degli equilibri internazionali a favore di paesi emergenti (http://www.eurostop.info/no-euro-no-ue-no-nato/).
Condividiamo sia l’obiettivo di costruire un’alternativa, sia i quattro punti della Piattaforma sociale per il lavoro, la democrazia e la pace indicati nell’appello dell’assemblea (che delineano il contenuto dell’alternativa da edificare). Occorre però sviluppare una riflessione più approfondita rispetto alla strada da percorrere per realizzare effettivamente questo progetto e non farlo restare a livello di parole d’ordine. Che la riflessione su questo sia necessaria, è emerso anche nella riunione nazionale della Piattaforma sociale tenutati il 26.09.15 a Roma, come riportato nel resoconto diffuso dagli stessi promotori: “uno dei problemi emersi nella discussione è che anche in presenza di una larga convergenza sui contenuti di tale piattaforma, fino ad oggi non si è riusciti a procedere. Una parte dei problemi nasce sulle ipotesi di soluzioni alternative alla fuoriuscita dalla UE e dall’Euro, un’altra parte sulle modalità di azione. Possiamo affermare che c’è una esigenza diffusa e convergente che non riesce a darsi continuità e forme di coordinamento stabili, ad esempio come dopo la campagna per il Controsemestre europeo a guida italiana e la manifestazione del 28 giugno 2014”.
Perché non si riesce ad avere continuità e a costruire coordinamenti stabili? Perché il No Debito, il No Monti Day, il Controsemestre europeo (a cui anche il nostro Partito ha partecipato) si sono esauriti dopo il classico ciclo “assemblea-manifestazione”? Sono questioni che non possiamo eludere: per non far scivolare anche la Piattaforma sociale su questo “piano inclinato” e renderla invece un effettivo centro promotore della costruzione dell’alternativa e della lotta per la sovversione dell’UE, dell’EURO e della NATO, occorre capire dove sta il problema.
Diversi sono stati gli interventi all’assemblea nazionale “NO EURO, NO UE, NO NATO” del 21.11.15 che hanno offerto degli spunti di riflessione in merito (ad es. l’intervento dei compagni del PRC di Molfetta, quello dei compagni di Militant e quello di Rete No War). Il principale è venuto dal compagno Dimitris Mitropoulos (Unità Popolare) che, trattando dell’esperienza greca, ha fornito tutta una serie di elementi utili per individuare anche i limiti del No Debito, No Monti Day e Controsemestre europeo e per impostare su basi superiori il percorso della Piattaforma sociale: “In questi 5 anni [in Grecia] sono state fatte moltissime lotte: il movimento di piazza Syntagma ha accerchiato il Parlamento per 40 giorni, ci sono stati più di 30 scioperi generali, 3 governi sono collassati sotto l’insoddisfazione pubblica. Nonostante questo, il grande disastro non si è fermato (…) Dal 2010, quando il cosiddetto Memorandum è stato siglato, c’è stato un grande gap a sinistra. Nessun partito infatti è riuscito a presentare un programma soddisfacente per un’alternativa (…) Syriza alla fine è andata al potere ma si è compromessa quando è stato chiaro che o si era pronti al conflitto, o non c’era possibilità di non essere sottomessi (…)”.
In sostanza: le manifestazioni, gli scioperi, le proteste hanno una funzione positiva solo se sono concepiti e attuati come mezzi per alimentare l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari, per rafforzare il loro spirito combattivo ed elevare il loro orientamento, se sono collegati con un progetto più complessivo di trasformazione della società, di costruzione di un governo deciso ad intraprendere fin in fondo un percorso di lotta contro i gruppi imperialisti e in grado di stare sulle proprie gambe. Senza di questo si va verso la disfatta. E’ quello che è successo in Grecia: si è arrivati allo scontro con i gruppi imperialisti franco-tedeschi e USA impreparati, senza cioè aver creato le condizioni necessarie per sostenerlo e vincerlo (“è stato chiaro che o si era pronti al conflitto o non c’era possibilità di non essere sottomessi”).
Negli anni scorsi il No Debito, il No Monti Day e il Controsemestre europeo hanno indicato misure generali per far fronte alla crisi e hanno promosso manifestazioni e proteste a sostegno di quelle misure, ma non si sono occupati di chi avrebbe dovuto attuarle. In questo modo quelle misure restavano o slogan da discutere in assemblee e agitare in manifestazione o richieste a governi (Berlusconi, Monti, Letta e Renzi) in tutt’altre faccende affaccendati. Il risultato è che il No Debito, il No Monti Day e il Controsemestre si sono esauriti dopo l’assemblea e la manifestazione.
La Piattaforma sociale non può e non deve seguire questo percorso: la situazione a livello nazionale e internazionale è ormai tale che occorre fare un passo in avanti. Le domande principali a cui rispondere per uscire da questo “piano inclinato” sono: chi dovrebbe applicare le misure che la Piattaforma sociale indica? Chi dirigerà il paese nella rottura con l’UE, l’EURO e la NATO? Chi dirigerà il paese per far fronte alle inevitabili ritorsioni della comunità internazionale? Il nocciolo del problema è che la Piattaforma sociale per il lavoro, la democrazia e la pace diventa un programma serio (e non uno slogan da agitare in manifestazione e poi ognuno se ne torna a casa a fare i fatti suoi, quindi “politica della domenica”) solo se è collegata all’indicazione di quale governo deve realizzarla!
Quale governo può attuare la Piattaforma sociale? Che non sia il governo Renzi, è evidente (a meno che qualcuno riponga delle speranze nella “politica americana” di Renzi e dei suoi più fidati ministri e assistenti, tutta gente che viene dall’ambiente del testé defunto Licio Gelli: quello del Piano di Rinascita promosso dagli USA e dai “servizi deviati”… che sono tout court i servizi segreti italiani, braccio italiano della CIA). Ma l’esperienza della Grecia è lì a dimostrare che non serve neanche un governo alla Tsipras: un governo, cioè, di sinistra quanto si vuole, ma che fa dipendere la sua azione e la sua esistenza dall’accordo con i signori della finanza internazionale e i loro complici interni, dalla loro benevolenza, da quello che essi gli consentono di fare. Occorre un governo che è forte non per il numero di voti raccolti e per la “investitura parlamentare” che (forse) riesce a ottenere, ma perché è espressione di una rete di organismi operai e popolari capaci di prendere in mano l’economia del paese a prescindere dai capitalisti e dai loro traffici. Solo un governo che si forma per iniziativa delle masse popolari organizzate, che risponde a loro e non ai circoli della finanza e degli affari, si fonda sulla loro azione e iniziativa è, come ha detto il compagno Dimitris Mitropoulos, “pronto al conflitto”. Non solo deciso a spezzare le catene dell’UE, dell’EURO e della NATO, ma anche in grado di far fronte efficacemente al boicottaggio dei “poteri forti” italiani e alle ritorsioni (sanzioni, blocchi commerciali, rifiuto delle normali operazioni bancarie legate al commercio e agli scambi internazionali, ecc.) che le istituzioni finanziarie e commerciali, le banche e le altre autorità del sistema imperialista mondiale adotteranno. “Liberarsi delle catene dell’UE, dell’EURO e della NATO”, se non è solo un modo di dire accattivante, significa organizzarsi per sostenere uno scontro serio e duro con la comunità internazionale degli imperialisti europei, americani e sionisti. Oppure qualcuno si immagina un governo che va a discutere con i banditi USA delle condizioni a cui acconsentono che l’Italia si ritiri dalla NATO e loro di conseguenza lascino le basi, le agenzie e i punti di appoggio che hanno in Italia ai fini del loro dominio nel mondo? O con i briganti dei gruppi imperialisti europei delle condizioni a cui acconsentono a che l’Italia si ritiri dall’UE e dall’euro? Persino Craxi, quando nell’ottobre 1985 volle decidere lui sulla sorte di Abu Abbas, prima mandò i carabinieri in forze a Sigonella a strapparlo con la forza dalle mani degli americani, lo spedì dove doveva andare e solo dopo a cose fatte ne discusse con Reagan. La diplomazia si fa sulla base dei rapporti di forze e dei fatti compiuti!
Alla stessa conclusione si arriva anche per quanto riguarda la lotta contro la guerra imperialista. Nel 2003 non solo nel nostro paese, ma in tutto il mondo vi furono manifestazioni di milioni di persone, proteste, denunce, ecc. contro la “guerra al terrorismo” che (dopo quella in Afghanistan) gli imperialisti USA e i loro complici si apprestavano a lanciare in Iraq. Le masse popolari hanno avuto tempo e modo di rendersi conto che questo tipo di lotta contro la guerra non serviva a niente, per questo gradualmente l’hanno disertata. Perché mai oggi le masse popolari dovrebbero tornare a quella lotta di ieri, che si è mostrata inefficace? Che senso ha proporsi di riprenderla senza degnarsi di capire e spiegare perché la lotta di un tempo ha portato al mondo di oggi, con la guerra sempre più diffusa?
Combattere per la pace oggi significa far fronte alla guerra che i poteri forti conducono già nel nostro paese, una guerra non dichiarata, “non convenzionale”, che colpisce già su vasta scala le masse popolari: provoca ogni anno migliaia di morti per lavoro o per mancanza di lavoro, per miseria, per tasse e truffe ai danni dei piccoli risparmiatori, per malattie curabili, per inquinamento, per il caldo o per il freddo, per incuria del territorio e delle infrastrutture, per emarginazione, per disperazione.
La lotta contro questa guerra e finalizzata a costituire un governo di emergenza delle masse popolari organizzate è l’unica reale, efficace, non retorica lotta contro la guerra che la comunità internazionale dei gruppi imperialisti americani, sionisti ed europei sta conducendo nel mondo, direttamente e per interposta persona.
La guerra che dilaga nel mondo non è nata dalla cattiva volontà o dai calcoli sbagliati di uno o dell’altro dei membri della comunità internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti né come effetto della cattiva volontà dell’uno o dell’altro dei criminali che sono a capo dei governi dei loro paesi. E’ un parto necessario della crisi generale del capitalismo e non è possibile porre fine alla guerra senza rovesciare il sistema capitalista almeno in alcuni dei maggiori paesi imperialisti, senza che almeno uno dei grandi paesi imperialisti rompa le catene della comunità internazionale (cioè senza un salto della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti) e in questo modo apra la via e mostri la strada anche alle masse popolari degli altri paesi.
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