La Corte Pontificia mobilita i suoi generali contro la giunta Raggi, mescolando arroganza, ipocrisia e smentite del giorno dopo.
Agenzia Stampa – Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo.
Newsletter n. 10/2016.
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[Roma ] La Corte Pontificia scende in campo contro il Movimento 5 Stelle
La Corte Pontificia mobilita i suoi generali contro la giunta Raggi, mescolando arroganza, ipocrisia e smentite del giorno dopo. L’11 settembre scatena il canaio della stampa contro la giunta romana e il giorno dopo dice che non è stata lei, che è stata “male interpretata”: non stava parlando male della giunta, stava lamentandosi del “maltempo”.
Il latrato del giornale La Repubblica cita Parolin, Segretario di Stato, Feroci, direttore della Caritas, Galantino, segretario della CEI, tutti “preoccupati” per quello che accade a Roma. Segnala nel titolo che Roma è “città bene comune”, con il che si intende che la capitale è di tutti, e quindi è anche della Chiesa, e da ciò segue che la Chiesa ha diritto di pontificare sulla materia e di saccheggiare a suo piacimento, come è riuscita a fare nei secoli dei secoli fino a oggi, e come teme, giustamente, di non riuscire più a fare.
Se vuoi capire quello che scrive la stampa di regime devi leggerla a rovescio. Dove si parla di “bufera che agita i 5 Stelle” leggi che è la Repubblica Pontificia che è nella bufera. Dove si parla di “smarrimento crescente” che dovrebbe riferirsi alla cittadinanza romana, leggi che è la Corte Pontificia ad essere smarrita, dato che non si aspettava di perdere il controllo della capitale, sede indispensabile per il suo potere a livello mondiale. Dove vedi che Virginia Raggi ha commesso grave infrazione alla regola non scritta secondo la quale i dirigenti politici dello Stato italiano devono presenziare agli eventi che la Corte organizza (doveva andare a fare la spesa), rifletti sul perché ogni nuovo eletto, dal Presidente della Repubblica a quelli della Camera e del Senato e via calando, deve andare lui o lei da papa, cardinali e vescovi, e non loro devono andare da lui, e aggiungi una riflessione sul perché i capi della Apple e di Facebook non possono fare a meno di andare da Bergoglio appena atterrano a Roma.
Dove leggi del “legame profondo che da secoli unisce la Chiesa a Roma” prova a riflettere a cosa sarà Roma e a cosa sarà l’Italia dopo che ci saremo liberati da questo parassita, e anzi prova l’aria nuova che si respira quando si inizia a lavorare per recidere il legame, come fa la Carovana del (nuovo)PCI al lavoro per creare le condizioni di un nuovo governo del paese, il Governo di Blocco Popolare.
Dove leggi che la Chiesa “non si augura un fallimento della gestione grillina” però sente “il dovere di richiamare al bene comune” leggi che la Corte Pontificia ha dichiarato guerra all’Amministrazione Comunale allo scopo di piegarla a seguire i suoi interessi, quelli del sistema di Mafia Capitale (il “bene comune”).
Dove leggi che se il M5S non fa quello che dicono Bergoglio e soci si perde “la residua fiducia di tanti non solo nel Movimento 5 Stelle ma anche nella politica e nelle istituzioni in genere”, leggi che proprio se il M5S fa quello che loro dicono quella “residua fiducia” si perde.
Dove dice che non è più tempo della DC e di un partito cattolico, e che la Corte pontificia ha un “obiettivo più profondo”, leggi che la Corte è debole, che le manca la forza della DC che governava per lei, senza bisogno che lei si sporcasse le mani occupandosi di “obiettivi poco profondi”.
Le paroline di Parolin sono pallottole, Galantino spara a raffica senza alcuna galanteria, a dirigere la carità ai poveri c’è uno che si chiama Feroci. Riccardo da Venosa, poeta siciliano del tredicesimo secolo diceva che “spesso i nomi sono appropriati alle cose o persone cui appartengono”, il che, nella Repubblica Pontificia, dove quello che la classe dominante dice è l’opposto di quello che fa, significa che “i nomi sono il contrario delle cose o persone cui appartengono”. La Corte Pontificia a parole denuncia i problemi, nei fatti li genera. Non solo non ha più un partito, ma ormai da un pezzo non ha più un esercito, e però suo modo fa guerra alla masse popolari del paese, e alle Amministrazioni Comunali che non si inginocchiano di fronte al trono.
Compito di noi comunisti è:
“mobilitare quanto di avanzato vi è in ogni settore e in ogni ambiente e isolare i responsabili di Mafia Capitale e i loro servi irriducibili. Questo sistema di degrado materiale, intellettuale e morale e di guerra fa centro a Roma, ma è sistema nazionale legato a doppio filo alla UE, alla BCE, alla NATO e alla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti di cui il Vaticano è uno dei pilastri portanti.
Virginia Raggi, la sua giunta comunale e la sua maggioranza consiliare possono e devono decidere a quale di quelle due vie dare il loro contributo. Ancora esitano: l’idea che un’Amministrazione Comunale faccia gli interessi delle masse popolari romane senza fare la guerra al sistema politico dominante a Roma e in Italia, cioè alla Repubblica Pontifica, è la maschera con cui in questi giorni coprono i loro loschi propositi personaggi e gruppi che vogliono risucchiare la nuova amministrazione nel gorgo della corruzione e della criminalità organizzata, della guerra NATO e del disastro sociale e territoriale. Questo è la Repubblica Pontificia in putrefazione.
(…)
Per fare gli interessi delle masse popolari romane, bisogna mobilitare le stesse a organizzarsi e a lottare per i propri interessi particolari e generali, a prendere capillarmente subito e direttamente, d’emergenza, le misure immediate utili e necessarie e a preparare quelle di più lungo respiro. Non si tratta di far funzionare meglio la macchina amministrativa di Mafia Capitale e tanto meno di elaborare a tavolino un piano generale di dettaglio di una buona gestione di Roma in cui gli affaristi e i criminali di Mafia Capitale dovrebbero fare quello che è contro i loro interessi. Niente piani generali di gestione ordinaria, velleitari perché non abbiamo ancora creato le condizioni per attuarli, ma mettere con misure d’emergenza a contribuzione tutte le risorse e tutti gli individui di buona volontà per mobilitare e organizzare, per elevare la coscienza e portare all’azione diretta la parte progressista delle masse popolari, isolare i poteri forti e i loro agenti irriducibili e attuare subito e direttamente in ogni caseggiato, in ogni quartiere, in ogni azienda, in ogni scuola e in ogni istituzione le misure immediate già possibili e creare le basi per le altre. (http://www.nuovopci.it/voce/comunicati/com2016/com.16.09.10.html)
Repubblica, 11 settembre 2016
LA CHIESA E UNA CITTÀ BENE COMUNE
AGOSTINO GIOVAGNOLI
Augurarsi «che l’Amministrazione si metta a lavorare e ad affrontare i problemi e le difficoltà dei cittadini» come fa il cardinale Parolin può sembrare ovvio. Ma a Roma non lo è: a poco meno di tre mesi dalle elezioni non solo mancano ancora assessori importanti, ma non si vede traccia di atti di giunta o di consiglio su questioni come il riassetto delle partecipate, che pure erano al centro del programma elettorale grillino (mentre — con la scusa che non si è perfetti — non si prova neanche a fermare un debito che cresce ogni giorno).
Le voci della Chiesa non entrano nel dettaglio dell’amministrazione comunale, ma intercettano uno smarrimento crescente. Da parte cattolica non ci sono stati pregiudizi o ostilità verso i 5 Stelle e anche adesso viene ribadita la disponibilità a collaborare con Virginia Raggi, la sindaca che ieri ha disertato l’incontro con Galantino e i ragazzi dell’Azione cattolica. La Chiesa non si augura un fallimento della gestione grillina: inghiottirebbe la residua fiducia di tanti non solo nel Movimento 5 Stelle ma anche nella politica e nelle istituzioni in genere. Sente però il dovere di richiamare al bene comune e di ricordare che fine della politica è governare i processi, come dice papa Francesco, pensando anzitutto a chi vive nelle periferie.
In queste voci, si avverte anche l’eco di un legame profondo che da secoli unisce la Chiesa a Roma. Tra le critiche cattoliche all’amministrazione grillina, non a caso, compare anche quella di una mancanza di visione (che negli ultimi mesi ha coinvolto in parte anche un’opposizione all’inseguimento, con scarso profitto, dei 5 Stelle e dei loro temi, dall’enfasi sulla questione rifiuti al grido “onestà, onestà”). Per Avvenire il rischio di morire di “anoressia politica per assenza di idee e di progetti concreti” è oggi a Roma anche più grande di quello costituito da “corruzione e malaffare”.
C’è posto solo per l’ordinario e non per lo straordinario, ripete incessantemente la sindaca Raggi. Ma con la pretesa di separarli drasticamente, si finisce per non affrontare neanche l’ordinario. Milano è rinata intorno a un Expo in cui molti vedevano, non senza fondamento, aspetti rischiosi. Vale per molte città e per Roma vale ancora di più. «Che cosa avete intenzione di fare? Non si può stare a Roma senza un’idea universale»: così il grande intellettuale tedesco, Theodor Mommsen, ammoniva un preoccupato Quintino Sella — capace peraltro di riportare in parità il bilancio dello Stato — dopo la conquista piemontese della città nel 1870. Può sembrare una pretesa eccessiva, ma l’esperienza mostra che se si appanna la sua dimensione universale Roma si ripiega su se stessa e persino le buche nelle strade sembrano un problema insolubile. Non a caso, tra i momenti più felici nella sua storia recente c’è stato il Giubileo del 2000. Questa sensibilità ispira anche le critiche all’approccio dei grillini al problema delle Olimpiadi che, scrive Avvenire, non sono il diavolo: «La rivoluzione non è rifiutarle, ma gestirle nell’onestà, in rete con il resto d’Italia, disegnando la Roma del futuro».
Non c’è il progetto di un nuovo partito cattolico per governare questa città: non è più tempo di Dc. L’obiettivo della Chiesa è più profondo: risvegliare le energie religiose, sociali e culturali in grado di sollevare Roma da uno stato di profonda “demoralizzazione” e farla rinascere. Sono input a ricostruire un patrimonio condiviso di impegno e di partecipazione, di solidarietà e di speranza, in attesa di una o più forze politiche che lo trasformino in progetto di governo della città.
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