“I manganelli di Matteo Renzi”

Quando Berlusconi ha scalato il potere, portando tutta la destra al governo e aprendo un nuovo capitolo della storia politica italiana, non pochi di noi hanno pensato che la deriva reazionaria potesse sfociare a breve in un’avventura autoritaria.

I manganelli di Matteo Renzi

Quando Berlusconi ha scalato il potere, portando tutta la destra al governo e aprendo un nuovo capitolo della storia politica italiana, non pochi di noi hanno pensato che la deriva reazionaria potesse sfociare a breve in un’avventura autoritaria.

I rapporti di forza che all’epoca si sono stabiliti nel paese con l’arrivo di Berlusconi al governo non hanno consentito che si potessero superare certi limiti. La vergogna di venti anni di berlusconismo non si è potuta cancellare, ma i progetti reazionari sono crollati sotto il peso degli scandali e di una grande ripulsa morale di molti milioni di italiani.

L’avventura di Matteo Renzi, cominciata nel PD e successivamente con la rapida costituzione di un governo da lui presieduto, ha presentato, da subito, grandi anomalie politiche e programmatiche che hanno messo in evidenza che l’era berlusconiana non era tramontata, ma riviveva con una trasformazione genetica degli schieramenti politici sfociata nel patto del Nazareno. Il quale, se prevedeva secondo le intenzioni di Berlusconi di fondare un patto di lungo periodo per gestire con un programma di destra il governo Renzi, ha trovato però variazioni in corso d’opera perchè il renzismo usava la destra, ma con un programma molto più articolato e sofisticato basato sulla demagogia della rottamazione per dimostrare che cambiava tutto senza in realtà cambiare nulla.Ovvero, di cambiamenti ce ne sono stati molti in termini di consolidamento del rapporto del governo con i ceti dominanti dell’economia e della finanza e di riforme in senso reazionario nella scuola, nei rapporti di lavoro, fino alla legge Boschi di modifica della Costituzione e l’introduzione della nuova legge elettorale.

Questo nuovo scenario ha aperto però molte crepe alla base della baldanzosa avanzata del renzismo. La spaccatura nel PD sulle riforme, seppure tra mille incertezze, la lotta nella scuola contro la legge Giannini, la reazione contro il Jobs act, le dichiarazioni false sugli obiettivi economici e sociali del governo, hanno portato la situazione a una crisi di credibilità che ha avuto il suo punto di verifica con la sconfitta PD alle ultime amministrative.

E’ a questo punto che è scattata l’operazione manganelli. Prevedendo la sconfitta al referendum sulle riforme elettorali e quindi crisi di governo e crisi dell’Italicum, Renzi ha sfoderato i suoi manganelli e lanciato la sfida finale. Come Mussolini dopo il delitto Matteotti. Come è ben noto, Mussolini prima di assumersi le responsabilità dell’omicidio chiese il beneplacito della Corona, del Vaticano, degli industriali. Ottenuto il via libera, il fascismo riprese fiato.

Paradossalmente la situazione odierna presenta qualche analogia. Trovandosi in difficoltà e con l’acqua alla gola, Renzi invoca gli americani, la Merkel, gli israeliani, gli industriali a sostegno delle sue scelte e sfodera i suoi manganelli. In primo luogo la stampa e la televisione di Stato che sono diventate una sorta di Minculpop a servizio del nuovo blocco di potere. Repubblica, il quotidiano di De Benedetti, è diventato il capofila della canea renziana e questo la dice lunga sui profondi legami della cialtronesca figura del capo del governo e della sua banda di nani e ballerine con i gruppi di potere italiani e internazionali. E questo lo rende pericoloso.

Battere Renzi non ci dà l’alternativa, ma perlomeno mette in crisi le pulsioni autoritarie e il programma della nuova destra rappresentata dal PD.

Sia chiaro, questa sconfitta non avverrà perchè qualche mosca cocchiera si prepara ad arrivare al traguardo senza aver effettivamente concorso. Il rovesciamento di Renzi, come per Berlusconi, avverrà perchè il suo rapporto con milioni di italiani è in crisi e non saranno la Merkel, gli americani e gli industriali o La Repubblica a salvarlo, anche se per cambiare le cose in Italia e in Europa il percorso è lungo e complicato.

 

Aginform
16 settembre 2016

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