In un nuovo rapporto diffuso il 25 ottobre, Amnesty International ha accusato le forze governative sud-sudanesi di deliberate uccisioni di civili, stupri di donne e ragazze e saccheggi nel corso dell’ondata di violenza scatenata nella capitale Juba a luglio.
COMUNICATO STAMPA
SUD SUDAN, RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL: LE FORZE GOVERNATIVE UCCIDONO I CIVILI, QUELLE ONU NON LI PROTEGGONO
In un nuovo rapporto diffuso il 25 ottobre, Amnesty International ha accusato le forze governative sud-sudanesi di deliberate uccisioni di civili, stupri di donne e ragazze e saccheggi nel corso dell’ondata di violenza scatenata nella capitale Juba a luglio.
“Le truppe governative hanno ucciso uomini del gruppo etnico nuer, stuprato donne e ragazze e condotto una massiccia campagna di saccheggi” – ha dichiarato Joanne Mariner, alta consulente per la risposta alle crisi di Amnesty International.
“Questi attacchi costituiscono un’ulteriore prova di quanto sia urgentemente necessario imporre un embargo sulle armi dirette al Sud Sudan e istituire meccanismi efficaci per monitorarne il rispetto. Gli stati non dovrebbero fare affari con armi che vengono usate per uccidere i civili” – ha aggiunto Mariner.
Amnesty International ha reso noto il suo rapporto alla vigilia di una missione in Sud Sudan del Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana (Aupsc), in programma dal 28 al 30 ottobre. L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto che l’Auspc si occupi delle violenze di luglio e agisca per assicurare l’istituzione di un tribunale ibrido indipendente in grado di indagare e punire questi ed altri crimini.
Il rapporto di Amnesty International, intitolato “Non credevamo che saremmo sopravvissuti: uccisioni, stupri e saccheggi a Juba” e basato su una serie di ricerche condotte sul campo a luglio, agosto e settembre, mette in luce i crimini di diritto internazionale – uccisioni, attacchi indiscriminati, stupri e saccheggi di massa – commessi dalle forze governative nella capitale Juba e la sconcertante e inadeguata risposta delle Nazioni Unite.
Joy Kamisa, sei anni, è stata uccisa da un razzo tirato da un elicottero che ha centrato l’abitazione della nonna nel quartiere di Gudele.
Nyamuch, due anni e mezzo, è morto a seguito delle ferite causate da una scheggia penetratale nel cranio. Questa bambina, insieme ad alcuni suoi fratelli e sorelle, viveva in una casa dichiarata protetta, attigua alla base Onu nel quartiere di Jebel, quando è stata colpita da un ordigno esplosivo.
Biel Gat Kuoth, 26 anni, è stato raggiunto da un proiettile mentre si trovava nel giardino della casa del nonno. Il colpo gli ha rotto una tibia, la ferita è diventata infetta e l’uomo è morto alcuni giorni dopo.
Lili è morta all’interno della sua abitazione nel quartiere di Gudele, rasa deliberatamente al suolo da un carrarmato governativo.
“È una vergogna che il governo sud-sudanese continui liberamente ad acquistare armi, quando da tempo le usa per commettere crimini di diritto internazionale. Per non risultare complice di queste violazioni, la comunità internazionale deve imporre un embargo totale sulle armi” – ha sottolineato Mariner.
Il rapporto di Amnesty International denuncia anche violazioni dei diritti umani commesse dall’opposizione armata dell’Esercito popolare del Sudan in opposizione (Spla-io), i cui uomini in diverse occasioni tra il 10 e l’11 luglio hanno fatto irruzione nelle case dichiarate protette dall’Onu presso la base di Jebel.
Non è chiaro se il loro obiettivo fosse quello di nascondersi dagli attacchi o impedire operazioni militari: in questi casi, si sarebbero resi responsabili dell’uso di scudi umani, ossia di un crimine di guerra. A prescindere dall’intenzione, queste azioni hanno messo in pericolo la vita di migliaia di civili.
La stessa ubicazione della base dell’Spla-io, situata a Jebel nei pressi delle case dichiarate protette, ha posto gli abitanti di queste ultime in stretta prossimità con la linea del fronte.
I combattimenti a Juba sono iniziati l’8 luglio con una sparatoria tra le truppe leali al presidente Salva Kiir e gli uomini armati alleati al primo vicepresidente Riek Machar. Di lì a poco, le truppe governative hanno iniziato a dare la caccia a chi ritenessero di etnia e posizione politica diversa.
John Gatluak Manguet Nhial, un giornalista 32enne riconoscibile dai segni sul volto come nuer, è stato ucciso da un soldato durante un raid all’interno dell’hotel Terrain mentre altri soldati gridavano “è un nuer, è un nuer”.
Una 24enne di etnia dinka, il cui marito nuer risulta scomparso da luglio, ha raccontato ad Amnesty International che le truppe governative sono entrate nella loro abitazione portando via il marito e il cognato. Quando ha provato a spiegare che i due uomini lavoravano per il governo, si è sentita rispondere che anche se fosse stato vero, erano comunque dei nuer e “i nuer sono ribelli”.
I soldati hanno anche dato la caccia alle donne nuer per stuprarle: non solo per far loro del male ma anche per punire e umiliare i loro mariti.
Una donna 35enne stuprata da tre soldati ha raccontato che i soldati gridavano: “Tuo marito è un nuer, è un nostro nemico”. Quando l’hanno lasciata andare, aveva i vestiti completamente sporchi di sangue.
I soldati governativi hanno stuprato altre donne non appartenenti all’etnia dinka. Un uomo dell’etnia kuku ha denunciato lo stupro delle due sorelle, di 14 e 17 anni, avvenuto l’11 luglio nel quartiere di Munuki. I soldati, che poi si sono dati al saccheggio, hanno accusato la sua famiglia di stare dalla parte di Machar.
Le ricerche di Amnesty International hanno messo in evidenza la risposta, definita “sconcertante e inadeguata”, delle forze di peacekeeping delle Nazioni Unite, che non hanno saputo proteggere i civili dalle uccisioni e dagli stupri.
Una donna nuer di 24 anni, stuprata da cinque militari proprio di fronte alla base Onu del quartiere di Jebel, ha denunciato che i peacekeeper e le guardie di sicurezza private hanno assistito all’azione ma non sono intervenuti per difenderla. Le truppe Onu non sono intervenute neanche durante l’attacco all’hotel Terrain, distante solo un chilometro dalla loro base, nel corso del quale diverse donne sono state sottoposte a stupro di gruppo.
Nel corso dei combattimenti, le forze di peacekeeping dell’Onu hanno persino abbandonato le loro posizioni a difesa di uno dei siti protetti, lasciando gli abitanti privi di difese.
Le forze Onu hanno messo i civili a rischio sia con le loro azioni che con la mancanza di azioni. In un caso, hanno lanciato gas lacrimogeni contro una folla terrorizzata di nuer, di fronte alla base di Jebel.
“Le forze Onu sono venute meno alla loro missione di proteggere i civili, stando a guardare mentre venivano uccisi e stuprati” – ha accusato Mariner.
Il nuovo rapporto critica inoltre l’uso dei tribunali militari per processare soldati imputati di violazioni dei diritti umani. Secondo Amnesty International, l’assenza cronica di una vera giustizia in Sud Sudan per crimini come le deliberate uccisioni di civili sottolinea la necessità che sia rapidamente istituito un tribunale ibrido indipendente che abbia giurisdizione su crimini del genere.
“Queste uccisioni e i sistematici stupri di gruppo non possono essere lasciati impuniti. Il governo del Sud Sudan deve assicurare che siano oggetto di indagini rapide, indipendenti e imparziali e che tutte le persone sospettate di esserne responsabili siano sottoposte alla giustizia civile, attraverso processi equi e senza ricorso alla pena di morte” – ha concluso Mariner.
Roma, 25 ottobre 2016
Il rapporto “We did not believe we would survive”: Killings, rape and looting in Juba è online all’indirizzo:
http://www.amnesty.it/sud-sudan-le-forze-governative-uccidono-i-civili-quelle-onu-non-li-proteggono