Diffondiamo l’ordine del giorno con cui il Direttivo della FIOM di Genova boccia l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici e l’Appello di RSU FIOM che espone dettagliatamente molte buone ragioni per dire NO all’ipotesi di accordo.
Il filo che lega il NO all’ipotesi di accordo per il CCNL dei metalmeccanici al NO alla riforma costituzionale
Organizzarsi e organizzare per costituire un governo d’emergenza popolare che attui le parti progressiste della Costituzione del 1948
Diffondiamo l’ordine del giorno con cui il Direttivo della FIOM di Genova boccia l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici e l’Appello di RSU FIOM che espone dettagliatamente (anche se con un linguaggio un po’ da addetti ai lavori sindacali) molte buone ragioni per dire NO all’ipotesi di accordo. L’Accordo è, e implica ancora più di quanto lo dice esplicitamente, una grave scelta di linea sindacale (l’adesione della FIOM alla linea padronale di aziendalizzazione del contratto di lavoro) e un passo avanti nella liquidazione del ruolo degli operai e della loro organizzazione nazionale, e quindi anche del ruolo dell’organizzazione locale, nella lotta politica, cioè nella lotta per l’indirizzo del governo del paese. Bisogna appoggiare l’Appello a votare NO al referendum sull’ipotesi di accordo: con il referendum la dirigenza FIOM cerca di fare approvare dalla maggioranza degli operai un accordo truffa facendo leva sulla residua fiducia degli operai nei dirigenti FIOM. Appoggiamo l’Appello facendolo circolare, facendo aderire e facendo votare.
Il P.CARC appoggia l’Appello degli RSU FIOM, invita a sottoscriverlo e a seguire l’indicazione di voto nel referendum del 19-21 dicembre.
L’Accordo traduce in pratica la resa della FIOM alle imposizioni padronali e il suo ulteriore allineamento ai sindacati collaborazionisti FIM e UILM. È un colpo portato all’organizzazione sindacale e apre la via a ulteriori cedimenti, ad altri passi sulla strada della rinuncia ai diritti acquisiti e al CCNL, nello spirito del Jobs Act, della Riforma Fornero e della limitazione del diritto di organizzarsi e di scioperare, della riforma costituzionale su cui si vota il 4 dicembre. Pone quindi anche premesse per rinunciare ai referendum di primavera per i quali la CGIL ha già raccolto le firme o per perderli o comunque renderli sterili di conseguenze pratiche.
L’Accordo è un cedimento alla politica antipopolare del governo Renzi e della Confindustria e conferma
– che occorre che in ogni azienda i lavoratori si organizzino autonomamente dai sindacati e indipendentemente dalle sigle sindacali, costituiscano organizzazioni operaie che si coordinano tra loro e intervengono anche fuori dalle aziende a mobilitare il resto delle masse popolari;
– che per difendere diritti, salario e posti di lavoro bisogna che gli operai si organizzino e con il resto delle masse popolari organizzate impongano un proprio governo d’emergenza: nessun altro governo attuerà una politica favorevole agli interessi degli operai e delle masse popolari! Nessun altro governo può attuare le parti progressiste della Costituzione, quelle che sono state ignorate, aggirate, calpestate e violate (tanto più quanto più il movimento comunista è arretrato): rendere effettivo il diritto al lavoro, il dovere di svolgere un’attività che concorra al progresso della società, l’utilità sociale e la sicurezza, la libertà e la dignità umana, l’esproprio di aziende per motivi di interesse generale (lasciando da parte l’indennizzo: i padroni si sono già e abbondantemente indennizzati!).
Rivoltare contro i padroni e i loro portaborse la manovra messa in atto con questo accordo truffa! Approfittare del referendum, con cui i dirigenti FIOM cercano di far accettare l’Accordo imposto da Confindustria e governo Renzi, per promuovere la creazione di organismi operai in ogni fabbrica, per svilupparne il coordinamento e per orientarle a costituire un governo d’emergenza degli operai e delle masse popolari organizzate che attui le parti progressiste della Costituzione. A partire dall’uso delle aziende in conformità con gli articoli 2, 3, 4, 36, 37, 41, 42, 43 della Costituzione del 1948 che i padroni e le loro autorità hanno sistematicamente eluso:
– riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiedere l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2),
– pari dignità sociale di tutti i cittadini e loro uguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3),
– riconoscere a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4),
– diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi (art. 36),
– parità di diritti e, a parità di lavoro, di retribuzioni della donna lavoratrice. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione (art. 37),
– l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (art. 41),
– la legge deve determinare i modi di acquisto, di godimento e i limiti della proprietà privata allo scopo di assicurarne la funzione sociale. La proprietà privata può essere espropriata per motivi d’interesse generale (art. 42),
– a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale (art. 43).
– C’È CHI DICE NO! – APPELLO DI DELEGAT@ PER IL NO ALL’IPOTESI DI ACCORDO DEL RINNOVO DEL CCNL METALMECCANICO
VOTA NO IL 19-20-21 DICEMBRE
per aderire: peril.no.ccnl2016.metal@gmail.com“> peril.no.ccnl2016.metal@gmail.com
In un anno di trattative con Federmeccanica, la Fiom ha di fatto posto la parte economica come unica condizione imprescindibile per la firma del contratto. Quanto firmato non rispetta nemmeno questa condizione. Non si tratta di discutere se 92 euro di aumento siano tanti e pochi. Per il semplice motivo che non sono 92, non sono certi e non sono per tutti.
Si arriva a tale cifra solo sommando 51 euro di aumenti salariali al resto delle misure di welfare aziendale (7,69 euro di aumento sulla previdenza, 12 sulla sanità, 13,6 di welfare, per un totale di 85 euro mensili che arrivano a 92,68 con la quota per il diritto alla formazione continua).
Pochi spiccioli, quindi, ma in compenso tanta confusione. Innanzitutto perché si sommano voci di salario diretto a prestazioni di welfare, come se si trattasse di voci sostitutive l’una dell’altra. In secondo luogo perché si sancisce che si possa accedere a tale “aumento” solo accettando di far parte del welfare integrativo: non un diritto universale, ma basato su un rapporto con un fondo privato o con un fondo aziendale.
Infine, nemmeno i 51 euro salariali sono certi e per tutti. Non lo sono perché riassorbibili da tutti gli aumenti “fissi collettivi della retribuzione eventualmente concordati in sede aziendale” (con l’esclusione di quelli legati alla modalità di effettuazione della prestazione lavorativa).
Non lo sono perché sono aumenti solo “stimati”. L’effettivo importo verrà deciso ex-post: dopo la comunicazione annuale da parte dell’Istat dell’Ipca. L’Ipca (Indice Prezzi al Consumo Armonizzato) è un calcolo dell’inflazione che esclude dal paniere le voci energetiche importate. Un metodo truffaldino, dalla Fiom in passato contestato, che di fatto regala alle aziende la possibilità di pretendere una sorta di scala mobile al contrario.
E se non bastasse, questa destrutturazione dell’aumento salariale si lega a una parte normativa estremamente negativa.
In primo luogo, passa quasi sotto silenzio il fatto che la Fiom firmando questo contratto ha accettato contemporaneamente il contratto separato del 2012 precedentemente osteggiato. Se la Fiom ha ragione oggi, aveva torto ieri. Se aveva ragione ieri, ha torto oggi. Questo è e da qua non se ne esce.
Il contratto 2012 era stato osteggiato per misure come aumento degli straordinari obbligatori, flessibilità oraria, penalizzazione della malattia e apertura alle deroghe. Tutto questo viene recepito, con buona pace di 8 anni di battaglie. E c’è in fondo un legame diretto tra il fatto che si accetta la penalizzazione della malattia (contratto 2012) e la limitazione della 104 (l’attuale rinnovo) e dall’altro si apre alla sanità integrativa. Diritto universale alla salute, all’assistenza e alla malattia sono inversamente proporzionali a qualsiasi forma di integrazione della sanità.
In seconda battuta questo contratto, come dimostra la gioia di Renzi, Poletti e Federmeccanica, risponde a un obiettivo e un modello ben preciso. Gli obiettivi che si poneva il fronte padronale possono essere riassunti in tre grandi capitoli:
– blocco dei salari, ogni qualsiasi aumento dovrà venire a livello aziendale, in modo totalmente variabile e in cambio di aumento dei carichi di lavoro, indebolendo sempre di più la “paga oraria”;
– introdurre un sistema di fidelizzazione del lavoratore attraverso una rete di benefits aziendali;
– sfondare sul terreno dell’orario, con 80 ore a disposizione delle aziende per prolungare l’orario settimanale fino a 48 ore, adattando la vita del lavoratore a esigenze e fluttuazioni del mercato.
Dal punto di vista di Federmeccanica la missione è compiuta. I premi aziendali sono dichiarati variabili in maniera stringente: collegati a quella produttività che il lavoratore non controlla e che non determina di certo da solo. Si introducono una serie di misure di welfare aziendale e di benefits aziendali. E si allargano le possibilità della plurisettimanalità: la settimana lavorativa deve essere “mediamente” di 40 ore, allungabile e accorciabile a seconda delle esigenze.
Non siamo solo a un pessimo contratto. Siamo a un modello che lentamente, ma inesorabilmente, mina la stessa sindacalizzazione. Si mettono in moto tutti quei processi che legano il lavoratore attraverso mille fili all’andamento della “sua” azienda. Si recepiscono quei meccanismi che spaccano il fronte tra lavoratori di aziende “che tirano” e aziende in crisi. Si crea un interesse diretto del lavoratore a non fermare mai la macchina aziendale, magari con uno sciopero che mina la produttività. Si pensa di salvarsi entrando sotto l’ombrello del rapporto bilaterale sindacato-azienda dove il lavoratore trova conveniente aderire al sindacato per aderire ai servizi che ne derivano. Ma questo modello è veleno per la Fiom. E’ l’approdo a un aziendalismo che oggi si rivolge contro le punte avanzate dell’organizzazione e domani contro l’organizzazione intera.
Il tutto senza aver mai posto realmente il rifiuto del Jobs Act e la richiesta a Cisl e Uil di disconoscere la firma del contratto separato in Fiat.
Siamo delegati e delegate della FIOM e facciamo appello immediatamente a tutti i lavoratori e le lavoratrici, e agli altri delegati e delegate ad attrezzarsi perchè le ragioni del NO a questo contratto siano conosciute, sostenute, argomentate e diffuse nelle assemblee che si terranno e nel referendum del 19-20-21 dicembre, con l’obiettivo di una forte affermazione del NO nonostante le regole tutt’altro che democratiche della consultazione non consentono che il NO abbia la stessa agibilità del SI durante il percorso referendario. Invitiamo ad un incontro a Firenze il 6 dicembre per coordinare i metalmeccanici che dicono NO a questo contratto, a partire da quelli che appartengono alla nostra organizzazione e come noi hanno sostenuto in tutti questi anni le lotte di resistenza che pur tra mille contraddizioni ha portato avanti. Un primo passo di una battaglia per la difesa di un modello sindacale rivendicativo, unificante, conflittuale e partecipativo.
Il nostro NO deve vivere da subito, soprattutto nelle grandi fabbriche, nella battaglia della consultazione sul contratto e diventare un punto di riferimento per affermare una pratica sindacale opposta a quella dell’attuale gruppo dirigente.
Primi firmatari
Matteo Moretti, Michele Di Paola, Mauro Sassi, Luciano Morelli, Giuseppe Iapicca, Massimo Barbetti (RSU FIOM GKN)
Giorgio Mauro, Andrea Paderno, Matteo Carioli, Matteo Barbaro, Gianfranco Cannone, Roberto Rivoltella, Gianluca Paris, Alfonso De Martino, Jury Guerini, Alberto Vitali, Marco Fontanella, Franco Ruggeri, Luca Carlessi, Massimiliano Finardi, Massimo Mandelli, Rocco Vizzone, Daniele Gatti (RSU FIOM Same)
Massimo Cappellini, Antonella Bellagamba, Massimiliano Malventi, Adriana Tecce, Giorgio Guezze, Francesco Giuntoli, Simone Di Sacco (RSU FIOM Piaggio)
Giuseppe Faillace, Giuseppe Imparato, Ciro Palmieri (RSU FIOM Motovario)
Gianplacido Ottaviano, Giuseppe Principato (RSU FIOM Bonfiglioli)
Mario Viscido, Maurizio Mazza, Giuseppe Gomini (RSU FIOM Ducati)
Silvia Cini, Giada Garzella (RSU FIOM Continental)
Serafino Biondo (RSU FIOM Fincatieri Palermo)
Stefano Fontana (FIOM Fincantieri Marghera)
Gabriele Severi, Franco Batani (RSU FIOM Marcegaglia Forlì)
– ORDINE DEL GIORNO FIOM CGIL GENOVA SU CONTRATTO METALMECCANICI
Il direttivo della Fiom di Genova riunito in data 29 Novembre 2016 esprime un giudizio fortemente critico sull’ipotesi
di accordo per il rinnovo del CCNL 2016-2019.
Il CCNL non mantiene l’autorità salariale preesistente, cioè non tutela il potere d’acquisto essendo il recupero dell’inflazione a posteriori, certificando di fatto una riduzione del salario dei lavoratori.
L’introduzione nel CCNL di un welfare (carrello della spesa) sostitutivo degli aumenti salariali e che quindi non agisce sugli istituti contrattuali (contributi inps, inail, tfr etc.) costituisce un precedente pericoloso che penalizza soprattutto i giovani ed ipoteca il futuro della contrattazione.
La possibilità di derogare con la contrattazione aziendale con l’inserimento nel contratto di leggi specifiche in oggetto, contrasta con la battaglia portata avanti in questi mesi dalla Fiom per la difesa del carattere unificante del CCNL.
Prevedere l’assorbimento delle quote in cifra fissa dei futuri contratti nazionali costituisce una oggettiva accettazione della volontà di Federmeccanica di rendere i premi di risultato totalmente variabili.
Si subiscono nei fatti le norme previste dai due contratti separati sottoscritti da Fim e Uilm vanificando la battaglia condotta in questi anni dalla Fiom in difesa del contratto nazionale e dei diritti.
Alla luce di quanto detto il comitato Direttivo della Fiom di Genova ritiene inaccettabile l’ipotesi di accordo.
Genova, 29 Novembre 2016
Approvato con 66 favorevoli, 1 contrario, 1 astenuto
Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo (CARC)
Via Tanaro, 7 – 20128 Milano – Tel/Fax 02.26306454
e-mail: carc@riseup.net – sito: www.carc.it
Direzione Nazionale