Conferenza a Pozzuoli su difesa e applicazione della Costituzione

Arco Felice fa parte di Pozzuoli, vicino a Napoli. Qui si concentrano ville antiche e strutture alberghiere: la zona che va da Pozzuoli a Bacoli e al resto della costa flegrea è luogo di vacanza da millenni. Arco Felice è zona di industria e di storia. È qui che ha sede una fabbrica come la Prysmian.

 

Newsletter n. 11/2017 – Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo

 

Questa settimana ti consigliamo:

[Napoli] Sulla conferenza all’ ITCG Pareto di Pozzuoli sulla difesa e applicazione della Costituzione

Arco Felice fa parte di Pozzuoli, vicino a Napoli. Qui si concentrano ville antiche e strutture alberghiere: la zona che va da Pozzuoli a Bacoli e al resto della costa flegrea è luogo di vacanza da millenni. Arco Felice è zona di industria e di storia. È qui che ha sede una fabbrica come la Prysmian, che produce cavi sottomarini impiegati per i più grandi collegamenti esistenti al mondo per le telecomunicazioni, e che sta proprio a pochi passi dall’Istituto Tecnico Commerciale e Geometra (ITCG) Vilfredo Pareto, dove il 4 marzo si terrà la conferenza promossa dall’Associazione Resistenza e dal Centro Studi Sandro Pertini dal titolo “Costituzione Italiana: applicarla per difenderla”. Una volta nell’area flegrea e soprattutto in quartieri come quello di Bagnoli era prassi normale il legame tra gli operai e i loro figli, che vivevano in quei quartieri e frequentavano le scuole di questi territori. Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, passando davanti alla Prysmian per recarsi all’ITGC Pareto, dove sarà relatore alla conferenza, avrà pensato al potenziale immenso che quei cento metri di strada racchiudono in termini di intelligenze, braccia, competenze e voglia di cambiamento. Di questo infatti ha parlato agli studenti dell’istituto durante la conferenza.

Davanti a un pubblico fatto di studenti ma anche di rappresentanti delle lotte di vari territori (il collettivo studentesco dell’Istituto Superiore d’Istruzione Secondaria (ISIS) di Quarto, il Sindacato Lavoratori in Lotta e associazioni di Bacoli, Pozzuoli e Scampia), Paolo Maddalena, è intervenuto insieme ad Antonio Amoretti (ANPI Napoli), Fabiola D’Aliesio (Associazione Resistenza) e Vincenzo Crosio (Centro Studi “Sandro Pertini”). Crosio è professore al Pareto, e molto del merito per l’organizzazione della conferenza è suo.

I relatori hanno parlato della Costituzione Italiana non come residuato bellico da far languire nelle librerie di casa ma come strumento di lotta per la trasformazione dell’esistente, come una guida che può indicare a quanti più elementi delle masse popolari del nostro paese come e quanto si possa rompere con l’oppressione e lo sfruttamento dei grandi gruppi finanziari, speculativi e dai loro facenti funzione politici, per affermare quella serie di valori e principi che con la Resistenza gli operai, i giovani e le donne delle masse popolari hanno conquistato… (leggi tutto)

 

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Da Resistenza n.3/2017

 

– NO TAV: intervista a Nicoletta Dosio.

Bilancio, insegnamenti e prospettive della violazione degli arresti domiciliari

 

Il 16 febbraio scorso, a margine della presentazione di Rivoluzionaria Professionale di Teresa Noce alla Credenza di Bussoleno, abbiamo intervistato la compagna Nicoletta Dosio e trattato dell’esperienza di violazione delle restrizioni personali a cui il Tribunale di Torino l’aveva condannata. La vicenda è molto nota e non la ricostruiamo per intero, le risposte di Nicoletta la illustrano nelle parti salienti e le sue valutazioni la arricchiscono fino a mostrare pienamente la forza del movimento NO TAV e la forza delle masse popolari.

La decisione di violare le restrizioni imposte dal Tribunale di Torino ha segnato un punto di rottura nella mobilitazione contro la repressione perché anziché delegare la difesa agli avvocati e ai tribunali, tu e il movimento che ti ha sostenuto avete costruito un muro contro l’attacco repressivo. Puoi parlarci di questa esperienza?

La repressione è un segno di arroganza, ma anche di debolezza del potere che ti reprime. Se ci si rende conto che la repressione è esattamente questo, la risposta da dare non è quella del piangersi addosso, ma dell’intensificare la lotta.

Noi in valle abbiamo imparato, con la lotta popolare e con una consapevolezza che è nata anche dalla combinazione di storie diverse che si sono messe insieme, a distinguere tra legalità e legittimità, tra legalità e giustizia. Anche chi si illudeva che la legge e la sua applicazione fossero una garanzia contro l’ingiustizia, ha capito a proprie spese che così non era.

Nella fattispecie queste misure comminate a me e ad altri, che sono preventive, sono più che mai il segno di una persecuzione.

Fino a un certo punto cercavano di distinguere fra i “buoni e i cattivi”, i “black bloc” e chi veniva da fuori con degli “intenti non chiari” contrapposti ai “buoni valligiani”, che protestavano e che avevano tutti i diritti a farlo, purché lo facessero in modo non violento. Ma noi la differenza fra violenti e non violenti l’abbiamo, da lungo tempo, cassata.

Per quanto mi riguardava, si trattava di andare quotidianamente a firmare dai carabinieri. Mi sembrava davvero una cosa insostenibile… Non tanto per superbia da parte mia, ma perché mi sono chiesta per quale motivo dovessi sottostare a una cosa ingiusta, come reazione a una manifestazione come tante altre. Infatti la violenza e la prepotenza l’avevamo subita noi con decine e decine di lacrimogeni, che avevano colpito anziani, donne, bambini, in un momento che era il ricordo della fine della Libera Repubblica della Maddalena, ma anche un momento per ribadire che la lotta popolare c’era ed era compatta, con tutti i suoi aspetti, anche quelli più gioiosi, più popolari, che sono poi una delle caratteristiche costanti della nostra lotta. Quindi è stato naturale, l’uovo di Colombo, non accettare queste misure. Che senso aveva andare a firmare dai Carabinieri? Significava umiliarsi davanti a loro, andare là e dire “sono qui, controllatemi pure, obbedisco e quindi (forse) chiedo venia”. Quindi non l’ho fatto e immediatamente si è alzata una barriera, quella che noi chiamiamo “muro popolare”: persone del movimento e non solo che hanno sostenuto questa situazione. Vado avanti per un po’ con questa questione delle firme, poi arriva il secondo livello. Di solito succede al contrario: partono con le misure più pesanti e poi, via via e se ti comporti bene, te le scalano. Per me no, il secondo livello è stato l’obbligo di soggiorno a Bussoleno e il rientro in casa dalle 6 di sera alle 8 del mattino. A questo punto è scattato il “NO TAV Tour”: per rispondere all’obbligo di dimora ho cominciato a girare, a raccontare la nostra storia in tante parti d’Italia. La risposta si è quindi diffusa oltre la valle, non solo con dichiarazioni di solidarietà, ma con inviti un po’ da tutta Italia: a volte andavo io, altre volte andavano altri compagni a raccontare la storia; perché quello che deve essere chiaro è che non si tratta di una persona sola, ma siamo un movimento che, magari appoggiando la posizione di una persona, lotta collettivamente. Da soli non si fa niente, questo voglio dire.

In uno dei tanti tour a cui avevo partecipato ero andata a Piacenza alla manifestazione per quel compagno che era stato ammazzato col camion durante un picchetto (si riferisce all’omicidio di Abd El Salam, durante uno sciopero alla GLS nell’ottobre scorso – ndr). Il giorno dopo arrivano gli arresti domiciliari. Come abbiamo risposto? Sono venuti compagni e compagne sotto casa mia, mi hanno presa e mi hanno accompagnata qui alla Credenza (storico punto di ritrovo per il movimento NO TAV – ndr), perché ho deciso che a casa non ci sarei più rimasta, perché “a casa” era il posto dove mi erano stati imposti i domiciliari. Per cui la cosa è andata avanti, continuavo ad andare in giro e comunque stavo qui, a casa non mi hanno mai trovato. La cosa ha cominciato a creare difficoltà per loro.

Un’altra cosa è importante: era un’evasione, ma non mi nascondevo, anzi la rivendicavo pubblicamente. (Leggi tutto…)

 

– La lotta degli operai FCA contro il piano Marchionne

 

Pomigliano: se qualcuno la promuove, la resistenza si sviluppa

Nel 2010 Marchionne a Pomigliano aveva giurato che la FIAT (ora FCA) avrebbe triplicato la produzione a condizione che venisse rimosso l’intralcio di diritti “ormai superati”, leggi “antiquate” e sindacati “ideologici”. Pomigliano è la dimostrazione che le promesse dei padroni sono balle e i politicanti, i sindacalisti e i giornalisti che le spacciano per buone sono loro complici! A sette anni di distanza, la fabbrica-caserma che avrebbe dovuto sfornare centinaia di migliaia di nuove auto ha tutti i sintomi di una fabbrica condannata a morte.

I fatti, in breve. A novembre dell’anno scorso FCA comunica che 500 operai (più eventuali altri 600) devono essere trasferiti “temporaneamente” da Pomigliano a Cassino per avviare la produzione del nuovo Suv Stelvio.
A dicembre, senza consultare gli operai, FIM, UIM, FISMIC e Associazione Quadri FCA firmano l’accordo per rendere operativo il trasferimento: dicono che permetterà agli operai attualmente in contratto di solidarietà a Pomigliano di tornare a lavorare a tempo e stipendio pieno e agli operai che andranno a Cassino di avere un bonus di 500 euro. La FIOM non firma perché l’accordo non prevede che i trasferimenti siano su base volontaria, il bonus di 500 euro non è garantito per tutto il periodo di trasferimento e per Pomigliano non c’è un piano produttivo. (Leggi tutto…)

 

– Intervista a un operaio di Cassino

Abbiamo parlato con alcuni operai della FCA di Cassino e uno di loro si è reso disponibile a rispondere ad alcune domande per spiegare ai lettori di Resistenza la situazione dal loro punto di vista: da una parte gli operai deportati da Pomigliano e dall’altra, a Cassino, 700 cassintegrati, condizioni di lavoro pesantissime e ricatti. Gli ingredienti per la guerra fra poveri con cui Marchionne vuole gestire la morte lenta degli stabilimenti FCA, dove si gioca una partita che riguarda tutti gli operai e tutti i lavoratori e non è un modo di dire. (Leggi tutto…)

 

 

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