Costituire un governo di emergenza popolare per rompere con l’Euro, l’Unione Europea e la Nato, per applicare le parti democratiche della Costituzione, per garantire subito a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso e per avanzare nella rivoluzione socialista.
Non basta il CONTRO, è necessario il PER.
Costituire un governo di emergenza popolare per rompere con l’Euro, l’Unione Europea e la Nato, per applicare le parti democratiche della Costituzione, per garantire subito a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso e per avanzare nella rivoluzione socialista.
Ci sono tre elementi di carattere politico che caratterizzano la giornata del 25 marzo a Roma: 1. la riunione dei caporioni dell’imperialismo franco-tedesco, allargata ai loro gregari, in occasione della celebrazione del 60° Anniversario dei Trattati di Roma; 2. il dispositivo repressivo messo in atto dal governo Gentiloni alla faccia dell’esito del referendum del 4 dicembre (a dimostrazione di come la “volontà popolare” espressa con gli strumenti della democrazia borghese conti meno di zero di fronte agli interessi e alle esigenze dei vertici della Repubblica Pontificia); 3. le manifestazioni, le mobilitazioni e in particolare fra di esse quella indetta per “un’altra Europa” da CGIL, FIOM, ARCI, Sinistra Italiana, ‘Il Manifesto’, PRC e Cobas, quella indetta contro Euro, UE e Nato da Eurostop e l’assemblea di Eurostop del 26 marzo.
Nella relazione fra questi tre elementi si sintetizzano le due vie, alternative, concorrenti e antagoniste, che l’aggravamento della crisi economica, politica e ambientale pone di fronte alle masse popolari: la via della mobilitazione reazionaria (guerra fra poveri e guerra fra stati in nome dello “spazio vitale” che la crisi generale restringe per ogni gruppo imperialista) o la mobilitazione rivoluzionaria (solidarietà fra le classi popolari, organizzazione e mobilitazione per la rivoluzione socialista, il primo paese che rompe con la Comunità Internazionale degli imperialisti apre la strada alle masse popolari degli altri paesi).
Nel dettaglio
1. La riunione degli imperialisti franco-tedeschi e dei loro gregari e satelliti segna l’inizio della fine anche della retorica sull’Europa Unita democratica e progressista, retorica che aveva ragion d’essere finché non sono crollati i primi paesi socialisti e che nella sostanza gli effetti della crisi avevano già mandato all’aria. Nella pratica, l’Unione Europea era già un carrozzone deforme che ha via via perso lo slancio unitario e le velleità democratiche: dalle aggressioni militari (dalla Jugoslavia nel 1999 alle operazioni “sotto l’ombrello dell’ONU” in Medio Oriente), agli intrighi eversivi (in Ucraina), allo sterminio di immigrati nel Mediterraneo, al salasso contro le masse popolari della Grecia. L’Euro e la UE sono diventati il manganello con cui capitalisti e banchieri hanno stravolto la Costituzione (pareggio di bilancio), con cui hanno aperto il portone alle “riforme necessarie”, con cui sono avanzati nello smantellamento dei diritti, delle tutele e delle conquiste ottenute nel nostro paese con decenni di lotte. Tuttavia, la ricetta non ha guarito il malato, la crisi non passa e anzi si aggrava: ai gruppi imperialisti franco-tedeschi serve “un’Europa a due velocità” in cui la componente lenta diventa terreno di scorribande e saccheggio (Italia, Grecia, Portogallo, fra gli altri) e quella veloce si lancia, liberata dalle zavorre, nella lotta per conquistare o mantenere posizioni negli equilibri internazionali sempre più precari.
Gli imperialisti franco-tedeschi hanno ingranato una marcia in più nella direzione che porta alla maggiore competitività (economica, commerciale e politica che ha come unico epilogo lo scontro militare, la guerra imperialista) con gli altri gruppi imperialisti mondiali, USA in testa, trascinandosi dietro le masse popolari tedesche, francesi e in definitiva di tutti gli altri paesi.
2. Per inquadrare il contenuto delle manovre messe in atto il 25 marzo dal Governo, tramite il Ministero dell’Interno e la Questura di Roma, contro le mobilitazioni anti-UE è necessario fare un passo indietro e allargare la visuale.
La vittoria del NO al referendum costituzionale del 4 dicembre ha costretto Renzi alle dimissioni. I vertici della Repubblica Pontificia non hanno un personaggio adeguato a sostituirlo (anche perché il contenuto delle manovre di Renzi ha ulteriormente diviso e contrapposto le varie fazioni che li compongono) e sono state obbligate a installare un personaggio “piccolo-piccolo” con una linea di condotta alla sua altezza, sulla carta molto semplice: disinnescare almeno in parte le contraddizioni che la direzione di Renzi aveva alimentato (anche dentro il PD, oltre che fuori) e procedere con “il pilota automatico” sul programma comune della borghesia imperialista. Parte del programma era e rimane la rottamazione della Costituzione.
Dopo la vittoria del NO il 4 dicembre, era chiaro che la battaglia non si sarebbe conclusa così, che i vertici della Repubblica Pontificia sarebbero tornati alla carica con le violazioni sostanziali della Costituzione laddove non erano riusciti a ottenere una vittoria formale. Il decreto Minniti sulla sicurezza prende in questo senso vari piccioni con una fava: repressione sociale ai massimi livelli, investitura dei sindaci come responsabili di un ordine pubblico che perseguita apertamente la povertà e punisce chi si ribella, introduzione su ampia scala di strumenti repressivi e preventivi tipici del ventennio fascista, da usare “a pioggia” contro attivisti, militanti e partecipanti a manifestazioni e proteste. Superato così di gran lunga il limite della punizione di fronte a un reato, la punizione arriva in base all’orientamento ideologico (ammette serenamente il Questore di Roma) e alla supposizione pregiudiziale che il sospetto possa commettere un reato.
Ecco come, spacciata per “necessità di garantire l’ordine pubblico”, viene imposta la violazione aperta e conclamata del diritto a manifestare e del diritto alla libertà di movimento sanciti dalla Costituzione.
Certo, la manovra non è caduta dal cielo, è stata preparata accuratamente: le premesse sono state la repressione e la criminalizzazione del movimento NO TAV, la persecuzione degli immigrati e degli antirazzisti a Ventimiglia, l’utilizzo del codice di pericolosità sociale distribuito a piene mani a compagni e compagne in tutta Italia, l’introduzione del DASPO per “reati” di piazza, come a Pisa. Il 25 marzo il tutto si è materializzato su ampia scala: dirottamento dei pullman e sequestro di 170 persone al CIE di Tor Cervara (ascolta l’intervista di Nicoletta Dosio), fogli di via decretati per l’abbigliamento dei “sospetti”, respingimento di un gruppo di manifestanti francesi alla frontiera perché “non graditi”, gravi provocazioni poliziesche al corteo promosso da Eurostop, già costantemente criminalizzato dalla stampa di regime nelle settimane precedenti
La violazione nella pratica del diritto a manifestare è plateale e riguarda tutti coloro che si sono mobilitati e attivati per difendere la Costituzione dal referendum del 4 dicembre, non solo i “manifestanti NO Euro”. La difesa degli spazi di agibilità politica, praticandoli direttamente anche “forzando” divieti e prescrizioni, è il contenuto della mobilitazione di tutti coloro che invocano il rispetto e l’attuazione della Costituzione: implorare le istituzioni e le autorità della Repubblica Pontificia affinché lo facciano non è la strada efficace.
Solidarietà al movimento NO TAV!
Mentre scriviamo è giunta la notizia della condanna a due anni di carcere di alcuni militanti NO TAV per una manifestazione non autorizzata e blocco stradale. Il Tribunale di Torino alza il tiro nel tentativo di spezzare la resistenza del movimento.
Solidarietà ai compagni e con il movimento NO TAV! La manifestazione che si terrà il 7 maggio in Val Susa è l’occasione per rispondere in modo unitario alla persecuzione del Movimento NO TAV e per proseguire la lotta per l’attuazione delle parti democratiche della Costituzione.
3. Se i primi due punti attengono alle condizioni oggettive, a dinamiche e processi nel campo nemico, le manifestazioni per “un’altra Europa” indetta da CGIL, FIOM, ARCI, Sinistra Italiana, ‘Il Manifesto’, PRC e Cobas , quella indetta contro Euro, UE e Nato da Eurostop e l’assemblea di Eurostop del 26 marzo attengono invece alle condizioni soggettive, a quello che i promotori della mobilitazione delle masse popolari fanno o non fanno, sanno fare o devono imparare a fare per sbarrare la strada alla mobilitazione reazionaria e favorire la mobilitazione rivoluzionaria. E’ quindi la parte su cui maggiormente ci soffermiamo.
La manifestazione che rivendicava un’altra Europa si è svolta al mattino ed è stata poco partecipata: dei 3000 manifestanti la componente di funzionari sindacali o di partito era molto alta. Hanno concorso al risultato sia la mancata mobilitazione di CGIL e FIOM per organizzare la partecipazione di operai, lavoratori e pensionati, sia lo scarso riconoscimento da parte delle masse popolari di una parola d’ordine fuori dalle condizioni concrete della lotta di classe.
La manifestazione indetta da Eurostop ha visto la partecipazione di 8000 persone, la criminalizzazione con cui è stata annunciata dai media di regime non basta a spiegare un risultato per certi versi modesto che ha le radici, principalmente, nel settarismo dei promotori; un settarismo che si è manifestato sul piano politico (ne è esempio il comunicato della Rete dei Comunisti “No all’Unione Europea: il 25 marzo non sbagliate manifestazione”), che si riflette sul piano sindacale (con le diatribe nel campo del sindacalismo di base e la concorrenza fra USB e CGIL) e sul piano prettamente logistico di organizzazione e “gestione” della mobilitazione (un esempio in corso d’opera, ma che lascia intendere il lavoro preparatorio: sono stati i cordoni e il servizio d’ordine che selezionavano e separavano “spezzoni buoni” e “spezzoni cattivi” – che comprendeva, fra gli altri, il nostro spezzone e quello del SI Cobas con anche gli operai di Pomigliano – ben prima che la celere spaccasse il corteo e isolasse a beneficio di telecamere i “buoni” dai “cattivi”).
Motivo di riflessione generale il dato che, sommando le due manifestazioni, la partecipazione è stata di molto inferiore a quella che in passato ha caratterizzato mobilitazioni dal percorso analogo (quelle contro la crisi promosse dal Comitato NO Debito e il NO Monti Day, per non citare il 15 ottobre del 2011 a cui parteciparono decine di migliaia di persone). Introduzione alla riflessione è che la partecipazione alle mobilitazioni della giornata del 25 marzo è stata fortemente penalizzata da una impostazione principalmente, se non esclusivamente, CONTRO; ma chiamare i lavoratori, i giovani e il resto delle masse popolari a mobilitarsi solo CONTRO o a rivendicare alla classe dominante non basta più, dato che non ha alcuna utilità nel fronteggiare gli effetti più gravi della crisi e non contribuisce alla definizione di una alternativa realistica ai vertici della Repubblica Pontificia.
La giornata del 25 marzo, soprattutto nel corteo del pomeriggio promosso da Eurostop, ha espresso anche tendenze positive, da valorizzare ed estendere.
Il corteo di Eurostop è stato partecipato da molti giovani e da molti lavoratori e lavoratrici, principalmente iscritti USB, ma rappresentativi di quella parte di classe operaia e di lavoratori che, indipendentemente dalle sigle sindacali, sono disposti a mobilitarsi sulle questioni politiche e per le sorti del paese. E’ la partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici iscritti all’USB che ha fatto la differenza in termini quantitativi e qualitativi, nelle mobilitazioni della giornata.
La partecipazione del SI Cobas, e in particolare degli operai di Pomigliano che si oppongono alla deportazione a Cassino, è il più vivo esempio della ricerca dell’unità di classe, al di là delle appartenenze sindacali.
La partecipazione di una parte del movimento di lotta per la casa, con un importante componente di migranti, ha qualificato la manifestazione come strumento di lotta alla mobilitazione reazionaria, disarmando quell’attacco mediatico (con ampia propaganda e intossicazione su probabili attacchi da parte dei “terroristi islamici”) e politico che si sviluppava sull’equazione immigrato=potenziale terrorista.
La partecipazione risoluta e decisa di migliaia di persone, nonostante le minacce di violenze poliziesche e la risposta determinata a fronte delle numerose provocazioni da parte della Questura e del Ministero degli Interni.
· Il volantino che abbiamo diffuso al corteo della mattina e a quello del pomeriggio
· Alcune foto scattate a Roma per la campagna contro la violenza sulle donne e in solidarietà a Stefania, aggredita da un antiabortista a Milano e rinviata a giudizio.
Sull’assemblea di Eurostop del 26 marzo torneremo nei prossimi giorni con uno specifico comunicato: dal dibattito sono emerse più chiaramente le tendenze che qualificano l’aggregato come un potenziale protagonista della costruzione di una nuova governabilità dal basso del paese (vedi in proposito “Organizzarsi e lottare per vincere! Bando al disfattismo, la rivoluzione socialista è in corso” su Resistenza n. 3/2017), ma dalla giornata sono emerse anche le principali questioni politiche che compromettono quello sviluppo positivo e pure gli importanti limiti ideologici di alcuni dirigenti di riferimento che non hanno mai imparato la differenza fra le contraddizioni entro il movimento rivoluzionario (che si trattano con la lotta ideologica, il dibattito franco e aperto, la critica e l’autocritica nel quadro dell’unità d’azione per affermare gli interessi delle masse popolari e della solidarietà di classe contro la repressione) e le contraddizioni fra il movimento rivoluzionario e il nemico di classe, non sanno trattarle come questioni differenti e non vogliono imparare (le provocazioni dei dirigenti della Rete dei Comunisti contro i nostri compagni, il tentativo di aggressione fisica del professor Luciano Vasapollo alla nostra compagna che è intervenuta, la gazzarra che ha innescato affermando che siamo “spie della questura” – sic! – le affermazioni sibilline sulla contiguità fra Carovana del (nuovo)PCI e “terrorismo”, il tentativo di cacciarci dall’assemblea ne sono una manifestazione inequivocabile).
· Il video dell’intervento della nostra compagna, prima della “gazzarra”
Nella relazione fra i tre elementi analizzati si sintetizzano le due vie, alternative, concorrenti e antagoniste, che l’aggravamento della crisi economica, politica e ambientale pone di fronte alle masse popolari: la via della mobilitazione reazionaria o la via della mobilitazione rivoluzionaria, dicevamo all’inizio. La sintesi, schematicamente, è la seguente.
La borghesia imperialista procede a grandi passi sull’unica strada che conosce e che può realisticamente imboccare: per sua opera le masse popolari dei paesi imperialisti saranno sempre più, come e quanto lo sono già le masse popolari dei paesi oppressi, carne da macello e da cannone. Riformare la UE, cambiare la UE, uscire dall’UE è un obiettivo percepito come secondario da quelle stesse masse popolari che pure si mobilitano in misura e in numero crescente contro gli effetti della crisi e contro le misure che i caporioni della Comunità Internazionale impongono loro: sacrifici, lacrime e sangue. Lo percepiscono come obiettivo secondario perché in effetti è secondario: la questione principale non è rompere con la UE e la NATO; senza dire chi lo fa e come si fa e senza iniziare a farlo sono parole al vento. La questione principale è la costituzione di un governo di emergenza popolare che dalla classe operaia e dalle masse popolari organizzate tragga la forza per attuare il programma di cui le masse popolari hanno bisogno, il loro programma, la sintesi delle loro aspirazioni:
1. Assegnare a ogni azienda compiti produttivi (di beni o servizi) utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale (nessuna azienda deve essere chiusa);
2. distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi;
3. assegnare ad ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società (nessun lavoratore deve essere licenziato, ad ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato);
4. eliminare attività e produzioni inutili o dannose per l’uomo o per l’ambiente, assegnando alle aziende altri compiti;
5. avviare la riorganizzazione delle altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione;
6. stabilire relazioni di solidarietà, collaborazione o scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.
Attuare questo programma significa attuare le parti democratiche della Costituzione, quelle stesse parti che un qualunque governo fantoccio, come quello Gentiloni, si premura di violare sistematicamente alla faccia della vittoria del referendum del 4 dicembre.
Le parti democratiche della Costituzione le devono applicare da subito, dal basso, le masse popolari organizzate, perché rivendicare che ad applicarle siano le istituzioni della Repubblica Pontificia non porta a niente.
In questo Eurostop può avere un ruolo. Possono avere un ruolo gli organismi che vi aderiscono e possono averlo anche i professori e i dirigenti sindacali che lo guidano. Per quanto attiene agli organismi che vi aderiscono, è nelle loro possibilità, si tratta di volontà politica, superare le logiche di concorrenza con altri organismi, aggregati e partiti e sviluppare una sana politica da fronte che metta al centro il protagonismo della classe operaia e delle masse popolari; per quanto attiene ai professori e ai dirigenti sindacali che lo guidano, usassero contro la classe dominante e i suoi servi, guardiani e poliziotti la veemenza e l’arroganza che invece usano contro i comunisti. Questa, oltre che volontà politica, è per loro anche una scelta di campo.
La situazione è rivoluzionaria, fare dell’Italia un nuovo paese socialista è possibile. La situazione è rivoluzionaria non perché le masse fanno già azioni rivoluzionarie, ma perché le condizioni oggettive le spingono a farle; non perché le masse sono già organizzate per fare la rivoluzione, ma perché sono spinte a organizzarsi; non perché vogliono la rivoluzione, ma perché non hanno altra soluzione positiva.
Ma la rivoluzione socialista non scoppia. I comunisti la devono costruire imparando loro per primi a fare ciò che la parte più avanzata del movimento popolare e le sue organizzazioni ancora non sanno fare per diventare quelle nuove autorità pubbliche che costituiscono la spina dorsale del Governo di Blocco Popolare, lo strumento per costruire il nuovo potere che soppianta quello della borghesia imperialista. Imparare e insegnare a costruire coordinamenti su basi più solide della pure importante solidarietà generica; imparare e insegnare a un gruppo di operai a vedere le cose in modo che la loro mobilitazione non sia soffocata dal disfattismo, dallo scetticismo o dalla sfiducia; portare un organismo popolare a indicare le misure concrete per fare fronte agli effetti della crisi nel territorio in cui opera e mobilitare altri elementi delle masse popolari per attuarle insieme: tutto questo significa imparare e insegnare a fare ciò che è necessario fare, ma spontaneamente non succede.
Questo, in definitiva, è quello che chiamiamo a fare organismi, aggregati e movimenti, singoli operai, lavoratori, donne e uomini, studenti e disoccupati, pensionati e immigrati e in particolare chiamiamo a fare quelli che hanno la bandiera rossa nel cuore e vogliono fare dell’Italia un nuovo paese socialista.
Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo (CARC)
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