Dall’11 settembre a Manchester, una nuova forma di guerra, capace di sconvolgere la vita di ogni giorno e di rendere impotenti i più raffinati sistemi militari, si è diffusa. “Con l’attacco suicida, compiuto perlopiù isolatamente e con armi improvvisate da strumenti di uso domestico, la ‘guerra’ si privatizza – scrive Lea Melandri.
NEWSLETTER DI COMUNE
IL DEMONIO, IL SUICIDIO E LA GUERRA
LO SO CHE NON DOVREI LEGGERLO
“Lo so che non dovrei leggerlo… Ma Sallusti ogni tanto mi a venire voglia di riaprire i giornali della destra che ci circonda, che ci penetra, che ci scortica…”. Ecco perché dobbiamo avere paura di quello che scrive Sallusti, di quella destra che ci penetra ogni giorno di più… e a cui dobbiamo ribellarci prima di tutto nella nostra testa, poi nelle strade, a scuola, nella vita di ogni giorno
ASCANIO CELESTINI
IL MALE C’È
“Vorremmo proteggere i nostri figli sempre. Invece non possiamo. Vorremmo allontanarli dal male e dirgli che non esiste… Invece il male c’è. Nemmeno tanto nascosto… – scrive Penny, insegnante e madre – Dobbiamo proteggerli dalla paura dell’altro… Dovremmo chiedere scusa ai figli. Quelli che non siamo riusciti a proteggere. Figli di tutti. Dell’umanità che ci appartiene. Stringere gli altri. Quelli che abbiamo vicino…”
PENNY
SPEGNERÒ IL TELEFONO A GUERRA FINITA
La prima rifugiata siriana che Souad Benkaddour ha aiutato era una donna incinta con tre bambini arrivata alla stazione degli autobus Méndez Álvaro di Madrid nel settembre 2015. Allora non avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe stata d’aiuto a più di 500 persone provenienti da Siria, Palestina, Iraq e Bangladesh, o che il suo telefono sarebbe divenuto il numero di soccorso per così tanti rifugiati. Assieme ai suoi vicini, ha costruito un grande sistema di scambio di favori che sta ancora funzionando. La sua storia personale, la sua ricerca di libertà, ha qualche somiglianza con quelle delle persone che assiste. Souad non ama definirsi un’attivista, si sente una persona comune e pensa che sia giusto dare una mano ad altre persone. Souad ha le idee chiare per il suo futuro: “Spegnerò il telefono quando la guerra in Siria finirà”
SARA ROSATI
C’ERA UNA VOLTA LA ROTTA BALCANICA
Grazie all’indecente accordo europeo del marzo 2016 con la Turchia, la rotta balcanica è stata ufficialmente chiusa. Solo ufficialmente, è ovvio, come vuole l’oscena ipocrisia che segna ovunque l’azione di sbarramento della fortezza continentale. Decine di migliaia di persone, comunque, sono rimaste bloccate tra Turchia, Grecia e Balcani. In Serbia, quelli in fuga dalla guerra e dalla fame sono quasi ottomila. La gran parte è rinchiusa nei campi governativi ma 1.200 di loro vivevano nel campo informale dietro la stazione di Belgrado, quell’insieme di capannoni diventati tristemente famosi nell’inverno scorso, grazie alle foto che mostravano file di migranti in fila in mezzo alla nev e per ricevere un pasto caldo. Una delle molte versioni dell’inferno di chi nasce nel posto sbagliato, eppure… Eppure molte di quelle persone, pakistane e afghane per lo più, sono riuscite a chiamare dolcemente “casa” quel campo. Perché tra i migranti, la gente delle associazioni e i volontari si era creata una bella comunità. Una storia importante, anche perché capace di dimostrare al mondo che la comunità non è condannata alle origini, non esiste di per sé ma si fa. Ora quella comunità non c’è più: le Barracks sono state disinfettate e demolite per far posto al Belgrade Waterfront, un quartiere di lusso, un nuovo nefasto simbolo della speculazione e delle politiche dell’accoglienza europea. Una volontaria italiana a Belgrado racconta a Comune questa piccola vicenda di straordinaria rilevanza
GAIA CALLICARI S
VOLONTARI TRA I MIGRANTI NEI BALCANI
Mini-radiografia dell’auto-organizzazione impressionante di migliaia di persone. Qualche istruzione sull’uso di quel che c’è da sapere per affrontare una grande e bella esperienza di solidarietà e ritornare con un bel po’ di fiducia nella vita e nel genere umano. C’è chi ha mollato tutto e dall’inizio della crisi si è trasferito in Grecia e poi in Serbia. C’è chi s’è preso un anno sabbatico prima di iniziare l’università e chi una settimana di ferie. C’è chi ha perso il lavoro e prima di cercarne un altro ha deciso andare per qualche mese e chi studia a Belgrado e mette a disposizione metà delle sue giornate. C’è chi ha diciott o anni appena compiuti, chi ne ha trenta e chi cinquanta…A
G.C.
IL CALEIDOSCOPIO DELL’IDENTITÀ
I processi migratori non sollevano solo problemi di diritto, nuove e vecchie forme di razzismo. I migranti nella vita di ogni giorno mostrano prima di tutto come ognuno di noi, se pur con gradualità e in forme differenti, vive un sé plurale e frammentato. Troppo spesso nei ragionamenti intorno alle migrazioni emerge invece un noi e un loro rigido e astratto: in realtà le identità, che non sono altro che rappresentazioni, non sono mai definitive, sono un costante percorso di ricerca e costruzione tra itinerari a cui adeguarsi (spesso vere spoliazioni) e itinerari scelti, un percorso suscettibile di cambiamenti e riposizionamenti. Quello che è certo, spiega Stefano Rota, è che l’identit&a grave; dei migranti è estremamente eterogenea e che qualsiasi tentativo di approfondire il tema delle migrazioni ha bisogno di essere letto dalle opportune lenti della complessità
STEFANO ROTA
< a href=”http://comune-info.net/autori/paolo-mai/”>PAOLO MAI
TATAOUINE BRUCIA, TUNISI RISPONDE
La delusione è tanta ma il futuro non è ancora scritto. Le parole del ricercatore italiano Lorenzo Feltrin riassumono bene la situazione attuale della Tunisia. La delusione è quella, tremenda, che segue a una normalizzazione politica indecente e travestita da “democrazia” per continuare a tradire le grandi speranze sollevate con la rivoluzione del 2011. Il fatto che il futuro non sia affatto scontato lo dicono, mese dopo mese, le lotte sociali, tenaci e spesso al limite della disperazione, che continuano a esplodere nelle regioni periferiche. Da Kasserine a Sidi Bouzid, da Gafsa alle banlieues di Tunisi, fino alle ultime importanti azioni dirette di Tataouine contro il petrolio, simbolo dell’ arricchimento dei soliti noti e del colonialismo interno. La repressione resta durissima, il livello della corruzione è forse perfino superiore a quello dei tempi della dittatura, crescono imperterrite l’arroganza e la sordità dei governi, ma la rivolta, soprattutto giovanile, rinasce puntuale, alimentata com’è da un desiderio di giustizia e di dignità che nessuno sembra poter riuscire a mettere a tacere
PATRIZIA MANCINI
NELL’ANNO DEL NI UNA MENOS STO IN CUCINA
Imprigionata tra il lavandino e i fornelli, proprio nell’anno in cui la lotta delle donne e i movimenti femministi di tutto il mondo riescono a far sentire chiara la dirompente radicalità della loro critica al sistema del patriarcato. La corrispondente di Comune da Dublino racconta la bella la vita di ogni giorno sotto il cielo d’Irlanda, paese dal regime fiscale tanto ‘generoso’, dove i servizi non esistono e non vengono neanche considerati un diritto. Tutto il lavoro di cura ricade sulle donne e le rinchiude senza scampo in cucina. Come diceva Simone de Beauvoir, è per i figli che si finisce a fare la casalinga, una trappola psicologica pericolosa: ti ci abitui e diventa più difficile delegare. Se invece lo fai, rischi pure di sentirti in colpa. Da brava femminista, scelgo i libri giusti per educare le mie figlie ma poi non riesco a sottrarmi al paradosso di mostrar loro un esempio schiacciato dalle rinunce a favore della funzione ‘sacra’ di lavare la biancheria sporca
LAURA FANO
QUANDO L’INFESTANTE È UN INNO ALLA GIOIA
Sulle sponde a nord del Mediterraneo, quando va bene, la portulaca viene guardata con indifferenza. Per lo più si cerca affannosamente di estirparla considerandola infestante, un aggettivo che esprime fastidio, crudeltà e non lascia scampo. Dall’altra parte del mare, quella mediorientale, di cui la portulaca è originaria, le sue proprietà nutritive e benefiche sono invece ben note e apprezzate da sempre. Come nel caso di Umm Ibrahim, l’anziana donna palestinese che ha raccontato a Patrizia Cecconi il suo drammatico esilio a Gaza, nei giorni della Nakba. Furono proprio le erbe spontanee come la baqla, la portulaca, a permetterle di sopravvivere senza cibo e senz’acqua. Neanc he in Palestina, però, nessuno sa perché la portulaca sia anche conosciuta anche come farfahina, che in arabo significa “che dà gioia”. Una spiegazione che manca segnala dunque un’altra bellissima proprietà, quella della libertà di immaginare, di coltivare l’attesa di un futuro da scoprire in un altro tempo, magari quello del ritorno degli esuli, scacciati da una terra che, come la portulaca, saprebbe regalare gioia. Una terra che non avrebbe mai dovuto conoscere culture e forme di vita considerate infestanti
PATRIZIA CECCONI
LA CITTÀ GIUSTA CHE POSSIAMO COSTRUIRE
La città come casa comune, da costruire – giorno dopo giorno – sul territorio in cui si è presenti con iniziative concrete e relazioni sociali improntate all’uguaglianza dei diritti, alla partecipazione e alla solidarietà. Tutto questo e molto altro ancora è Equo in città, una fiera di economia sociale e solidale che sabato 27 e domenica 28 maggio promuove al suo interno convegni, laboratori e spazi espositivi di una galassia che sa riconoscersi nelle differenze e, appunto, nell’equità. La fiera, che nasce come un appuntamento itinerante sui “territori” per scoprirli, raccontarli e metterli in connessione, prende il via nel popolare quartie re Testaccio di Roma, a Porta Futuro, in via Galvani 108. Comune-info è tra i media partner dell’iniziativa
R.C.
IL DEBITO PUBBLICO E LE NOSTRE CATENE
Qualche tempo fa Étienne de La Boétie lo ha spiegato molto bene: senza l’attiva partecipazione degli schiavi al loro stesso dominio, esso sarebbe presto destinato a implodere. Anche oggi l’ordine dominante più che reprimere il dissenso opera affinché esso non si costituisca. Per questo dobbiamo continuare a gridare i nostri No, ad esempio per non riconoscere il debito pubblico, e promuovere allo stesso tempo azioni diverse per il rovesciamento dell’ordine costituitoE
ANTONIO DE LELLIS
TUMORI INFANTILI, PRIMATO ITALIANO
Non c’è più tempo da perdere: dobbiamo smettere di avvelenare aria, terra e acqua in nome del profitto. Chi paga il conto sono i più piccoli e i più deboli, come dimostrano questi dati inquietanti. Naturalmente possiamo continuare a fare finta di niente e delegare ad altri qualsiasi cambiamento
PATRIZIA GENTILINI
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