Morire per la libertà di stampa, per documentare con precisione e attenzione un evento drammatico e poco raccontato come la guerra del Donbass. Il fotoreporter italiano Andrea Rocchelli è stato ucciso insieme al giornalista russo Andrej Mironov durante la realizzazione di un reportage sulla guerra Ucraina il 24 maggio 2014.
L’AVVENIRE DEI LAVORATORI
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e-Settimanale – inviato oggi a oltre 50mila utenti – Zurigo, 22 giugno 2017
È IN PREPARAZIONE A ZURIGO UNA MOSTRA SU ANDREA ROCCHELLI CURATA DAL FOTOGRAFO MIKLOS KLAUS ROSZA
Andrea Rocchelli
Vita e morte di un fotoreporter
La trasmissione LASER della radio svizzera RSI ha dedicato ad Andrea Rocchelli un servizio (andato in onda lunedì 22 maggio 2017) e fruibile in podcast.
VAI AL SITO >>> ascolta la trasmissione
Morire per la libertà di stampa, per documentare con precisione e attenzione un evento drammatico e poco raccontato come la guerra del Donbass. Il fotoreporter italiano Andrea Rocchelli è stato ucciso insieme al giornalista russo Andrej Mironov durante la realizzazione di un reportage sulla guerra Ucraina il 24 maggio 2014. La vicenda ha avuto una scarsa eco mediatica in quanto inizialmente la morte di Andrea e di Andrej era stata catalogata come incidente. Che non si fosse trattato di un incidente, ma di un attacco mirato a loro come giornalisti inermi, si è chiarito nel corso del tempo, a riflettori spenti. Le autorità Ucraine, nonostante le assicurazioni di serie indagini e nonostante l’avvio di una rogatoria internazionale da parte della giustizia e del governo italiani, hanno eluso ogni quesito e non hanno finora fornito alcuna ricostruzione plausibile dell’accaduto, né hanno individuato responsabilità. In Italia il caso è ancora aperto. Andrea era un giornalista attento e profondo e lo dimostrano non solo le sue foto, ma anche queste interviste, realizzate a Slovianks poco prima della sua morte e recuperate tra gli effetti personali del fotografo restituiti alla famiglia. Sono voci, queste, di civili stremati nascosti nei bunker, di bambini che associano ormai il suono dell’elicottero al “bum bum” del bombardamento. Nel settembre 2014 a Bellinzona Monte Carasso è stata realizzata la prima mostra personale retrospettiva delle foto di Andrea Rocchelli, curata da Gianluigi Grossi (catalogo Evidence, 2014). L’Ambasciata Svizzera a Roma ha supportato, nell’ottobre 2015, un’altra mostra di Andrea dal titolo Stories svoltasi al “Museo di Roma in Trastevere”. L’Assemblea parlamentare dell’OCSE a Vienna, nel febbraio del 2015, ha ricordato la morte di Andrea Rocchelli e di Laurent Etienne, entrambi uccisi in Ucraina nel 2014 come casi paradigmatici di violazioni dei diritti umani e di sacrificio per i valori della solidarietà, del soccorso e dell’informazione.
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VERSO LA PAUSA ESTIVA
Con il prossimo numero la Newsletter dell’ADL inizierà la consueta pausa estiva, durante la quale si procederà ai necessari aggiornamenti tecnici del servizio.
Le regolari trasmissioni riprenderanno giovedì 7 settembre 2017.
La red dell’ADL |
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Anna Falcone e Tomaso Montanari
Che cosa si può volere di più?
La Costituzione affida alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Cosa si può volere di più? Una sinistra capace di difendere la Carta e di realizzare il programma di emancipazione in essa contenuto. Per questa ragione ero all’assemblea convocata da Anna Falcone e Tomaso Montanari domenica scorsa al Teatro Brancaccio di Roma. Data la straordinaria partecipazione di delegazioni da tutt’Italia, non ho preso la parola. Ma, se l’avessi fatto, avrei voluto dire che…
di Felice Besostri avvocato socialista, coordinatore degli avvocati antitalikum
Vorrei parlare di leggi elettorali e della necessità, quasi maniacale, che siano conformi a Costituzione perché è ormai pacifico dopo le sentenze della Consulta e della Cassazione, che come cittadini italiani, cui appartiene la sovranità, abbiamo il diritto “inviolabile e permanente” di votare in conformità alla Costituzione. Le leggi elettorali sono cose molto tecniche, complicate e noiose, ma se non scegliete voi i vostri rappresentanti, perché questi dovrebbero dare priorità ai vostri problemi e non agli interessi di chi li candida e nomina? Spero, tuttavia, che questo ruolo, che mi è preassegnato, finisca presto non perché non voglia impugnare la terza legge elettorale incostituzionale: la ragione principale per dedicarsi ad altro è che se fosse approvata una terza legge elettorale incostituzionale dopo il Porcellum e l’Italikum e si votasse con una tale legge sarebbe un segno inequivocabile che la nostra democrazia è compromessa e che negli organi al vertice delle istituzioni si annidano i nemici della nostra COSTITUZIONE: – un GOVERNO, che la promuove, come ha fatto con l’Italikum magari ponendo la fiducia; – un PARLAMENTO, che l’approva e – un PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, che la promulga e – un PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, lo stesso, che sciolga le Camere e indica elezioni in modo da impedire di fatto un controllo di costituzionalità. La legge affossata dal PD era in contrasto con la Carta in almeno 3 punti, che si potevano superare con: – Voto disgiunto per collegio uninominale e lista circoscrizionale proporzionale; – Sblocco delle liste circoscrizionali, non necessariamente con le preferenze; – Soglia di accesso regionale e non nazionale per il Senato. Ci sono anche altri problemi come il privilegio degli elettori trentin-altoatesini, il numero esagerato di sottoscrizioni per la presentazione di liste per i nuovi ed esenzioni totali per chi già c’è, il riequilibrio effettivo della rappresentanza di genere, ma non entriamo nei dettagli. Personalmente e politicamente vorrei potermi occupare dello stato della sinistra in Europa, senza distinguerla tra occidentale e orientale o fuori/dentro la UE e nel resto del mondo, perché siamo in un mondo globale. Una volta i liberali erano cosmopoliti, i democratici cristiani universalisti e la sinistra, socialista e comunista, internazionalista. Tutto questo si è perduto e se lo spazio dove estendere il nostro sguardo si riduce ai nostri orticelli, da quegli orizzonti, troppo angusti, non vedremo mai sorgere alcun sole dell’avvenire, nemmeno una fiammella di speranza. Ora abbiamo un’occasione storica perché il bipolarismo coatto è stato messo in crisi dall’annullamento delle due leggi, il Porcellum e l’Italikum, che lo volevano consacrare contro la Costituzione. Tuttavia sono convinto, che quelle decisioni, in particolare quella del gennaio 2014, non sarebbero state possibili se il bipolarismo non fosse stato sconfitto prima nelle urne delle elezioni 2013, quando votarono per i due maggiori partiti il 58,66% (nel 2008 erano il 70,56%) degli elettori italiani, che inventarono un terzo polo col M5S. Le ultime elezioni francesi, le presidenziali, ma ancora di più le legislative di domenica scorsa, 11 giugno, devono essere intese come un campanello dall’allarme (per la prima volta hanno votato in meno del 50%), cioè allontanando dalle urne la maggioranza degli elettori, è possibile inventare un movimento politico, che conquisti la maggioranza di un Parlamento, tanto più artificialmente amplificata, quanto più il sistema elettorale è maggioritario. Ovviamente non basta un leader nuovo, intelligente e con presenza mediatica, occorrono anche soldi, tanti soldi e troppi soldi di provenienza, da chi ne ha, sono incompatibili con una vera democrazia. Da qui l’entusiasmo anche in Italia per MACRON, che ci sbarazza dell’antinomia destra/sinistra, a favore di quella più funzionale al potere tra responsabili ed estremisti, tra europeisti e populisti.. Ma torniamo a noi e alle leggi elettorali: una legge elettorale è sempre una scelta politica, non tecnica. Se si chiede un premio di maggioranza per le coalizioni, significa, a sinistra, che ci si vuol alleare con il PD, un qualsivoglia PD, chiunque ne sia il segretario. L’Italia dopo tre Parlamenti eletti con una legge maggioritaria incostituzionale ha bisogno di un momento di verità e perciò di una legge elettorale proporzionale, non perché il proporzionale sia meglio in assoluto e sempre, ma perché soltanto un Parlamento eletto con la proporzionale può decidere come coniugare rappresentanza e stabilità. Qui entra di prepotenza la questione delle soglie di accesso, per le quali non esistono numeri pitagorici con significati simbolici, esoterici o magici. In Italia storicamente abbiamo avuto una soglia del 4% introdotta dal Mattarellum per il riparto della quota proporzionale, la stessa soglia è stata prevista nel 2005 dal Porcellum per la Camera( 8% Senato) ed estesa nel 2009 alla legge per il Parlamento Europeo. Nelle leggi elettorali regionali la soglia oscilla tra il 3% e il 5%. Nei Comuni con più di 15.000 abitanti e nell’Italikum è il 3%. Il 5% nazionale per la Camera e in violazione dell’art. 57 Cost. per il Senato è comparso nel Germanichellum. L’entità non ha parametri costituzionali, se non quello dell’irrazionalità. Il limite dell’irrazionalità ad avviso degli avvocati antitalikum è superato per la soglia del 8% residuata per il Senato, che è composta dalla metà dei membri Camera e che prevede già delle soglie naturali più alte per la conquista sicura di un seggio nelle regioni con 1, 2, 7, 8, 9 o 10 senatori, cioè ben 11 su 20 regioni, la maggioranza. Altra questione non meno importante sono le firme di elettori da raccogliere per presentare le liste, che discriminano i nuovi soggetti, rispetto a quelli già presenti in Parlamento e massime per i gruppi parlamentari esistenti al 1 gennaio 2014 alla Camera dei deputati grazie ad una norma transitoria nascosta nell’art. 2 c. 36 della legge n. 52/2014 e che il Germanichellum avrebbe esteso anche al Senato. Di tale favore a sinistra può beneficiarne soltanto Sinistra Italiana, per questo è bene che sia qui: potremo sentire che uso ne vorrà fare per facilitare un processo di aggregazione a sinistra, uso questo termine con perplessità, perché molti, di quelli che ho consultato, lo ritengono ambiguo e/o generico e preferirebbero un’unità per l’attuazione della Costituzione, perché basterebbe per soddisfare l’aspirazione alla giustizia sociale dare corpo al Secondo Comma dell’art. 3 Cost. “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Cosa si può volere di più? I soviet degli operai, di soldati e dei contadini? Usiamo quindi con cautela la parola sinistra, che come sostantivo è accettabile, ma come aggettivo molto meno: tutti qui comprendiamo la differenza tra una lista di sinistra e una sinistra lista che ricordi l’Arcobaleno. Partiamo dalla Costituzione, di cui non abbiamo il monopolio, per costruire una lista civica e unita di sinistra aperta a tutti, anche a quelli che non si identificano in questa parte politica e, pertanto, larga, inclusiva e plurale.
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Freschi di stampa, 1917-2017 (13)
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Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall’ADL nell’anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami sviluppatisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS svizzero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lanciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d’Ottobre.
Nel taglio basso in prima pagina, sull’ADL del 10 giugno 1917, sotto l’editoriale intitolato “Palpiti d’imperialismo”, si possono leggere tre annunci che di seguito riassumiamo. Primo annuncio. A Pietrogrado comizi, assemblee, riunioni: tutti gli “immigranti” lavorano febbrilmente “per creare la nuova Russia”, annuncia un trafiletto a mezza pagina dal quale si apprende che è arrivata “Una prima lettera della compagna Balabanoff”. La lettera, si precisa, è arrivata «perché fatta impostare in Isvezia», mentre altre missive precedenti «spedite da Pietrogrado non sono arrivate. Attendiamo schiarimenti dalla censura inglese». La posta dalla neutrale Svezia, viaggiando attraverso la Germania, ci mette di meno della posta che proviene dalla Russia belligerante e che viaggia, quindi, attraverso la Gran Bretagna e la Francia. Nella lettera da Stoccolma la dottoressa Angelica «narra delle accoglienze festose fatte al loro gruppo di immigranti a Pietrogrado, quando ella e il compagno Grimm, con la bandiera di Zimmerwald, ricamata in treno, sono scesi alla stazione (…) Molte decine di migliaia di operai plaudenti» ADL 16.6.1917. Il contenuto della lettera non viene riprodotto. Ogni riferimento al compagno Grimm, inserito da Vladimir Il’ič Ul’janov nella lista degli aderenti al “social-patriottismo” ovvero alle tendenze del cosiddetto “Centro” (cf. ADL 2.6.1917, cit. in ADL 8.6.2017), è puramente politico. La “zimmerwaldiana” Balabanoff e il “centrista” Grimm sono, infatti, alleati nella Conferenza di Stoccolma, dove in quei giorni l’Internazionale tenta di mettere pace, anzitutto al proprio interno. A quanto pare, Angelica Balabanoff ha scritto prima da Pietrogrado e poi dalla Svezia. È da supporre che tra la redazione zurighese e la “immigrante” russa funzioni una qualche forma di comunicazione rapida (telefono e telegrafo) tramite cui vengono preannunciati gli invii postali di testi più corposi. Sul piano della cronologia si può tener fermo al fatto che la leader internazionalista è prima rientrata in Russia (metà maggio) e poi si è recata alla Conferenza di Stoccolma, convocata dal 2 al 19 giugno dagli “zimmerwaldiani” unitamente ai “centristi”.
Facce scure alla Conferenza di Stoccolma – Il leader svedese Branting con la delegazione ungherese
Quanto alle lettere inviate da Pietrogrado che, partendo dalla Russia, sono in viaggio verso la Svizzera lungo i territori dei paesi alleati, è da presumere che vengano fatte oggetto di attenta esegesi da parte dei servizi d’informazione dell’Intesa. Arriveranno mai alla Militaerstrasse di Zurigo? «Se la censura inglese permetterà daremo ai nostri lettori gli articoli che la nostra illustre compagna ci ha promesso sulla rivoluzione russa», c’informa l’ADL del 10.6.1917. Secondo annuncio. “Un altro rimpatrio di russi” è in preparazione attraverso la Germania: «Appena la notizia sarà divulgata non si mancherà, da parte della stampa intesofila, l’allegro “chiarivari” delle accuse di “tradimento” e di “venduti” ai tedeschi, che hanno accompagnato le precedenti partenze». L’ADL c’informa che tra questi “immigranti” c’è anche la compagna del “nostro” Cĕrnov, esponente socialrivoluzionario e ministro dell’agricoltura nel Governo provvisorio: «Dal nostro punto di vista siamo ben lieti, che per una via o per l’altra, altri generosi figli della Russia, socialisti internazionalisti, vadano nella loro terra redenta a portare il sussidio del loro pensiero e delle loro energie in un momento in cui in Russia il socialismo sta svolgendo per conto di tutta l’umanità, e nelle più difficili, complesse e tragiche condizioni, il primo esperimento di repubblica sociale» ADL 16.6.1917. Molto sul serio va preso qui l’accenno alle “più difficili, complesse e tragiche condizioni” della nuova Russia. Riassumiamone la situazione: in seguito a una piccola manifestazione di lavoratrici che protestano per il pane, l’Otto Marzo 1917 (corrispondente al 23 febbraio nel calendario giuliano) s’innesca una dinamica di eventi che portano all’abdicazione dello Zar Nicola II e alla nascita della Repubblica russa. Sulla quale ora, però, incombe oltre alla belligeranza nel primo conflitto mondiale anche un grave rischio di guerra civile. Terzo annuncio. Uno dei redattori dell’ADL «ha raccolto dalla viva voce del compagno Hans Vogel, che accompagnò gli immigrati politici in Russia, le notizie, le impressioni da lui riportate durante il viaggio e durante gli otto giorni di sua permanenza a Pietrogrado». Sui due ADL successivi apparirà questa prima intervista-reportage dalla Russia rivoluzionaria. Hans Vogel riveste all’epoca la funzione di cassiere centrale del PS svizzero. Probabilmente in questa funzione è stato aggregato al treno degli “immigranti”, affinché egli possa provvedere alle spese del loro rientro senza che essi debbano ricorrere agli aiuti economici che le autorità tedesche, in modo non certo disinteressato, vorrebbero offrire anche a loro e che li esporrebbero però ad attacchi e ricatti da parte della propaganda avversa. Rientrato dal viaggio pietroburghese, Vogel diverrà corrispondente parlamentare a Berna per la stampa socialdemocratica e succederà al già citato Robert Grimm nella direzione del quotidiano socialista Berner Tagwacht, funzione che Vogel manterrà per trent’anni, fino al 1948. Il suo stile diretto e combattivo sarà sempre temuto dagli avversari e contribuirà non poco all’unità dei socialisti democratici durante i duri anni che si vanno preparando. Il più importante avvenimento del giorno. Al di là degli annunci, il “più importante avvenimento del giorno” è trattato, però, nella “Rassegna proletaria internazionale”, sotto la voce repubblica russa, dove appare “Un appello di grande importanza”. Viene dal Soviet di Pietrogrado. Com’è arrivato a Zurigo? Si tratta del contenuto non dichiarato della lettera di Angelica giunta in redazione grazie alle poste svedesi? O il postino è stato Vogel? Ma, allora, chi ha tradotto il testo del Soviet in italiano? Né si può escludere la probabilità che Vogel portasse in valigia sia la lettera della Balabanoff, sia l’Appello da lei tradotto in italiano per l’ADL, con buona pace delle regie poste svedesi. «Il più importante avvenimento del giorno appartiene al Consiglio dei soldati e operai di Pietrogrado. Il Comitato Esecutivo di quel Consiglio ha lanciato un appello al proletariato di tutto il mondo, invitandolo a partecipare alla Conferenza di Stoccolma entro i giorni dal 28 giugno al 7 luglio dell’anno corrente. (…) Il programma del proletariato russo è la pace: pace senza annessioni, né indennità, basata sul diritto dei popoli i quali abbiano a decidere della propria sorte. (…) Per far cessare la guerra, è indispensabile il concorso di tutte le forze economiche e politiche del proletariato mondiale. (L’appello è indirizzato tanto ai Partiti socialisti, quanto ai Sindacati professionali di mestiere). Ciò che vien fatto mediante una condizione: “I delegati dovranno impegnarsi a mettere in pratica i deliberati del Congresso in quistione, anche con il pericolo di rischiare la propria vita”. L’iniziativa non ci spaventa affatto, perché conosciamo i moventi che han determinato i compagni russi a lanciare questo appello. Sappiamo ciò che vogliono. Conosciamo la situazione difficile in cui si trova la Russia repubblicana» ADL 16.6.1917.
Il Soviet di Pietrogrado nel 1917
Il Soviet di Pietrogrado punta, dunque, sulla conferenza socialista convocata, proprio in quei giorni, nella neutrale Svezia dalla “Commissione Socialista Internazionale” (Sinistra socialista “zimmerwaldiana”) e dal “Bureau Socialista Internazionale” (Socialdemocratici “centristi” favorevoli a una mediazione unitaria). Come detto, quella di Stoccolma è una Conferenza di pace anzitutto nel senso che tenta di pacificare i vari partiti socialisti impegnati, in esilio, nella “guerra alla guerra” e, nei vari paesi belligeranti, a barcamenarsi e collaborare ovvero a “non collaborare né boicottare”. La Conferenza di Stoccolma è uno degli ultimi tentativi di tenere insieme le varie anime della Seconda Internazionale. E nasce morta. Anche a causa dei miopi boicottaggi governativi portati avanti dalle potenze dell’Asse tanto quanto da quelle dell’Intesa. «Ciò che uccide l’Internazionale è il fatto che i singoli partiti aderenti auspicano la vittoria delle coalizioni cui appartengono», denuncia Friedrich Adler (ADL 23.6.1917). E basti pensare che i “social-patrioti” di Francia, Inghilterra e Belgio, rispondendo al Soviet di Pietrogrado, elevano vibranti proteste contro la convocazione di un’assemblea a tutto campo e decidono di condizionare «il loro intervento da determinarsi solo dopo una riunione preparatoria insieme con i russi. In questa riunione si dovrebbero dettare le condizioni secondo le quali i socialisti tedeschi potrebbero intervenire» ADL 16.6.1917. È “caratteristico”, stigmatizza l’ADL, come una parte della lettera dei socialisti operanti nei paesi dell’Intesa sia dedicata «alla distinzione fra il social-patriottismo franco-belga-inglese e quello germanico. La lettera dice infatti: “L’imperialismo di Ribot e di Lloyd George non ha nulla in comune con quello di Guglielmo II”. Certo, sono avversari e come tali antagonisti. Ma appunto perché antagonisti (…) nel dominio del mondo, hanno tanto e tanto in comune che si raccoglie nella parola: imperialismo» ADL 16.6.1917. Insomma, la giovane Repubblica russa, uscita dalla Rivoluzione di febbraio, è presa come in una morsa tra la continuazione della guerra a fianco dell’Intesa (il che comporta lo scoppio di una guerra civile “dal basso e da sinistra”, rischio sottovalutato) e la pace separata con gli Imperi Centrali (il che comporta lo scoppio di una guerra civile “dall’alto e da destra”, rischio sopravvalutato). Constatando l’estrema difficoltà della situazione, ciascuno si predispone, dunque, a tentare un proprio percorso tattico. Mentre gli Stati Uniti d’America hanno iniziato a traghettare il loro possente esercito in Europa, nel vecchio continente va in scena la gran fiera delle velleità socialiste. Così, il Governo provvisorio russo progetta una sfortunatissima offensiva, l’Offensiva di Kerenskij, il quale per altro ha incontrato, durante la Festa del 1° maggio 1917, gli emissari del social-patriottismo francese, garantendo loro, sul proprio onore, l’affidabilità degli alleati russi. Le forze prevalenti nel Soviet di Pietrogrado tentano, come abbiamo appreso, la carta della Conferenza di Stoccolma, donde lanciare una quasi agitazione pacifista mondiale, surrogato puramente immaginario delle magnifiche sorti e progressive di una Rivoluzione a venire. Anche Lenin, com’è noto, ha un suo piano rivoluzionario in testa, che persegue imperterrito: rovesciare il governo borghese, avocare tutto il potere ai soviet, trasformare la guerra imperialista in “guerra di classe” contro l’Occidente borghese. Nessuno lo prende sul serio, ovviamente. Ma proprio questo è il principale alleato di Vladimir Il’ič Ul’janov: il suo status di ex esule stravagante, la licenza di tirare a campare concessagli dal nuovo establishment. Una razionalità di palazzo, fuori d’ogni realtà, si va impossessando di vecchi e pur nobili pacifisti universali non meno che dei governanti “guerraiuoli” repubblicani. Quasi nessuno dei quali se la sente d’imboccare la difficile strada della “pace separata”. Si moltiplicano, invece, i tentativi di escamotage. E la capitale di tutte le Russie – tic-tac, tic-tac – si trova ormai a soli cinque mesi di distanza da una contendibilità totalmente inaudita.
(13. Continua)
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SPIGOLATURE
No, davvero non si può
di Renzo Balmelli
VALORI. Arriva sempre un giorno in cui la democrazia presenta il conto. Dalla Brexit a Trump qualcosa di simile sta già accadendo in quella parte del pianeta chiamato occidente che sembra avere smarrito la retta via. Chi vi governa è immerso nei guai fino al collo e non sa come uscirne. Sotto la minaccia implacabile del terrorismo, inchieste sulle trame oscure del potere, palazzi che bruciano come fuscelli, la società civile si scopre smarrita, indifesa di fronte a leadership incapaci di dare risposte rassicuranti. Nella selva delle contraddizioni, sta crescendo una nuova élite senza scrupoli che si muove tra le pieghe di una svolta insidiosa in grado di disgregare i valori di riferimento del nostro vivere comune. Siamo al cospetto di una sfida epocale che non si affronta attraverso la miope visione degli slogan di facile suggestione di cui avvalgono i novelli costruttori di muri. No, davvero non si può, perché quando la fattura verrà consegnata sarà bella salata.
NEMICO. Al di la della classica contrapposizione tra destra e sinistra, al giorno d’oggi la vera dicotomia è tra apertura e chiusura. In quest’ordine di idee le discussioni più accese ruotano attorno al concetto di populismo, mantra dei nostri tempi usato a volte anche a sproposito. Nel fuoco del dibattito sulle possibili definizioni, spesso a fare la differenza è l’atteggiamento verso il nuovo, il diverso, che spaventa ed è visto come un nemico. Per restare all’attualità, l’indegna gazzarra di stampo leghista che ha profanato l’austera aula del Senato a proposito dello ius soli, cioè dell’apertura, ne è una dimostrazione eloquente. E non si tratta di un fatto isolato. Benché la pronosticata marcia trionfale dell’estremismo populista non si sia avverata, la battuta d’arresto non giustifica il cessato allarme: la quiete dopo la tempesta potrebbe essere ingannevole.
PASSATO. Non è una cosa semplice né indolore il superamento del passato liberticida. A tale proposito in Germania la “Vergangenheitsbewaeltigung”, concetto usato per descrivere la riflessione critica sul periodo nazista, anche a distanza di anni continua a fornire spunti inediti su un tema sempre imbarazzante. È il caso delle, recenti rivelazioni sull’operato di Albert Speer, il cinico e spregiudicato architetto di Hitler che fin quando era in vita ha saputo celare le sue enormi responsabilità nei crimini del regime con biografie a lui favorevoli e accettate. Le ricerche hanno però portato alla luce un cumulo di menzogne su tutte le falsificazioni della storia di cui Speer e gli altri complici dell’universo nazista si sono macchiati senza mostrare ne vergogna ne pentimento, fingendo di non sapere quanto stesse avvenendo negli infernali laboratori dell’Olocausto. Ora giustizia è fatta.
RISORSE. Passano i mesi, gli anni addirittura, ma il tragico scenario in cui si consuma l’esodo biblico e forzato dei profughi è rimasto immutato nel tempo. Semmai, per quanto possa sembrare impossibile di fronte agli episodi di inaudita sofferenza cui sono sottoposte le vittime della follia umana, il fenomeno si è fatto ancor più crudele. Respingimenti, filo spinato, traversate spesso letali e l’odioso sfruttamento ad opera di bande criminali formano la cornice della più grave tragedia umanitaria del secolo. In fuga da conflitti, violenze, persecuzioni i migranti sono anche esposti a frequenti manifestazioni di fastidio se non di aperta intolleranza che concorrono ad aggravare la loro situazione. La Giornata mondiale del rifugiato contribuisce a dissipare paure e ideologie distorte ed a gettare un ponte verso coloro che hanno avuto la disavventura di nascere nel cono d’ombra del benessere. Non si potrebbe fare torto più grande ai profughi che esporli all’assuefazione senza cogliere le risorse offerte dall’incontro personale con loro e che contribuiscono a farne un fattore di crescita per tutti noi.
EN MARCHE. Ora che la marcia della Repubblica può iniziare con tutti i crismi esecutivi e legislativi, la Francia che l’ha voluta e votata si augura che non sia così lunga e difficile come quella che nel nome evoca lontane reminiscenze cinesi. All’ occhio critico dell’osservatore non sfuggono tuttavia le asperità che il titolare di quella monarchia repubblicana che è sempre stato l’Eliseo dovrà affrontare presto e bene. In effetti se il successo di Macron è incontestabile, resta comunque la consapevolezza che il verdetto delle urne è stato tra i meno partecipati del post-gollismo. Leggere quel’ enorme tasso di astensione per individuarne le ragioni sarà tra i primi non facili compiti del nuovo Presidente. Con una tale eredità sulle spalle, gli toccherà recuperare la fiducia dei tanti che sono rimasti a casa e che pur non gettandosi nella braccia dell’estrema destra, come avevano fatto in precedenza con un moto di stizza, manifestano tuttavia il loro malcontento , se non addirittura la più totale indifferenza verso la politica, buttando la scheda nel cestino. Chi come Macron arriva giovane al potere ha il tempo di illudere, ma anche di deludere se i risultati tarderanno ad arrivare e le promesse faticheranno a mettersi in marcia e concretizzarsi secondo le attese.
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Lutto
Giuseppe Tamburrano (1929-2017)
La Federazione Socialista Italiana in Svizzera e L’Avvenire dei lavoratori, che con Giuseppe Tamburrano hanno coltivato uno speciale rapporto di collaborazione nel comune impegno per la salvaguardia della cultura politica socialista italiana e del Centro Estero di ascendenza siloniana, esprimono a Gianna Granati, a tutti i familiari di Tamburrano e alla Fondazione Pietro Nenni un sentimento di vero, profondo e fraterno cordoglio a nome di tutti i socialisti italiani in emigrazione.
Federazione Socialista Italiana in Svizzera L’Avvenire dei lavoratori
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FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/
Pietro Nenni e Giuseppe Tamburrano
Ciao, Giuseppe
Ieri si è spento Giuseppe Tamburrano per trent’anni Presidente della Fondazione Pietro Nenni. Con lui se ne va un pezzo di noi e della storia del socialismo italiano. Il Presidente Benvenuto, la famiglia Nenni, Antonio Tedesco e la Fondazione Nenni tutta, da lui fondata e così tanto amata, si stringono in un commosso abbraccio alla moglie Gianna e alla figlia Valeria. Lo ricorderemo sempre, Giuseppe, perché vive nei nostri cuori.
Non amo scrivere in prima persona ma per una volta vorrei concedermi questa licenza. Per me Giuseppe Tamburrano è sempre stato il Professore. Sin dai tempi in cui lavoravo in un giornale di provincia di ispirazione socialista e lo chiamavo per chiedergli di fornirmi le chiavi interpretative su quel che stava accadendo a livello politico. Roba di diversi decenni fa. Lui era sempre calmo, sereno, inanellava le parole con attenzione, certo non con la velocità con la quale vengono sciorinate sui social. Quell’attenzione nasceva dalla sua profonda preparazione. Le sue chiavi interpretative erano sempre ricche perché elaborate da una mente che alla frequentazione delle biblioteche aggiungeva il confronto con la realtà; vivificava il suo sapere nel fuoco della politica, cercando verifiche, alimentando anche dubbi, per sé e per gli altri. Giuseppe Tamburrano ci ha lasciato. Accanto a Nenni (ma non solo accanto a Nenni) ha fatto politica e ha partecipato all’esperienza migliore della sinistra di governo che questo Paese abbia avuto nei settant’anni che hanno fatto seguito alla fine della seconda guerra mondiale. Ha fatto la storia ma l’ha anche scritta tenendo separate le passioni del militante dal rigore del ricercatore. In quegli anni turbolenti, segnati dal terrorismo, lui, telefonicamente, era per me una guida affidabile nella comprensione delle vicende che caratterizzavano il Partito Socialista. Mai avrei pensato nella mia vita di ritrovarmi accanto a lui nella Fondazione che lui ha creato e intitolato all’uomo che prima ha accompagnato nell’esperienza di governo e poi raccontato nei suoi scritti. L’ultima volta a casa sua mi indicò dietro la scrivania la poltrona che fu di Nenni invitandomi a sedermi. Declinai l’invito: temevo di commettere un reato di vanità. Mi raccontò di questa sua inestinguibile passione, nata per vie familiari, dell’ingiusta fine di un’idea straordinariamente nobile e altrettanto straordinariamente offesa dalla mediocrità degli uomini. Forse parlavamo più facilmente perché eravamo accomunati dalle origini, venendo tutti e due da quella lingua di terra che si proietta verso Oriente. Ma la coerenza metteva il Professore al riparo da quell’accusa di levantinismo che spesso viene rivolta ai pugliesi. Ci mancherà. Ancor di più mancherà a Gianna, sua straordinaria compagna di vita: a lei va tutta la nostra amicizia e la nostra solidarietà. Al Professore il nostro grazie. (a.m.)
I funerali di Giuseppe Tamburrano si terranno a Roma venerdì 23 giugno alle ore 11 presso la chiesa Santa Francesca Romana, Piazza dei Navigatori.
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I fiori secchi del togliattismo
di Paolo Bagnoli
«La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi possa qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore vada nel mazzo giusto».
Chi ha detto queste parole non è un politico neo-georgico, ma un maturo leader, veterano dei partiti e delle istituzioni. È Pier Luigi Bersani che così ha chiuso una lunga intervista rilasciata a “L’Espresso” (n. 23, 4 giugno 2017). Diciamo subito che non si può, sulla frase in sé, che concordare; tuttavia l’ammonimento fa un po’ sorridere, per non dire di peggio, se si pensa da quale storia viene Bersani: quella di prima e quella più recente; da una storia che ha liquidato l’idea stessa di sinistra per dar vita al Partito democratico che, a essa, è geneticamente allergico. L’uscita – un po’ strascicata in vero – che il gruppo di cui egli è il capofila ha ritenuto di farla finita con la formazione di Matteo Renzi. Il porre la questione in aura poetica nulla toglie a tutta la cattiva prosa di un’esperienza che di sinistra non ha mai avuto niente e di cui i comunisti, che ne ha hanno scritto una buona parte, sono responsabili e non assolvibili. Sulle ragioni e la dinamica che hanno portato al Pd si è scritto molto: esso è stato l’approdo finale della linea togliattiana che, qualunque sia stato il nome che via via venivano assumendo, i comunisti hanno pervicacemente perseguito dalla fine del loro vecchio partito. Sempre la stessa linea, sempre la stessa innata convinzione della propria diversità accompagnata dal senso naturale che a loro spettasse l’esercizio di una inscalfibile egemonia che si sarebbe perpetrata nel nuovo soggetto dell’incontro con una pezzo di democrazia cristiana. Rimanendo alla bucolica metafora di Bersani non si può non osservare che, se la sinistra è un fiore di campo, quel fiore sono stati loro per primi a reciderlo. I fiori di campo – lo sanno tutti – nascono spontanei, ma per la sinistra non è così. Essa è il frutto storico delle lotte del lavoro per un mondo migliore, più libero, più giusto, più democratico. È il frutto di una scelta consapevole di milioni di uomini per liberarsi dallo sfruttamento, dal disconoscimento della loro dignità, per avere, in quanto uomini, il diritto riconosciuto a istruirsi, curarsi, esprimersi, non essere socialmente ricattati, improntare la vita sociale sulla pace e sui principi della solidarietà. La sinistra, politicamente, ha rappresentato l’umanesimo forte che ha attraversato due secoli travagliati e difficili alla conquista di quei doveri che oggi talora sono minacciati quando non addirittura misconosciuti. Altro che fiore di campo!. È stata, concretamente, un campo largo della storia dell’uomo: socialisti, comunisti, radicali, liberali, democratici aperti e avanzati al di là delle rispettive culture, forme organizzative, fedi religiose, ora in accordo, talora in disaccordo, ma sempre schierati sul versante fermo della democrazia e della sua nozione sociale. Un grande movimento che ha permesso alle società libere di costruire futuro dopo futuro anche a prezzi altissimi; quel futuro che oggi non sta nemmeno sull’orizzonte ampio del mondo globalizzato. Quanto suona beffarda e vera, a fronte di tutto ciò, la definizione stessa di orizzonte quale linea che si allontana quanto più credi di avvicinartici. Chissà se a Bersani, che oggi teme che l’idea di sinistra non finisca nel mazzo giusto, è mai capitato di pensare quanto sarebbe stata diversa la vicenda italiana se, non potendo più esistere il partito comunista italiano, la sua forza si fosse incamminata verso i lidi del socialismo. Erano in tanti a sperarlo e quella speranza, considerato il presente, presentiva il giusto e la verità. Si riteneva quale evoluzione naturale, dato anche il suicidio del partito socialista – non dei socialisti, intendiamoci – che l’unica forza storica della sinistra rimasta in piedi non ammainasse la bandiera, ma ne alzasse una nuova per riprendere il cammino delle conquiste democratiche. Il campo, ricordiamocelo, nel 1994 lo aveva costituito l’insieme dei progressisti. Le elezioni furono perse, ma il risultato, ben consistente, dava egualmente forza al disegno evolutivo dell’intesa elettorale. Solo che il disegno non c’era ed è proprio il caso di dire che il bambino fu buttato via con l’acqua sporca. Quella coalizione aveva tutte le caratteristiche, anche pluralistiche, per divenire un soggetto politico. Tutto fu invece gettato alle ortiche e di quanto era successo con le elezioni del 1994 mai si è avuta un’analisi e un’interpretazione da chi aveva il dovere di darle. La sinistra, contravvenendo alle sue tradizioni, non aprì nemmeno il dibattito. I comunisti su cui gravava la responsabilità della situazione aprirono un sanguinoso fronte interno; fecero tra loro quei conti che fino ad allora non avevano potuto fare e continuarono da postcomunisti a muoversi secondo il canone di sempre. Ma invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. Così, il nuovo che avevano sempre perseguito, ha finito per scomporli, triturarli, annientare pure il senso della loro cultura storica; subalterni – quelli rimasti – nel Pd aperti alla poesia bonaria quelli usciti. Non c’è che dire: il fallimento non avrebbe potuto essere più completo. In tanti, crediamo, vorrebbero riunirsi intorno a quel fiore di campo, ma esso, per essere colto o meglio fatto crescere come di deve,dovrebbe essere in un campo socialista che non c’è e chissà ancora per quanto tempo non ci sarà. Per onestà dobbiamo riconoscere che quel fiore sembra essere stato raccolto dal Papa se si pensa alle chiare prese di posizione assunte da Francesco sullo sfruttamento prodotto dal liberismo finanziario, a difesa della dignità dell’uomo, alla condanna di ogni tipo di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Recentemente il Papato si è mosso, e con quale autorevolezza, sul problema della corruzione. Per ora quel fiore è lì. Il Papato, però, non è un partito e la lotta politica per la democrazia non si fa da San Pietro. Chissà se Bersani farà una passeggiata lungo via della Conciliazione?
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Da Avanti! online
Il lavoro dove c’è… Un esodo di mezzo milione
L’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, nel rapporto presentato ieri a Roma dal titolo “Il lavoro dove c’è”, ha squadernato di fronte all’opinione pubblica italiana un’analisi degli spostamenti per motivi di lavoro negli anni della crisi. Il rapporto esamina e fotografa i cambi di residenza e i comportamenti degli italiani partendo dalla crisi occupazionale del 2008, che ha cambiato le esigenze della popolazione e incrementato il numero di soggetti decisi a spostarsi in un’altra città per lavorare. E spesso la città con “il lavoro dove c’è” si trova all’estero.
di Salvatore Rondello
Dal 2008 al 2016 più di 500 mila italiani si sono cancellati dall’anagrafe per trasferirsi all’estero. Al primo posto tra le destinazioni dei nuovi emigrati italiani c’è la Germania, seguita dal Regno Unito e dalla Francia. A questo numero va aggiunto un altro dato: i quasi 300mila stranieri, soprattutto provenienti dai Paesi dell’Est, che in questi anni sono rimpatriati nel Paese di origine non trovando più opportunità di lavoro in Italia. L’indagine presenta e chiarisce gli aspetti di un altro fenomeno, per certi versi altrettanto significativo del trasferimento all’estero, ma spesso meno considerato: l’emigrazione interna tra le regioni d’Italia. L’Italia è un paese con opportunità molto diverse e una situazione di disomogeneità interna che non ha pari in Europa: per questo motivo i cambi di residenza da una regione a un’altra sono notevoli e frequenti. Dal rapporto si evince che, tra il 2008 e il 2015, più di 380mila italiani si sono trasferiti da una regione del Sud in un altro territorio del Centro o del Nord Italia: si tratta principalmente di lavoratori qualificati che vedono nella fuga dal Mezzogiorno la via migliore per guadagnare di più. È facile notare anche come il lavoro nelle città di residenza sia diminuito in questi anni e come le opportunità siano distribuite in modo diverso da territorio a territorio. Lavorare nel comune di residenza sembra, infatti, un privilegio riservato agli occupati tra i 15 e i 64 anni residenti in 13 grandi comuni con oltre 250mila abitanti, in cui Genova, Roma e Palermo superano il 90% di occupati residenti nel 2016. Inoltre, più di un occupato su dieci lavora in una provincia diversa da quella di residenza. Questo spaccato conferma quanto già rilevato dallo stesso osservatorio nel rapporto annuale sulle dinamiche del mercato del lavoro nelle province italiane, in cui le possibilità occupazionali nelle 110 aree provinciali italiane si differenziano enormemente da Nord a Sud. Si passa, infatti, da un tasso di occupazione del 37% nella provincia di Reggio Calabria ad un tasso del 72% nella provincia di Bolzano. Se il dato della mobilità è ben presente nei cambi di residenza, altrettanto si può dire per il pendolarismo, quotidiano ed interprovinciale, che può incidere fortemente sullo stipendio, la soddisfazione dei lavoratori e la qualità della vita. Dal rapporto emerge, anche, che per le sue brevi distanze, l’intensità delle occasioni di lavoro e i servizi di trasporto efficienti, Milano è l’epicentro degli spostamenti interprovinciali in Italia. Il capoluogo lombardo, infatti, è presente fra le province di destinazione o di partenza degli occupati ‘pendolari’ in ben 6 delle 10 principali tratte pendolari. Al primo posto ci sono i 118mila lavoratori che ogni giorno si muovono da Monza e Brianza per lavorare a Milano. Al secondo posto 59 mila lavoratori residenti a Varese che vanno abitualmente a lavorare in un comune della provincia di Milano mentre al terzo posto troviamo 48 mila residenti a Bergamo che raggiungono abitualmente il capoluogo lombardo per motivi di lavoro. Nella Brianza bisognerebbe considerare anche i numerosi transfrontalieri che quotidianamente vanno a lavorare in Svizzera. Nel settembre del 2015, aderendo all’obiettivo della legge delega n. 23/2014, di ‘internazionalizzazione dei soggetti economici operanti in Italia’ è apparso il decreto legislativo n. 147/2015, il quale ha introdotto, all’art. 16, un (nuovo) regime speciale per i lavoratori rimpatriati, apparentemente gemello del precedente. In realtà, la nuova agevolazione presentava diverse differenze. Lo sconto sull’imponibile, parificato fra i due sessi, si capovolgeva, spiegano i professionisti, limitandosi ad una esenzione del 30%; nella direzione di una maggiore appetibilità, la legge di Stabilità del 2016, ha ampliato l’agevolazione dal 30 al 50% dell’imponibile fiscale, a partire dall’anno d’imposta 2017. I consulenti del lavoro ricordano quindi che il decreto legge Milleproroghe del 30 dicembre scorso (D.l. n. 244/2016, art. 3 c. 3-novies) ha introdotto una nuova finestra di adesione all’opzione, riservata ai soggetti che, trasferitisi in Italia entro il 31 dicembre 2015, rientrino nei requisiti di cui all’art. 2, c. 1 della L. 238/2010 a prescindere dal fatto che avessero o meno fruito del precedente regime fiscale agevolato. Tutte le buone intenzioni del Parlamento per far ritornare gli emigranti in patria non avrebbero sortito effetto. Se ai giovani laureati non verranno offerte opportunità lavorative migliori di quelle che trovano all’estero, nessun incentivo fiscale sarà sufficiente per incoraggiare il loro ritorno in Italia.
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Da l’Unità online
Strage di Brescia, Tramonte in fuga arrestato in Portogallo
A 43 anni dalla strage di piazza della Loggia a Brescia, è arrivata la sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna all’ergastolo inflitta in sede di appello-bis agli esponenti del gruppo neofascista Ordine Nuovo Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, ex fonte Tritone dei servizi segreti.
di Silvia Gernini – @SGernini
A Maggi è stato notificato da parte dei carabinieri, presso la sua casa a Venezia, il provvedimento di esecuzione della sentenza, perché gravemente malato. Tramonte, residente a Brescia, risultava invece irreperibile da diversi giorni, ma è stato arrestato poco fa a Fatima, in Portogallo, su segnalazione dei carabinieri del Ros. “È stata una battaglia che andava sviluppata sul piano della legalità e alla fine, dopo tanti anni, abbiamo vinto stando nel processo. Questo verdetto e’ l’affermazione della legalità e il mio pensiero va a tante persone: ai giudici, agli uomini del Ros, agli avvocati – ha commentato il portavoce dei familiari delle vittime della strage di Brescia, Manlio Milani, dopo la lettura del verdetto della Cassazione – C’è ancora molto da disvelare – ha aggiunto Milani – ma oggi sappiamo un po’ di più e possiamo dire che uomini dello Stato hanno sconfitto altri uomini dello Stato”. L’ultimo grazie di Milani è per le vittime “che ci hanno indicato una possibilità di futuro nel nome di quei valori per i quali quel giorno di 43 anni fa eravamo in piazza”. “Siamo determinati a porre la parola ‘fine’ a questo processo arduo ma non impossibile da decidere: si tratta di un crimine che ha dilaniato vittime e famiglie e che ha profondamente inciso il tessuto della democrazia ma la magistratura italiana ha saputo concludere processi per fatti altrettanto gravi e inquietanti”, aveva dichiarato ieri durante la requisitoria il sostituto procuratore generale della Cassazione Alfredo Viola che chiede la conferma dell’ergastolo sia per Maggi che per Tramonte. “Sono troppe le reticenze e i depistaggi che hanno percorso le indagini sulla strage di piazza della Loggia – aveva aggiunto il pg – come se la coltre di fumo sollevata dall’esplosione della bomba, la mattina del 28 maggio di 43 anni fa, non si fosse dispersa ma si fosse invece propagata sull’Italia intera. Si tratta di un processo indiziario, complesso ma non impossibile: anche se non c’è la pistola fumante, è lo stesso possibile accertare le responsabilità e in questa vicenda ci sono voluti anni per rimuovere gli effetti di indagini errate, o volutamente errate”. I fatti – Alle ore 10,02 del 28 maggio 1974, durante una manifestazione antifascista indetta dai sindacati e dal Comitato antifascista, una bomba nascosta in un cestino della spazzatura provocò la morte di otto e il ferimento di oltre cento persone. I funerali delle vittime si svolsero nella stessa piazza: vi parteciparono il capo dello Stato Giovanni Leone, l’allora presidente del Consiglio Mariano Rumor, il segretario della Cgil Luciano Lama e oltre 500mila cittadini. Le prime sentenze e la nuova inchiesta – Le prime condanne per la strage di stampo neofascista, organizzata proprio in occasione di una manifestazione contro il terrorismo nero dai sindacati e dal Comitato Antifascista, arrivarono nel 1979. Il 2 giugno di quell’anno arrivò la condanna, tra gli altri, per gli esponenti di estrema destra Ermanno Buzzi (ergastolo) e per Angelino Papa (dieci anni). La sentenza di secondo grado arrivò quasi tre anni dopo, con l’assoluzione per tutti gli imputati. Nel frattempo, però, Buzzi era morto in carcere, a Novara, strangolato con dei lacci delle scarpe per mano di altri due neofascisti detenuti nello stesso penitenziario: Mario Tuti e Pierluigi Concutelli. La sentenza di assoluzione però venne annullata nel 1984 dalla Cassazione che dispose un nuovo processo per gli imputati Nando Ferrari, Angelino e Raffaele Papa e Marco De Amici. Ma anche nel processo bis saranno tutti assolti, anche in Cassazione. Nel frattempo era stata aperta una seconda inchiesta in cui risultavano indagati, sulla base di rivelazioni di alcuni pentiti, il neofascista Cesare Ferri, il fotomodello Alessandro Stepanoff e il suo amico Sergio Latini che gli aveva fornito un alibi. Saranno assolti tutti e tre. La terza inchiesta – La terza inchiesta è quella che porta al processo che si è concluso ieri. Nel 2010 Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti vengono assolti per insufficienza di prove e l’assoluzione venne confermata due anni dopo. Nel 2014, invece, arriva l’annullamento da parte della Suprema Corte per le sentenze nei confronti di Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Il 26 maggio 2015 a Milano, inizia così il processo d’appello bis, concluso il 22 luglio dello stesso anno con la condanna all’ergastolo di Maggi e Tramonte, che però presenteranno ricorso. Oggi quindi la Suprema Corte si esprimerà appunto su questi ricorsi alla sentenza della Corte d’assise d’appello di Milano. Mettendo, forse, la parola fine a questa lunga sequela di indagini e processi, annullamenti e ricorsi.
Vai al sito www.unita.tv
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LETTERA
Chiedo sostegno all’Appello per Schulz
Tempo addietro, un tempo non sospetto, ho lanciato un Appello (con il sostegno de L’Avvenire dei Lavoratori e dell’on. Felice Besostri) perché anche in Italia fosse sostenuta dalle forze di sinistra la candidatura di Martin Schulz al Cancellierato tedesco. Candidatura che, in caso di successo, avrebbe una ricaduta inequivocabilmente positiva non solo per il profilo politico e sociale della Germania, ma dell’intera Europa. È rimasto clamorosamente lettera morta. (…) Chiedo, dunque, a noti e influenti giornalisti di reti televisive e della carta stampata se non si renda possibile un rilancio dell’Appello (vai al sito) per sostenere una candidatura che rischia di passare inosservata nel nostro confine politico.
Grazie infinite Aldo Ferrara Massari
Carissimo e chiarissimo compagno Ferrara, abbiamo lievemente accorciato il testo della tua lettera, lasciando in evidenza l’essenziale. Grazie del tuo generoso impegno e buon lavoro – La red dell’ADL
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L’AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 – CH 8036 Zurigo
L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.
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