“E il lanciere Palmiro gli disse…”

Ritirarsi dalla vita politica? Oramai, dopo la sequenza tattica di dimis­sioni, scissioni, primarie e congresso anticipato, chi è in pista dovrà ballare. Ma nessuno può farlo bene con tutto quell’acido lattico nei muscoli, dopo il lungo stress di una revisione costituzionale abrogata dal popolo e di una legge elettorale bocciata dalla Consulta.

 

L’AVVENIRE DEI LAVORATORI

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e-Settimanale – inviato oggi a oltre 50mila utenti – Zurigo, 29 giugno 2017

PAUSA ESTIVA

 

Con il presente numero la Newsletter dell’ADL inizia la consueta pausa estiva, durante la quale si procederà ai necessari aggiornamenti tecnici del servizio. Le regolari trasmissioni riprenderanno giovedì 7 settembre 2017.  A tutte le lettrici e a tutti i lettori auguri di buona estate!

 

La red dell’ADL      

     

EDITORIALE

 

E il lanciere Palmiro gli disse…

 

di Andrea Ermano

 

Ritirarsi dalla vita politica? Oramai, dopo la sequenza tattica di dimis­sioni, scissioni, primarie e congresso anticipato, chi è in pista dovrà ballare. Ma nessuno può farlo bene con tutto quell’acido lattico nei muscoli, dopo il lungo stress di una revisione costituzionale abrogata dal popolo e di una legge elettorale bocciata dalla Consulta.

    Perciò, l’eventualità che l’uomo di Rignano ritorni a Palazzo Chigi appare remota. E persino difendere la poltrona del Nazareno sotto l’assedio di Romano, Walter e Dario non sarà impresa da poco.

    La verità delle cose, però, è esemplificata da un altro episodio, un piccolo fatto avvenuto a margine della Corsa all’anello di Narni. D’Alema riferisce che, mentre assisteva alla manifestazione in costume medievale, un lanciere, uscito dalla schiera, gli si era avvicinato per comunicargli quanto segue: «Io mi chiamo Palmiro. E tu sai che significa questo. Che voi non siete più il nostro partito!». Detto ciò, Palmiro di Narni girò sui tacchi e rientrò tra le sue fila.

 

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E il lanciere Palmiro di Narni gli disse:

“Voi non siete più il nostro partito!”

 

L’ex lider Massimo, con onestà, osserva che a questo punto la rottura con il “popolo di sinistra” non può interpellare soltanto il job’s act o la buona scuola o altre misure del genere, ma consiste piuttosto nel ripudio, ben più profondo, di un tradimento d’affetti, idee e solidarietà.

    Ma, allora, il meno responsabile di tutti questi dirigenti pd è proprio Renzi. Sì, perché le schiere ipocrite di coloro che oggi osteg­giano il Segretario sono quelle stesse schiere super-opportuniste che dieci anni fa vollero “l’amalgama non riuscito”. Furono loro, e non Renzi, a spez­za­re la continuità politico-organizzativa del mo­vi­men­to operaio ita­lia­no – e ciò per le ambizioni di una sola stagione di potere, che per altro non gli venne mai. Furono loro, nel plauso dell’establishment e della sua stampa entusiasta, a dare compimento ultimo all’opera iniziata con la distruzione giudiziaria del Prima repubblica. Il Pci-Pds-Ds fu sciolto nel con­te­ni­tore democrat di Veltroni, e questi negò ogni apparen­ta­men­to tanto ai neo-socialisti di Enrico Boselli quanto ai neo-comunisti di Fausto Bertinotti al puro scopo di provocarne la scomparsa tramite un uso politicamente assassino del “Porcellum”.

    E fu così che, tolto al “popolo di sinistra” ogni punto di riferimento residuo, essi pensarono di proseguire nel consueto stile libero delle “due destre”, dando per ovvia la fedeltà degli ex “ceti medi produttivi”, pro­letarizzati. Mai avrebbero immaginato l’impennata astensionista e po­pulista che ne è, invece, scaturita e che mette ora in oscillazione la presenza italiana in Europa, cioè gli equilibri stessi dell’UE e della geo-politica connessa.

    Sicché adesso abbiamo i grandi commentatori che riscoprono la “so­brietà” di Corbyn «che ha prosciugato il populismo britannico re­sti­tuen­do alla plebe il diritto di sentirsi popolo». Belle parole! Ma negli anni scorsi che cosa sostenevano gli stessi apprendisti stregoni del­l’o­pi­nio­nismo occidentale se e quando parlavano del leader labu­rista? C’è voluto il duplice crash suicida dei conservatori di David Cameron e Theresa May affinché costoro si svegliassero cadendo infine dal pero.

    Ben tornati nella realtà. Dove ci sono, frattanto, quattro milioni e settecentomi­la italiani in condizioni di “povertà assoluta”, esclusi dal paniere dei beni essenziali (cibo, vestiti, casa…). L’Italia detiene il non invidiabile record europeo della povertà giovanile. E insieme alla Spagna abbiamo il più elevato numero di giovani che non studiano né lavorano: milioni di ragazze e ragazzi condannati alla frustrazione.

     Che fare? «Si fa un grande “Servizio Civile” nel quale, se non hai niente da fare, io ti do qualcosa da fare. E in cambio ti do un modesto salario. Modesto, d’accordo, ma intanto ti sottraggo a una condizione di marginalità ed esclusione. Ti immetto in un circuito di formazione, di riqualificazione, di socializzazione. Invece che lasciarti nelle mani della criminalità e della droga». Queste parole ha pronunciato a un’As­sem­blea di MDP (vai al video) Massimo D’Alema, il quale in altri tempi aveva pur rappresentato posizioni molto diverse.

    Cambiare opinione sulla base di nuovi argomenti o nuove sensibilità è, certo, una vittoria del dibattito democratico di sinistra. Ma nel caso del “Servizio Civile” sussiste una vera e urgente necessità a fronte della rivoluzione tecno-scientifica «che, attraverso l’uso massiccio di intel­ligenza artificiale e della robotica, porterà alla can­cel­lazione di milioni di posti di lavoro», ha aggiunto l’esponente di MDP, chie­dendosi se la tran­sizione storica in atto possa essere lasciata nelle mani di una ri­stret­ta oligarchia d’imprenditori privati: «E badate che un processo di que­sto tipo comporterà un’enorme concentrazione della ricchezza… Non può che essere gestito dalla mano pubblica».

    Tramite la “mano pubblica” andranno introdotte drastiche riduzioni dell’orario di lavoro a parità di salario. E allora occorrerà «chiedere in cambio che una parte del “tempo di lavoro liberato” sia messo a dispo­sizione della comunità, per assistere le persone, gli anziani… Perché una sinistra moderna deve rimettersi al lavoro per riprogettare la società», ha sottolineato l’ex premier diessino.

    Importante qui ci pare la connessione tra “Servizio Civile” ed emergenza sociale, non meno che il collegamento con le prospettive del “tempo liberato” dalla tecno-scienza. A ciò va aggiunto il tema della co-decisione democratica quale requisito indispensabile di un futuro servizio civile nazionale ed europeo. Perché è sulla co-decisione democratica che può incardinarsi il tema di una governabilità pubblica rispetto alle grandi trasfor­ma­zioni in atto, tema decisivo: «Altrimenti ci capiterà quel che ci è già capitato con la finanziariz­zazione», di cui fa cenno D’Alema a conclusione del discorso. 

    Tutt’è bene quel che finisce bene, dunque? Be’, a parte che per la costruzione di un “Servizio Civile” degno del nome e del compito si profilano scommesse ardue e impegnative quant’altre mai, resta non-detta un’emergenza drammaticamente attuale: quella di un “Servizio Civile Migranti”.

    Negli ultimi giorni sono state tratte dal mare circa dodicimila perso­ne. La disponibilità dei sindaci all’accoglienza sul territorio scema a vista d’occhio: «La conferma che l’emergenza sia oramai esplosiva è il rientro immediato in Italia del ministro dell’Interno», riferiva ieri Grazia Longo sul sito della La Stampa. Il titolare del Viminale, in volo verso Washington per incontri istituzionali, ha preferito invertire la rotta e rientrare a Roma mercoledì mattina. Subito dopo l’atterraggio ha avuto un incontro con il presidente del Consiglio sui massicci sbarchi di queste ore, sulle preoccupazioni legate al traffico di esseri umani in Libia, sulle tensioni con i sindaci (in particolare se leghisti) e sui vari rischi di disordini: «La situazione è davvero al limite, finora sono sbarcati sulle nostre coste 70 mila migranti, (…) la stima entro la fine dell’anno si aggira intorno ai 230 mila», scrive Grazia Longo: «Ma la questione principale, al di là dei numeri, è la sempre maggiore complessità nella sistemazione degli extracomunitari sul nostro ter­ri­torio nazionale».

 

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Al­l’e­same del ministro ci sarebbero due ipotesi: tendopoli di minori dimensioni e il ricorso alle caserme. Al di là della logistica di primo impatto e degli appelli a Bruxelles, però, occorrerà introdurre una leva civile obbligatoria per le persone mi­granti adulte e abili al ser­vizio, in un quadro di coor­dinamento statale di tutto il settore.

    Occorre coinvolgere le persone mi­granti in un processo di apprendimento linguistico, di auto-aiuto e di progressiva integrazione nel tessuto sociale. Il processo d’in­tegrazione, per funzionare, deve potersi esprimere in forme visi­bi­lmente utili d’impegno civile. Perciò occorre portare a interagire un “Servizio Civile Nazionale” (ben più massiccio dell’attuale) con un “Ser­vizio Civile Migranti”, affinché I numerosi problemi possano semplificarsi ed elidersi a vicenda in una prospettiva di cre­scita comune, lungo la quale l’emergenza di oggi può divenire go­ver­nabile. E produrre domani benefici per tutti.

      

     

MUOVERE IL MONDO

 

EMMA BONINO

 

in dialogo con MARCO DAMILANO

 

Roma, 10 luglio 2017, ore 20.30

Casa Internazionale delle Donne

Via S. Francesco di Sales 1a

 

Nel 2011 Emma Bonino è stata inserita dal settimanale americano Newsweek nell’elenco delle 150 donne che “muovono il mondo”. Oggi il centro delle sue battaglie sono le persone che migrano verso l’Europa e verso l’Italia.

 

   

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Cucù,

il Referendum non esiste più

 

Dopo la furbata del governo che finge di abolire la norma

oggetto di referendum, salvo reintrodurla un mese dopo…

 

di Luciano Belli Paci

 

Dopo che la “Grande Riforma” è stata stroncata lo scorso 4 dicembre, finalmente Pd e soci una riforma costituzionale sono riusciti a farla: hanno abolito il referendum abrogativo previsto dall’art. 75 Cost.

    Trattandosi di uno strumento di opposizione democratica che le minoranze possono utilizzare quando ritengono che su una determinata legge ad una maggioranza parlamentare non corrisponda la volontà del paese, è ovvio che la decisione se celebrarlo o no non possa essere rimessa alla stessa maggioranza, che altrimenti farebbe come Bertoldo nella scelta dell’albero a cui doveva essere impiccato.

    Per questo la legge n. 352 del 1970 che regola il referendum ha affi­dato un ruolo determinante alla magistratura: prima la Corte di Cassa­zione verifica la regolarità delle firme depositate dai proponenti, poi la Corte Costituzionale decide se il quesito referendario è ammissibile. Superati questi due passaggi, il governo è obbligato ad indire il referendum in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.

    Dopo che un referendum è stato indetto, la maggioranza ha di fronte tre strade alternative: a) può non intervenire sulle norme di cui è chiesta l’abrogazione e, se vuole difenderle, battersi perché nella consultazione prevalgano i “No” o non venga raggiunto il quorum del 50 % + 1; b) può abrogare le norme come volevano i proponenti; c) può modificare le norme oggetto di referendum.

    La differenza tra queste ultime due scelte è di decisiva importanza.

    Infatti, se le norme oggetto del referendum vengono abolite dal par­lamento, l’Ufficio centrale presso la Cassazione si limita ad una presa d’atto e dichiara che il referendum non si celebra più (art. 39 L. 352 / 1970). In caso di modifica, invece, è riservato alla Cassazione il com­pito di analizzare se i cambiamenti sono così incisivi da avere recepito sostanzialmente le richieste dei promotori, nel qual caso dichiarerà su­perato il referendum, oppure se, al contrario, anche nella successiva di­sciplina sono riproposti i medesimi principi ispiratori delle norme che si volevano abrogare, nel qual caso stabilirà che il referendum si cele­bri ugualmente adattando il quesito alle nuove disposizioni legislative.

    E veniamo alla vicenda dei referendum contro il Jobs Act promossi dalla CGIL con oltre 3 milioni di firme.

    La Corte Costituzionale non ha ammesso il principale, quello sui licenziamenti (art. 18), ma solo gli altri due: quello per la completa eliminazione dei voucher per pagare prestazioni occasionali di lavoro e quello per l’estensione delle tutele per i lavoratori delle ditte che gestiscono appalti.

    Il governo ha fissato il referendum per il 28.5.2017, ma subito dopo ha presentato un decreto-legge per abolire gli articoli 48, 49 e 50 del Jobs Act che erano oggetto dei quesiti referendari e in tutta fretta la sua maggioranza, con votazione definitiva al Senato il 19.4.2017, ha convertito in legge il decreto.

    Di conseguenza, l’Ufficio della Cassazione, con ordinanza del 27.4.2017, ha dichiarato che i referendum già indetti non hanno più corso.

    Dopo poche settimane, il 26 maggio in sede di esame del decreto di correzione della manovra economica alcuni deputati del Pd hanno presentato un emendamento per reintrodurre in forme diverse i voucher appena cancellati; e dopo pochi giorni l’emendamento è stato approva­to da una maggioranza composta da Pd, centristi, Forza Italia e Lega.

    Passata la festa, gabbato lo santo.

    A questo punto, come spesso accade nel nostro strano Paese, si apre la discussione sbagliata, perdendo di vista il nocciolo della questione.  Si apre cioè la discussione sul merito dei voucher: era un bene o un male abolirli? La loro reintroduzione è avvenuta con modifiche che soddisfano gli scopi del referendum o che costituiscono una mera riverniciatura, una furbata?

    Invece il punto vero, la questione che ha conseguenze devastanti è quella di metodo, perché il trucco, la zingarata della mossa in due tempi non colpisce solo questo referendum della CGIL (e già non sarebbe poco!), ma apre la strada alla totale e definitiva eliminazione del referendum abrogativo come istituto costituzionale.

    In forza di questo precedente, infatti, di fronte a qualunque futuro referendum la maggioranza del momento potrà far sparire momenta­nea­mente la legge, giusto per il tempo necessario per far disdire la consultazione referendaria, e subito dopo farla riapparire più o meno modificata.  E potrà farlo con assoluta discrezionalità perché la sfasa­tura temporale tra i due momenti ha l’effetto di eliminare il sindacato della Corte di Cassazione sulla conformità o meno delle modifiche alle istanze del comitato promotore del referendum.  In altre parole, la de­cisio­ne se il referendum si debba celebrare a fronte di modifiche alla legge oggetto di richiesta di abrogazione viene sottratta al giudice (naturale e terzo), al quale viene esibita per il tempo necessario una abolizione tout court, e posta invece nella disponibilità esclusiva della maggioranza di governo che, “a referendum morto”, potrà decidere se e cosa graziosamente concedere nella nuova disciplina.

    Cosa resta dell’art. 75 della Costituzione dopo questa operazione da magliari?  In pratica non resta nulla.

    Se la cultura democratica degli italiani non fosse ormai scesa sotto il livello di guardia dovrebbero insorgere tutti, compresi i sostenitori della bellezza dei voucher, compresi quelli che hanno in odio la CGIL, compresi i seguaci del Pd. Prima o poi anche a loro toccherà di essere all’opposizione e di promuovere un referendum contro le leggi approvate dai loro avversari. E si accorgeranno, troppo tardi, che il referendum non esiste più.

          

        

Freschi di stampa, 1917-2017 (14)

   

Evviva

Zimmerwald

 

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall’ADL nell’anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d’Ottobre.

 

“Evviva Zimmerwald” titola l’editoriale del 23 giugno 1917 dedicato al “Caso Grimm-Hoffmann”, nato dalle dimissioni del ministro degli esteri svizzero, Arthur Hoffmann, avvenute il 19 giugno 1917 su pressione delle Potenze Occidentali. Queste accusavano Hoffmann di avere tentato di negoziare una pace separata tra l’Impero germanico e la nuova Repubblica russa, nell’interesse delle Potenze Centrali, in violazione dello status neutrale della Confederazione.

    All’indomani della Rivoluzione di Febbraio il consigliere federale Hoff­mann decide di mediare tra Russia e Germania ma, per evitare un coin­volgimento formale e diretto del governo di Berna, attiva il parla­mentare socialista Robert Grimm nelle trattative con l’ambasciata del Reich a Berna, in preparazione del rientro di Lenin, che avviene con il primo treno, quello “piombato”, che partirà da Zurigo il 9 aprile e giungerà il 16 a Pietroburgo.

 

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Arthur Hoffmann (1857-1927)

 

Grimm stesso entrerà poi in Russia sul secondo convoglio, il treno di maggio, in compagnia di Angelica Balabanoff. All’arrivo a Pietroburgo, gli “immigranti” sono accolti con festa solenne da «molte decine di migliaia di operai plaudenti». E qualche giorno dopo, i due visitano Kronštadt: «I giornali annunciano che la nostra compagna e maestra Angelica Balabanoff ed il deputato socialista svizzero Roberto Grimm sono stati portati in trionfo nella città di Kronstadt, dopo di aver parlato davanti a trentamila cittadini russi» (ADL 2.6.1917).

    Ufficialmente Grimm è impegnato ad aiutare gli “immigranti”, ed egli pubblicamente si pronuncia a favore di una pace “senza annessioni e riparazioni”, ligio alla linea zimmerwaldiana. In realtà lavora a una pace separata. In un telegramma cifrato informa Hoffmann della Conferenza di Stoccolma convocata dal Soviet e chiede al ministro d’informarlo «se possibile, circa gli obiettivi di guerra dei governi, poiché per tal tramite le trattative verrebbero facilitate. A Pietrogrado mi fermerò ancor circa dieci giorni» (Stauffer, 1972, p. 6).

    Il consigliere federale Hoffmann gli assicura che i tedeschi si asterran­no da offensive contro la Russia fintanto che rimarrà sul tavolo la pos­sibilità di una pace separata. Il Reich e i suoi alleati – prosegue Hoff­mann – sono pronti a negoziare la pace subito, senz’avanzare richieste di estensione territoriale (Stauffer, p. 13).

    Il 3 giugno entrambi i telegrammi vengono pubblicati decifrati sul quotidiano svedese Socialdemokraten scatenando grandissimo scan­dalo tra gli Alleati. A Pietroburgo il deputato socialista svizzero viene espulso del territorio della nuova Repubblica. A Berna il ministro liberale è costretto a lasciare la poltrona.

 

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Robert Grimm (1881-1958)

 

La “sventura” che colpisce Hoffmann – commenta L’ADL – consi­ste semplicemente nel fatto che le manovre della diplomazia segreta, tipiche in un Ministro degli esteri borghese, non sono più segrete: peggio per lui. «Ma quello che più preme a noi, è Roberto Grimm. Non daremo noi un giudizio definitivo prima di avere ascoltata la sua parola di chiarimento e di difesa. (…) Certo è che egli, Grimm, si presenta oggi agli occhi nostri in veste di imputato. Noi abbiamo deprecata la guerra; noi vogliamo che la pace sia ridata all’Europa ed al mondo. Ma noi siamo contro ogni collaborazione coi Governi borghesi. Noi siamo per una pace generale» (ADL 23.6.1917).

    Riecco la contrapposizione – ideologica e astratta – tra la purezza zimmerwaldiana di una “pace generale” e un esecrabile deviazionismo di destra a favore della “pace separata”.  L’ADL fa mostra di reputare inconce­pibile che proprio Grimm, “vessillifero di Zimmerwald”, si sia avven­tura­to sulla strada dell’eresia. Perciò assume che egli «abbia agito con nel cuore il bisogno, l’ansia, anzi di contribuire alla pace generale». E a sua discolpa vengono prese per buone financo le vuote formule diplomatiche tedesche secondo cui Berlino sarebbe disposta «ad entrare in trattative con le potenze dell’Intesa, se queste manifestano il medesimo desiderio». (ADL 23.6.1917).

    Giudizio sospeso, dunque, sull’eresia separatista. Ma Grimm ha peccato, e gravemente, nel lasciarsi coinvolgere in intrighi di questa o quella diplomazia borghese, sempre inimica d’ogni vero internazio­nalismo proletario.

    Vero è che Grimm ci rivela «le gravi condizioni in cui la Rus­sia si dibatte, mettendoci sotto gli occhi il pericolo grave di una con­tro­rivo­luzione se la Russia non arriva presto alla pace». Vero. Ma an­che se ci dimostrasse «come fosse indispensabile, per salvare la rivo­lu­zione russa e quella europea, di ricorrere ad “ogni mezzo”, noi direm­mo che come pacifista egli può anche stare a posto, ma non come so­cia­lista internazionalista, non come Zimmerwaldiano» (ADL 23.6.1917).

    In conclusione, l’editoriale rassicura e rilancia: «Per ora apprendia­mo che i 121 voti, dati a Pietrogrado contro la di lui espulsione dalla Russia, sono quelli dei rivoluzionari più estremi, leninisti e Zimmer­wal­diani. Il che depone già a favore della onestà personale di Roberto Grimm, anche se dal punto di vista politico non moralizza completa­mente il suo atto» (ADL 23.6.1917).

    Perciò, noi restiamo saldi e sicuri. Ché gli uomini possono anche sbagliare. Ma non la nostra linea universal-pacifista. E succeda in Russia quel che vuole, sia pure una controrivoluzione.

    «Evviva Zimmerwald!». Vabbè. Ma la Storia non sarebbe stata un po’ più clemente con la Russia, l’Europa e il mondo tutto qualora i socialisti del “cen­tro marxista” alla Grimm fossero riusciti ad antici­pare un po’ di pa­ce prima e invece del­la Presa del Palazzo d’Inverno, e sia pure grazie al­l’aiuto di “ministri bor­ghesi” tipo Hoffmann? Di sicuro, meno ragazzi sarebbero morti am­mazzati sul fronte orientale. Se tedeschi e rus­si nel­la prima­ve­ra 1917 avessero cessato i combat­ti­menti, oggi salute­rem­mo quella “pace separata” come una vittoria umanitaria. L’universalismo etico, in cent’anni, ha assunto una curvatura in senso “personalistico”.

    Ma, torniamo al giugno del 1917: Come batte il cuore di Pietro­grado? Il compagno Vogel ce lo spiega in un’ampia intervista, dalla quale apprendiamo che il conflitto rivoluzionario ha finora causato alcune migliaia di morti. Le vittime «cadute da ambedue le parti ammontano ad oltre 2000 nella sola Pietrogrado. Ed oltre 6000 in tutta la Russia. Si suppone che la maggior parte delle vittime appartengano ai difensori del vecchio regime» (ADL 23.6.1917).

    Ma Lenin che cosa fa? L’intervistatore domanda: «È vero che lui abita nel palazzo della celebre ballerina dello Zar? Eppure qui a Zurigo egli abitava una stanzetta tanto modesta e povera. È vero che ora ha a disposizione un palazzo e un’automobile?» (ADL 23.6.1917).

    Le risposte sul futuro fondatore dell’Unione Sovietica si trovano sul numero successivo dell’ADL, dove apprendiamo che: «Lenin è dunque – dichiarò con fermezza Vogel – quel che fu». Non è cambiato, gran lavoratore: «un’organizzatore senza pari, perciò è temuto da tutti coloro che dissentono da lui, dalle sue teorie. Le frottole della stampa borghese lo confermano. Si insinua sui mezzi finanziari della sua propaganda, e si nasconde la solidarietà tangibile del proletariato che lo segue e che in una settimana raccolse un contributo di 75’000 rubli (…). Lo si fa passare per inquilino aristocratico di un palazzo maestoso ove egli dovrebbe passare la sua vita fra la morbidezza dei canapè e magari fra il canto e le risa di un’allegra società femminile. Mentre in realtà Lenin occupa una sola camera, assai semplice, a casa della propria sorella, che risiede a Pietrogrado» (ADL 30.6.1917).

    Gossip a parte, Hans Vogel riferisce che la Russia, com’è messa, non può reggere a lungo. Tutti dicono: «Bisogna uscire da questa situazione! Ma come, ma con quali mezzi? La guerra non la possiamo efficacemente continuare – affermano i russi – e la pace non possiamo concluderla contro il desiderio degli alleati» (ADL 30.6.1917).

    L’intervistatore domanda a questo punto della pace separata: «È un assurdo – soggiunse Vogel – che nessun gruppo politico ha osato proclamare finora». Tutti sono persuasi che «è indispensabile che la pace sia “generale” e non separata. I russi vorrebbero dare non solo la pace a tutti i popoli, ma anche la rivoluzione in quegli stati in cui le borghesie si opponessero alla pace sociale» (ADL 30.6.1917).

    Ognuno è libero di pensare ciò che gli pare su quel che il generoso popolo russo “vuol donare” a tutti i popoli. Senonché, l’intervistato ritorna, non richiesto, su Vladimir Il’ič Ul’janov, con queste ultime parole famose: «Puoi essere dunque certo che né Lenin, né altri, si è mai fatto partigiano in Russia della pace separata» (ADL 30.6.1917). Insomma, Kerenskij stai sereno.

 

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Matilda Kšesinskaja (1872-1971), amante di Nicola II e “prima ballerina assoluta”. Si fa costruire a Pietroburgo un villino sti­le liberty che verrà occupato, in sua assenza, dai bolsce­vichi. In esso Lenin si stabilisce dal 16 aprile al 17 luglio 1917.

 

(14. continua a settembre)

     

             

SPIGOLATURE

 

Pedro,

adelante con juicio

 

di Renzo Balmelli 

 

LENTEZZA. Già nell’Italia del Quattrocento Lorenzo il Magnifico si poneva tra il serio e il faceto poetici e filosofici interrogativi sull’incertezza del domani. In pieno Rinascimento, ma prima della scoperta dell’America, andava alla ricerca della formula magica, salvifica, capace di fermare il tempo e di rispondere alle inquietudini dell’uomo. E oggi? Oggi il sentimento di precarietà che sembriamo avvertire di fronte a situazioni che cambiano dal giorno alla notte riporta alla memoria la lezione di un altro de’ Medici, Cosimo, che come altri classici aveva intuito il piacere dimenticato della vera lentezza. Kundera ne aveva fatto l’elogio, Pirandello, di cui si celebra il 150° della nascita, sottolineava la precarietà delle certezze di un secolo, il Novecento, segnato dalle sofferenze e dagli angosciosi interrogativi della modernità, che non sempre significa progresso. Il poeta però ci consola: il tempo fugge e inganna, certo, ma a dispetto delle contingenze “chi vuol esser lieto, sia”.

 

“CENTRO”. Senza confondere le comunali con le nazionali, ma senza neppure sottovalutare il significato dell’ultimo giro di valzer elettorale, durante l’estate, come nelle grigliate all’aperto, ci sarà parecchia carne al fuoco della politica. Ognuno rivendicherà il diritto di governare il Paese, ma giunti a questo punto conviene comunque riportare il campanile al centro del villaggio. Sorvolando sulle sconfitte, solitamente orfane, bisognerebbe per lo meno fare chiarezza sui vincitori che vengono identificati nell’area di centro destra. Ma è proprio quel “centro” a creare non poche perplessità. Se proprio, a scanso di equivoci, vogliamo chiamare le cose con il giusto nome, il successo sembra da ascriversi, caso mai, all’apporto fondamentale della destra, ma non quella liberale e risorgimentale, bensì quella peggiore in tutti i sensi attualmente in circolazione. Quella che altrove, in Francia, in Gran Bretagna, in Olanda, in Austria, è stata frenata nelle urne, ma che in Italia vola sulle ali di un crescente consenso attraverso un processo in contro tendenza che incute paura e dovrebbe fare riflettere.

 

AVVENIRE. Se il Pd vuole provare a riprendersi da una pesante battuta d’arresto che non mancherà di lasciare varie ferite aperte, dovrà cominciare a ispirarsi alla famosa formula del “conosci te stesso”. Al pari della regina Elisabetta, che si presenta ai Comuni senza corona né carrozza, il partito appare in preda a una crisi d’identità dalla quale fatica a uscire e che la tradizionale coreografia post elettorale non riesce a mascherare. Le cause del fenomeno sono numerose e profonde, ma andranno affrontate con coraggio e forse con scelte dolorose per non trovarsi un giorno – come hanno già ammonito vari esponenti e addirittura Andrea Camilleri nei suoi commenti affilati come lame – fuori dalla storia e dall’avvenire. E va da sé, per coloro che si dichiarano di sinistra, che la parola Avvenire, posta tra l’altro nel nome di questa testata, ha un significato speciale sul quale non si può speculare.

 

IDENTITÀ. La troppa fretta, la fretta di recidere il cordone ombelicale con l’UE, potrebbe giocare un brutto scherzo al governo conservatore inglese ed ai fautori del leave, del divorzio ad ogni costo e contro ogni logica dalla casa comune europea. Nell’aria c’è infatti qualcosa di nuovo, sempre più lontano dall’euforia scoppiata dopo il referendum. L’impressione è che i consumatori britannici abbiano fiutato la trappola e capito che il magnificato ritorno allo “splendido isolazionismo” potrebbe avere un costo elevatissimo se non addirittura insopportabile. Tagliare tutti i legami con l’Europa non sembra più la panacea di tutti i mali come vien dato a bere dalla vulgata della destra populista e xenofoba. E il fatto stesso che in questo senso Jeremy Corbin venga considerato un premier più adeguato di Theresa May oltre che essere un ribaltone inimmaginabile fino a poco tempo fa , non dovrebbe lasciare indifferente l’italica sinistra alla ricerca di una nuova identità.

 

SOLIDARIETÀ. È come se un’intera nazione densamente popolata venisse svuotata di colpo. Il dato emerge dal Global Trends, rapporto dell’UNHCR, l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, sulla sorte degli sfollati e dei profughi nel mondo. Sono cifre che nella loro matematica crudezza mettono i brividi. Sul nostro pianeta ogni tre secondi una persona è costretta ad abbandonare la propria casa. E il grave fenomeno è destinato a crescere come evidenziano d’altronde senza possibilità di fraintendimenti le immagini delle migrazioni forzate che avvengono sotto i nostri occhi col loro corollario di privazioni e sofferenze. Lasciando parlare ancora le cifre, attualmente sono oltre 65 milioni le persone obbligate a fuggire dalla propria terra a causa di guerre e persecuzioni. Siamo di fronte a una situazione moralmente inaccettabile da cui emerge chiaramente la necessità di moltiplicare gli sforzi per prevenire e risolvere le crisi nel segno della solidarietà. E pensare che sul dolore c’è chi specula in modo abbietto per racimolare consensi elettorali: il voto della vergogna.

 

         

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

L’enorme costo umano di guerre e persecuzioni

 

Ogni giorno nel mondo 34 mila persone lasciano

tutto quel che hanno per fuggire da violenze e terrore.

 

di Silvana Cappuccio e Sergio Bassoli

area Politiche europee e internazionali Cgil

 

Alla fine del 2016 il numero dei rifugiati, sfollati e richiedenti asilo nel mondo ha raggiunto il livello più alto mai registrato: 65,6 milioni. Questo il dato del Global Trends 2016 dell’Unhcr (l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), pubblicato in occasione della Giornata mondiale dei rifugiati, appuntamento annuale istituito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione dei rifugiati, evidenziandone la forza, il coraggio e lo spirito di sacrificio, e invitarla a non dimenticare mai che ognuno di loro porta con sé un vissuto di storie e lacerazioni.

    Ogni giorno circa 34 mila persone, cioè 24 al minuto, lasciano tutto quel che hanno – affetti, famiglia e casa – per fuggire da situazioni di guerra, persecuzioni, orrori, violenze e terrore. Il rapporto precisa che il totale di 65,6 milioni è costituito da tre componenti principali. La prima è il numero dei rifugiati a livello mondiale, che si attesta a 22,5 milioni. Il conflitto in Siria rimane la principale causa di origine dei rifugiati (5,5 milioni), ma nel 2016 il principale “nuovo” elemento è stato il Sud Sudan, dove la disastrosa interruzione del processo di pace ha contribuito alla fuga di 739.900 persone alla fine dell’anno (diventate, a oggi, 1,87 milioni).

    La seconda componente è rappresentata dalle persone sfollate all’interno del proprio Paese, il cui numero si è attestato a 40,3 milioni alla fine del 2016 (rispetto ai 40,8 milioni dell’anno precedente). Gli spostamenti forzati all’interno di Siria, Iraq e Colombia sono stati i più significativi, sebbene tale problema sia presente ovunque e rappresenti quasi i due terzi delle migrazioni forzate a livello globale. La terza componente sono i richiedenti asilo, persone fuggite dal proprio Paese e attualmente alla ricerca di protezione internazionale come rifugiati. Alla fine del 2016 il numero di richiedenti asilo a livello mondiale è stato di 2,8 milioni.

    Tutto ciò si aggiunge all’enorme costo umano delle guerre e delle persecuzioni a livello mondiale: il fatto che 65,6 milioni di persone siano in questa situazione significa che in media, nel mondo, una persona ogni 113 è costretta ad abbandonare la propria casa. Alla fine del 2016 la maggior parte dei rifugiati a livello globale – l’84 per cento – si trovava in Paesi a basso o medio reddito, con una persona su tre (per un totale di 4,9 milioni) ospitata nei Paesi meno sviluppati. Constatando questo enorme squilibrio, gli autori del rapporto pongono l’accento sui problemi rappresentati dalla continua mancanza di consenso internazionale in materia di rifugiati e sulla vicinanza di molti Paesi poveri alle regioni in conflitto.

    Dal rapporto emerge anche la necessità dei Paesi e delle comunità ospitanti di ricevere risorse e sostegno, senza i quali c’è il rischio che possano crearsi ulteriori situazioni di instabilità, con conseguenze sulle operazioni umanitarie o sui flussi migratori secondari. I bambini, che costituiscono la metà dei rifugiati del mondo, continuano a sopportare sofferenze sproporzionate, soprattutto a causa della loro situazione di maggiore vulnerabilità. Nel 2016 le richieste di asilo presentate da bambini non accompagnati o separati dai loro genitori sono state 75 mila. Un numero che, secondo il Global Trends 2016, rappresenta probabilmente una sottostima della situazione reale.

    Nel 2018 i leader mondiali si riuniranno alle Nazioni Unite per concordare come gestire la situazione globale dei rifugiati, discutendo il “Global compact for refugees”. È importante che sindacati e associazioni della società civile vi partecipino, presentando alla comunità internazionale lì riunita il loro punto di vista, basato su principi di accoglienza, solidarietà e giustizia sociale. È di primaria importanza, intanto, sapere che la 106ma Conferenza internazionale del lavoro, conclusasi all’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro) di Ginevra lo scorso 16 giugno, ha adottato una norma, in forma di Raccomandazione (R.71), sui temi del lavoro dignitoso, per la pace e la resilienza. È la prima volta che uno standard internazionale contiene specifici capitoli sui rifugiati in rapporto al mondo del lavoro.

    La Raccomandazione riguarda le situazioni riferite a ogni tipo di conflitto armato e di disastri (umani, materiali, economici, ambientali); include il principio che la creazione di condizioni di piena occupazione e del lavoro dignitoso, è vitale per la promozione della pace, previene le crisi, rafforza la capacità di resilienza delle comunità; definisce la “resilienza” in quanto capacità di una comunità di resistere, assorbire, adattarsi, rispondere ai rischi e agli effetti delle crisi, con tempi e misure che consentono di mantenere la presenza e di individuare risposte ai bisogni essenziali; contiene il principio che nelle situazioni di crisi, ogni persona, uomo o donna, ha il diritto di occupazione e di lavoro in condizioni dignitose, protezione sociale, senza discriminazione alcuna; riconosce che i migranti e loro famiglie, i rifugiati e le fasce vulnerabili debbono essere protetti dal rischio di sfruttamento, respingimento, o altre misure discriminatorie; chiede ai governi l’impegno a riconoscere le organizzazioni sindacali come attori fondamentali e a operare nelle situazioni di crisi con il pieno coinvolgimento delle parti sociali, attraverso il dialogo sociale; evidenzia il bisogno di una particolare attenzione alle politiche a favore delle donne e dei minori nelle situazioni di crisi; ribadisce l’impegno a non interrompere il percorso scolastico e di formazione per minori e giovani, vittime delle crisi, richiedenti asilo o con status di rifugiato; dedica espressamente due capitoli alla regolamentazione dell’accesso al lavoro e ai diritti dei migranti vittime di situazioni di crisi e dei rifugiati.

    Come è evidente, l’attuazione di questa Raccomandazione, frutto di un serratissimo confronto tripartito nel corso di due anni, è rimessa alla volontà politica dei governi, ma sarà comunque importante che tutti i soggetti interessati, a partire dalle parti sociali e dalla società civile, giochino un ruolo di rilievo per la sua implementazione, che potrebbe davvero rappresentare una nuova pagina per la costruzione della democrazia globale.

   

                

L’AVVENIRE DEI LAVORATORI – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

       

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Non siamo nati ieri

 

“Siamo l’unico partito che rappresenta per intero la storia d’Italia, la storia di un popolo”, sono le parole di Riccardo Nencini alla con­fe­renza stampa di presentazione della due giorni di Bari che si aprirà venerdì prossimo per i 125 anni di storia del socialismo italiano. “A ben guardare siamo l’unica forza politica che nasce più o meno nei giorni in cui nasce l’unità d’Italia. A Bari presenteremo una storia degli anni che vanno dall’800 a oggi. Tutte le leggi e le battaglie civili che hanno reso l’Italia più libera portano la firma, nelle piazze e nei Parlamenti, delle tante anime del socialismo italiano. A co­min­ciare dalle otto ore di lavoro, alle prime proposte sul divorzio fino al­le prime misure prese in età giolittiana per garantire uno stato sociale”.

 

L’ERESIA DEI LIBERI

125 anni di storia del socialismo italiano

 

Bari, Fiera del Levante

30 giugno, 1 luglio 2017

 

Venerdì 30 giugno

 

Ore 15.30 – Saluti

Donato Pellegrino, Luigi Iorio,

Claudio Altini, Antonio Decaro

 

Ore 15.45 – Comunicazioni

Maria Cristina Pisani, portavoce Psi

Zita Gurmai, Presidente PES Women

 

Ore 16.15 – L’ERESIA DEI LIBERI (film)

 

Ore 18.00

I SOCIALISTI NELL’ITALIA REPUBBLICANA

Simona Colarizi, Mauro Del Bue, Luigi Covatta,

Claudio Martelli, Claudio Signorile

 

Sabato 1 luglio

 

Ore 9.30

IMMAGINI E COLORI DEL SOCIALISMO ITALIANO

Gennaro Acquaviva, Gian Franco Schietroma

 

Ore 11.00

IL FUTURO DELL’EUROPA: DA CRAXI AI POPULISTI

Stefania Craxi, Carlo Vizzini, Pia Locatelli,

Fabrizio Cicchitto, Elisa Gambardella

 

Ore 12.30

Conclusioni: LA SINISTRA CHE TI PROTEGGE

Riccardo Nencini, segretario nazionale del PSI

 

Vai al sito www.avantionline.it/

    

                       

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Il Papa, la Cisl e

il ruolo del sindacato

 

Il Papa ha lodato il titolo del Congresso le cui due parole più significative, persona e lavoro, “devono stare insieme”.

 

di Sandro Roazzi

 

Si racconta che quando iniziarono, con Pio undicesimo, le udienze papali erano riservate a coppie di sposini cui veniva dedicata una rapida e semplice benedizione. Poi si è evoluto il rapporto fra il Papa e i fedeli fino alle grandi manifestazioni con Pio XII dei lavoratori cristiani a Piazza San Pietro. Oggi nel ricevere la Cisl a Congresso Papa Francesco ha fatto molto di più: come dono ha regalato a dirigenti e delegati della Cisl una vera e propria relazione o, se vogliamo mantenere il giusto distacco fra ruoli differenti, una lezione pastorale sul sindacato.

    Per la Cisl l’appuntamento era inusuale. Il sindacato nato dopo un confronto anche aspro fra la natura “laica” e democratica di Pastore e quella più “confessionale” di sindacato cristiano sostenuta da Rapelli scelse la prima che garantiva anche una maggiore capacità di aggregazione fra i lavoratori. Ma era anche una scelta nel mondo cattolico assai significativa perché nei fatti rafforzava le tesi di coloro che ritenevano fondamentale garantire una autonomia ai laici cattolici nelle vicende politiche e sociali con tutte le assunzioni di responsabilità che ne derivavano e che non potevano coinvolgere la Chiesa. Fra essi due soli nomi: De Gasperi e l’allora Mons. Montini. Del resto la scelta di campo era chiara, quella occidentale.

    Ma questo Papa resta un protagonista davvero spiazzante: e il suo intervento pone con una durezza di fondo sorprendente il sindacato di fronte ad un ruolo che oggi potremmo dire in alcune sue manifestazioni appare un poco appannato. È, quello di Papa Francesco un sindacato profetico con un richiamo esplicito al ruolo degli antichi profeti biblici. È un protagonista della “giustizia insieme” dalla etimologia della parola sindacato, che non può essere credibile se non si occupa degli esclusi.

    Ma appare soprattutto come un sindacato di tipo “petrino”. La frase rivelatrice del pensiero su di Francesco su questo punto è quella che recita così: “Fare che la pietra scartata dalla economia divenga pietra angolare”. E qui sorge un problema che va evocato in modo del tutto rispettoso vista la delicatezza del tema. Cosa avrà inteso dire il Papa citando esplicitamente un passo del Vangelo nel quale si parla espressamente dell’opera di evangelizzazione a cui i discepoli dal Cristo vengono chiamati ad assolvere? È noto che Papa Francesco vede nella Chiesa un motore evangelizzatore invece che una associazione “chiusa” nella sua cittadella. Ma quando questa coerenza di pensiero si trasferisce al sociale l’interrogativo viene spontaneo: c’è in quella sottolineatura anche un invito a riflettere su un impegno sindacale più direttamente coinvolto nella promozione dei valori evangelici? Un sindacato laico ma anche… più cristiano?

    Se così fosse anche quella che appare una difesa generosa (e giusta) del ruolo sindacale come un pilastro di una iniziativa per la giustizia sociale assumerebbe un valore più ampio, diverso. Il Papa non è tenero con un certo costume sindacale che assomiglia troppo a quello politico. La gente, sottolinea, non capisce un sindacato che non lotta abbastanza nelle periferie esistenziali (riferimento etico e sociale), con gli sfruttati e gli immigrati.

    È come se il Pontefice volesse dare un contributo a scrostare il sindacato da quelle consuetudini rugginose che ha accumulato negli anni. Ma quanta differenza di tono e di impostazione culturale rispetto alle mode demolitorie del ruolo dei corpi intermedi che appaiono dopo l’analisi papale, pure cruda, in tutta la loro pochezza.

    Scrostare per cercare i caratteri originari. Sapendo che è un compito difficile. Su questo punto il Papa da tempo ha mostrato coraggio nel denunciare gli errori e le prepotenze di certo capitalismo, da Genova fino all’udienza odierna nella quale ricorda alle imprese che hanno troppo spesso smarrito la ragione sociale dello sviluppo economico.

    Ma il messaggio come al solito può scorrere sulla vetrata di giudizi positivi ma senza lasciare troppa traccia, oppure mettere in moto processi che portano lontano.

    E uno di questi potrebbe essere quello di una accentuazione della Cisl ad essere nuovamente la capofila di un mondo cattolico nel sociale. Una missione che non sarebbe solo di ricomposizione sui valori o di tipo associativo, ma anche di “missione” nella società. E non certo esplicabile solo in servizi. Se così fosse, ma potrebbe essere solo una fuga in avanti, si porrebbe l’esigenza di una riflessione strategica analoga anche in campo laico e di sinistra, vale a dire nella Uil e nella Cgil.

    Detto così potrebbe apparire la riproposizione di una contrapposizione e di una concorrenza in… negativo che la storia ha già bocciato più volte. Se invece acquisisse la valenza di una competizione culturale e di impostazione della politica sindacale potrebbero prevalere non solo idee e proposte per un nuovo protagonismo ma anche elementi di unità meno contingenti di convenienze del momento.

    Si tratterebbe di un grande sforzo culturale e formativo in un primo momento che potrebbe far… vergognare in modo salutare anche l’insipienza e la superficialità di certa politica. Non è bene osare fino al punto di pensare cosa sarebbe successo se il Papa ricevesse ad esempio una grande forza politica dai giochi interni piuttosto intricati comportandosi come ha fatto con la Cisl. Delle due l’una: o quei dirigenti farebbero finta di niente, marcando ancor di più i loro limiti e la loro incapacità a cambiare, oppure i… confessionali strariperebbero.

    Prendere sul serio questo Papa non è facile: un tempo la continuità della dottrina sociale della Chiesa si rintracciava nelle Encicliche, alcune di grande potenza etica ma anche di forte impatto politico generale. Oggi questa continuità sta in una Pastorale tenace, a volte aspra, sempre scomoda ma che si schiera con una chiarezza esemplare a favore degli ultimi e chiede eguale disponibilità alle componenti laiche della società che vogliono essere realmente sensibili a quell’insegnamento. Ed è un messaggio che va dai lavoratori alle organizzazioni per tornare fra i lavoratori. In modo tale da non disperdersi, da essere problema per le coscienze, ma anche forza per guardare avanti. Cosa avverrà però non è dato di sapere in questa circostanza.

      

       

LETTERA

 

Chi ha un’Idea per il XXI secolo?

 

Il socialismo democratico è l’unica seria

cultura politica sopravvissuta a sinistra,

 

Lanfranco Turci scrive che “Renzi è ormai un morto che cammina, anche se determinato a portare con sé altri ostaggi e sodali. Ma la velocità del suo tracollo, nonostante l’abbiamo previsto tante volte nelle nostre discussioni, ci lascia spiazzati. Non possiamo farci attrarre nel gorgo del bisogna inventarsi qualcosa di urgente a tutti i costi.”

    È un ragionamento vero solo in parte, in realtà, secondo me, non sta tracollando Renzi bensì quella parte del PD che è sopravvissuta in questi venticinque anni sul blocco sociale, economico e politico dell’ex PCI.

    Il primo segnale di questo tracollo non l’abbiamo visto con le ultime amministrative, bensì con il risultato delle elezioni dello scorso anno a Torino, dov’è collassato un PD che era solidamente basato sulla squadra Fassino-Chiamparino.

    È quello “l’inizio della fine” di un’epoca, l’epoca post comunista, durante la quale un ceto politico, formatosi negli anni Settanta alle Frattocchie, che visse a fine anni Ottanta il crollo del sistema sovietico, e che è sopravvissuto utilizzando al meglio una rete di rapporti economici, politici, sociali e culturali di primo livello, lasciati in eredità dal PCI, mantenendo un’egemonia sulla sinistra, grazie anche alle storiche “entrature” nei media (e in magistratura).

    Renzi ha capito prima di tutti questa crisi, e ha tentato di volgerla a suo favore, rottamando il vecchio gruppo ex PCI. Purtroppo per lui, il suo neo gruppo dirigente si è rivelato inadeguato, incapace di “sostituire” nella direzione della ditta i vecchi “comunisti”.

    Il risultato di domenica scorsa, soprattutto nelle tante città di “sinistra” (Genova, Pistoia, Sesto san Giovanni), è la conferma della rottura di quel sistema. Se tutto ciò si rivelerà vero, non sarà la fine del progetto renziano, bensì la fine del PD. La rottura interna, avvenuta con la scissione di MDP, non sarà stata solo un colpo di testa di alcuni vecchi, bensì l’esito di una divisione culturale tra due idee politiche che non potranno più trovare una sintesi dentro il PD.

    L’atteggiamento di Renzi in questi giorni lo conferma, la sua è la posizione di chi vuole andare alla definitiva separazione anche con quel po’ di post comunismo rimasto nel suo partito.

    Se oggi siamo davvero alla fine di una cultura egemonica impostata negli anni Settanta dal PCI, il problema si porrà non solo nel PD e nei rapporti con la sua anima ex comunista, ma riguarderà tutto un sistema che ha egemonizzato nel piccolo anche tutte quelle formazioni politiche “a sinistra” del PD. Riguarderà MDP, Sinistra Italiana, lo stesso sindacato (la CGIL in modo particolare) e per ultimo anche noi socialisti.

    Se di fine percorso si tratta, questo lascerà un vuoto che sarà difficile, ma NECESSARIO coprire e proprio per evitare che il vuoto si prolunghi per troppo tempo.

    Sarà compito del socialismo democratico laico e riformatore, unica cultura politica davvero sopravvissuta a sinistra, riempire questo vuoto con una nuova Idea di Socialismo per il XXI secolo.

    Tertium non datur, le ipotesi di rassemblement tra diversi stanno arrivando tutte al capolinea. La SINISTRA o sarà SOCIALISTA o non sarà.

 

Dario Allamano, Torino

       

     

L’AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 – CH 8036 Zurigo

 

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

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