“Civilian Service”

«Il senso dello Stato che contraddistingue il libera­lismo troverebbe proprio nel servizio civile una sua riproposizione in questa nostra epoca postmoderna… Non si dà alcun obbligo o for­zatura all’altruismo, bensì un mix di eroga­zio­ne di prestazioni sociali tramite l’attivazione della società civile e di for­mazione ed educazione alla cittadinanza e alla convivenza in una comunità plurale»

 

L’AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all’estero, fondato nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana – Casella 8965 – CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale – inviato oggi a oltre 50mila utenti – Zurigo, 7 settembre 2017

 

IPSE DIXIT

 

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Civilian Service – «Il senso dello Stato che contraddistingue il libera­lismo troverebbe proprio nel servizio civile una sua riproposizione in questa nostra epoca postmoderna… Non si dà alcun obbligo o for­zatura all’altruismo, bensì un mix di eroga­zio­ne di prestazioni sociali tramite l’attivazione della società civile e di for­mazione ed educazione alla cittadinanza e alla convivenza in una comunità plurale (di identità, gruppi sociali e anagrafico generazionali)». – Massimiliano Panarari

 

Il terrore e il furore – «Il terrore e il furore con cui l’Unione Europea e il governo italiano affrontano l’arrivo dei profughi nascono dall’oblio del passato e dall’incapacità di guardare al futuro. I profughi che hanno raggiunto l’Europa nel 2015 (l’anno di maggior afflusso) sono meno dei “migranti economici” arrivati o “legalizzati” ogni anno prima del 2008… Ma quel milione e mezzo è solo la metà degli abitanti che un’Europa sempre più vecchia perde ogni anno. Così tra non molto i governi europei dovranno richiamare nei loro paesi i fratelli e i figli di quegli esseri umani che oggi cercano di far annegare nel Mediterraneo, far morire di sete nel Sahara, far schiavizzare dalle bande che controllano la Libia, far azzannare dai cani e bastonare dalle guardie alle barriere di filo spinato dei Balcani». – Guido Viale

 

    

EDITORIALE

 

A casa nostra e a casa loro

 

di Andrea Ermano

 

Si avventurano fino ai nostri bagnasciuga, disturbando le vacanze. Non provengono da zone in guerra o ufficialmente sottoposte a dittatura. Diffondono ogni genere di malattie costringendoci a reintrodurre i vaccini che eravamo riusciti a evitare in odio alle industrie farmaceu­tiche. Fanno figli. Figli che pretenderanno lo ius soli e poi chissà cosa. Vengono a rapinarci nelle nostre stesse case. Stuprano rumorosamente e sciattamente (non sistematicamente, silenziosamente, come si usa in certe brave cerchie familiari). Ammazzano passanti in atti terroristici sempre più sgangherati (non in nome dell’ordine e della disciplina come facevano i nostri vecchi servizi segreti deviati ai tempi delle stragi sui treni, nelle piazze e nelle banche).

    Ecco riassunta la “narrazione” sui migranti che si trae da giornali e telegiornali. E allora sorge la domanda: se così fosse (ma non è così!), che cosa dovremmo fare?

    “Aiutiamoli a casa loro”.

    Questa la risposta che tutti ti danno.

    Vabbè, siamo in campagna elettorale. Lo sapevamo.

    Ma lo xenofobo, cioè colui che rintraccia nello straniero una nicchia per la propria paura, userà la formula “aiutiamoli a casa loro” come tattica verbale. Dice “aiutiamoli”, ma intende “buttiamoli a mare”, come proclamava la Lega di dieci anni fa. Oggi non si dice più. Oggi non vale la pena spacciare la xenofobia per coraggio nazional-padano. Meglio lasciare che tutto, financo la sicurezza nella quale pure viviamo, si traduca in un’insicurezza diffusa. Perché nella storia umana mai c’è stato un tempo più sicuro del presente. Ma proprio perciò l’istinto profondo della paura si scopre disoccupato e teme d’implodere.

    Quindi, sì, aiutiamoli a casa loro. Uno straniero al giorno scaccia di torno la malinconia. Tanto poi mica nessuno va a verificare che tipo o quantità o qualità di aiuto gli si presta, a casa loro.

    Il governo italiano «cerca di spostare i confini dell’Europa al di sotto della Libia, per non farvi entrare chi scappa da dittature, guerre o disastri ambientali, gli altri governi dell’Unione europea hanno invece spostato da tempo quei confini alle Alpi», osservava il sociologo Guido Viale sul quotidiano “il manifesto” del 26 luglio scorso (vai al blog di Guido Viale).

    Gli altri stati europei stanno, insomma, facendo dell’Italia quello che il nostro Governo vorrebbe fare della Libia: «un deposito di esseri umani “a perdere”». Siamo retrocessi ancora una volta alla casella dei “centri di trattenimento libici”, dove massicciamente regnano condizioni subumane, oltre che la rapina, lo stupro e l’omicidio. A futuro monito delle masse sub-sahariane, a che mai più venga in mente a qualcuno l’insana fantasia di trasferirsi dall’Africa in Europa, il continente più ricco del mondo…

    Ma perché facciamo tutto ciò? L’Italia, e l’Europa, avrebbero bisogno di quei migranti, ma per accoglierli bisognerebbe spezzare prima il bando sovrano liberista che vieta le politiche di piena occupazione. Ché già solo a pronunciare questa formula si rischia il ridicolo. Perché, si obietterà, i robot, i computer, i software ecc. si stanno sostituendo ai contadini, agli operai, ai soldati, ai medici, agli avvocati e persino agli ingegneri. Quindi, che senso ha parlare di piena occupazione?

    La risposta qui per un verso investe il domani, per l’altro interpella però già il nostro oggi.

    Domani, la fuoriuscita dell’umanità dalla produzione esigerà di essere governata. Pena il disastro. Ma – pensateci – nessuno può governare una transizione che investe l’intera umanità, se non forse l’umanità stessa. E, infatti, una governabilità globale, ormai sempre più indispensabile, nessuno l’ha ancora vista. La fuoriuscita dell’umanità dalla produzione sarà ingovernabile senza che ciascuna e ciascuno di noi, mentre vede ridursi la propria attività strettamente economica, aumenti gradualmente il proprio impegno civile. La futura governabilità, dunque, appare possibile solo in un progressivo transito delle energie umane dalla dimensione strettamente economica a quella della cittadinanza. Un altro lavoro è possibile.

    Già oggi, però, è evidente che un sistema di allocazione delle energie e delle risorse produttive fondato sulla massimizzazione del profitto, pur dimostrandosi molto efficiente in certi campi, appare completamente cieco, invece, rispetto a una lunga serie di bisogni e interessi vitali. Per esempio, il capitale non “vede” come problemi “suoi”, da risolvere, le grandi masse di giovani disoccupati che affollano le coste mediterra­nee, o le grandi masse di persone che aspirano a trasferirsi dall’Africa in Europa, o le macerie dei territori colpiti da disgrazie naturali o belliche, o il compito di una riconversione eco-compatibile (e anti-sismica!) dell’intero parco immobiliare europeo. Tutte questioni che ufficialmente “non esistono” perché non ne consegue alcuna massimizzazione del profitto.

    Vale la pena qui avvertire che le due prospettive, quella del domani e quella dell’oggi, sono strettamente intrecciate, ma non identiche. L’una, quella del domani, s’innerva nella “destinazione” tecnico-scientifica della nostra intera civiltà e apre a scenari inediti, inauditi. L’altra, quella dell’oggi, riguarda “solo” il destino del capitalismo che è una forma storica di mercato giunta palesemente ai propri limiti di senso. Un altro mercato è possibile.

    Ciò detto per non rimanere prigionieri del pensiero unico, torniamo ai migranti, di cui gli stati europei, le società europee, avrebbero molto bisogno. Quindi, occorrerebbe, si diceva, una strategia generale d’integrazione in Europa. E d’altronde, non ha torto Guido Viale quando scrive che «è inutile vaneggiare di piani Marshall per l’Africa senza dire a chi sono diretti». Perché quei paesi non potranno certo rinascere per opera delle multinazionali che li stanno devastando, o di governi corrotti e sanguinari «che costringono a fuggire la parte migliore dei loro concittadini». Per Viale ci vorrà «una nuova grande leva di migranti e di cooperanti europei impegnati a costruire insieme non solo una nuova Europa qui, ma anche una grande comunità euro-afro-mediterranea là; aperta alla libera circolazione, non dei capitali, ma delle persone e delle loro aspirazioni».

    Per Viale, una grande strategia di “integrazione” dei migranti deve anzitutto «offrire a loro e, insieme, ai 25 milioni di disoccupati creati con la crisi, un lavoro». E anche qui, si obietterà che già appare del tutto irrealistico favoleggiare di “piena occupazione” per i nostri milioni di disoccupati…Figuriamoci, dunque, come sarebbe possibile assorbire anche milioni di migranti.

    «Per mettere tutte quelle persone al lavoro», argomenta Viale «ci vuole un grande piano di investimenti diffusi. Quel piano è la conversione ecologica, come prescritto dagli impegni presi al vertice di Parigi. Ma è un piano che non può riguardare solo l’Europa: deve coinvolgere anche i paesi di origine dei nuovi arrivati». Quindi non si tratta di “aiutarli a casa loro”, conclude Viale, bensì di aiutarli qui in Europa «ad aver voce e a rendersi parte attiva della pacificazione dei loro paesi in guerra; e, quando potranno tornarvi (e molti non aspettano altro), della loro ricostruzione, del loro risanamento ambientale e sociale, della loro conversione ecologica, con progetti e interventi analoghi a quelli da sviluppare qui».

 

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Il sociologo e saggista Guido Viale

 

Per fare tutto questo, però, non basta semplicemente “un grande piano di investimenti diffusi”. Occorre, aggiungiamo noi, immaginare una rete non meno diffusa di istituzioni in grado di organizzare il grande progetto. Questa rete di organizzazioni è stata prefigurata da Ernesto Rossi nelle sue celebri considerazioni dedicate all'”esercito del lavoro”, tra cui quelle apparse su “Il Mondo” del 27 maggio 1950. Di lì bisogna attingere, per realizzare un grande Servizio civile nazionale ed europeo, aperto ai migranti, che affianchi e sorregga l’intero processo.

    Utopie? Lo vedremo. Per intanto, è bello constatare che queste “utopie” ricominciano a prendere piede nella società civile, come testimonia l’interessante saggio breve di Massimiliano Panarari – “Qui ci vorrebbe un servizio civile” – apparso sull’Espresso del 30 luglio scorso. «La società atomizzata ha un antidoto», sostiene Panarari, «un periodo in cui i ragazzi si conoscono, si mescolano, imparano l’empatia sociale». (Leggi il saggio breve di Panarari sul sito de L’espresso)

          

         

Freschi di stampa, 1917-2017 (15)

   

Dalla terra redenta

 

Finalmente, giunge dalla Russia “con grande

ritardo” la lettera della Dottoressa Angelica…

 

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La Lettera di Angelica Balabanoff

sull’ADL del 30 giugno del 1917

 

Due “fenomeni” dominano per Angelica Balabanoff la vita pubblica nella nuova Russia: 1) “Il grande disastro finanziario” e 2) “Il tra­di­men­to della borghesia”. La lettera della Balabanoff appare sull’ADL il 30 giugno del 1917, ma è stata scritta in maggio, cioè prima degli “ul­ti­mi incidenti”, c’informa la redazione con (pudico) riferimento al grande scan­dalo diplomatico che ha investito il ministro degli esteri svizzero Ar­thur Hoffmann, frattanto costretto a dimettersi.

    Hoffmann aveva se­gre­tamente tentato di mediare una “pace separata” tra Russia e Ger­ma­nia, e della mediazione egli aveva incaricato il parlamentare socialista, Robert Grimm, in viaggio sullo stesso treno della Balabanoff, uf­fi­cial­men­te per dare sostegno agli emigrati nel loro rientro in Russia.

    Angelica stessa, le cui antenne parlano di un’instabilità ben lungi dall’essere superata, non ha peli sulla lingua nell’allineare gli indizi che da San Pietroburgo preludono alla grande crisi incombente.

    Il 4 luglio 1917, fallisce una sollevazione popolare dell’ultrasinistra. I bolscevichi, che pure avevano tentato di “controllarla” giudicando del tutto “prematura” ogni forma di rivolta contro il “governo borghese”, ne escono con le ossa rotte. Ottocento di loro, tra cui Trockij, sono imprigionati; Lenin fugge in Finlandia; Stalin si dà alla macchia.

    La guida del governo provvisorio passa, a metà luglio, nelle mani del social-rivoluzionario Kerenskij. Di lì a poco, di conserva con il nuovo premier, il capo di stato maggiore, generale Kornilov, metterà in atto un tentativo di “normalizzazione” neo-conservatrice, un mezzo golpe. È il 2 set­tembre del 1917. Kerenskij lascia fare Kornilov per un paio di giorni. Poi, il 9 settem­bre, ne ordina improvvisamente l’arresto. E libera i bol­scevichi, quel­li stessi che lui medesimo aveva fatto imprigionare due mesi prima.

 

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Maggio 1917 – Il ministro della guerra

Kerenskij arringa le truppe al fronte

 

Inizia a stagliarsi l’Ottobre rosso, sullo sfondo del gran valzer che Pietro­bur­go sta danzando intorno al cratere della Prima Guerra mondiale. Ma torniamo ai due “fenomeni” di cui parla la Dottoressa Angelica nella lettera all’ADL: 1) “Il grande disastro finanziario” e 2) “Il tra­di­men­to della borghesia”.

    1) “Il grande disastro finanziario” – «Le razioni di zucchero sono ridotte a mezza libbra al mese [circa 225 grammi, ndr], il latte manca molto spesso, per ottenere un po’ di pane di qualità pessima si aspetta molto spesso 5-6 ore e non di rado si torna a casa colle mani vuote. E le “code“! La “coda” è il flagello della Russia… Figuratevi che per comprare un paio di scarpe ci si mette in fila alle 3 del mattino per ricevere verso le 10-11… non già un paio di scarpe, bensì soltanto una tessera che vi autorizzi all’acquisto di qualche oggetto di calzatura… Così pure i biglietti ferroviari. Chi vuole andare a Mosca, per esempio, deve aspettare delle giornate intere per entrare in possesso di una tessera che gli dia il diritto di partire, dopo aver partecipato ad altre “code”, fra quattro o sei settimane, passando non di rado tutto il tempo del viaggio in piedi» (ADL 30.6.1917).

    L’elencazione insiste poi sulla penuria di tabacco e sulle difficoltà nel trasporto pubblico, enormemente complicate dallo stato fatiscente dei tramvai: «Dicono bensì le targhette: “Posti a sedere 20, in piedi sulla piattaforma 6 o 8”, ma in realtà sono 100-120 poiché la gran parte si arrampica al tram e si fa trascinare così, con evidente pericolo di vita» (ADL 30.6.1917).

    Questa insistenza balabanoffiana sulle miserabili condizioni di vita delle masse in Russia anticipa di decenni le narrazioni del dissenso antisovietico, senza per altro che il leninismo sia nemmeno ancor giunto alle soglie del potere.

    Mentre scrive, il governo provvisorio è ancora guidato dal principe Georgij L’vov, al quale succederà il conte Kerenskij. Che solo all’inizio di novembre verrà scalzato dal leader bolscevico Vladimir Il’ič Ul’janov, detto Lenin.

    2) Il tradimento della borghesia. – Sul fronte russo-tedesco regna «la più assoluta anarchia… contro la quale invano lotta il ministro Ke­rensky coll’abbondanza dei suoi viaggi e dei suoi discorsi», che però non bastano certo a compensare “la mancanza del più necessario per poter sfamarsi”, annota la Balabanoff, elargendo così un mezzo elogio al volenteroso “menscevico”, ministro della guerra, che sta pre­di­spo­nen­do per altro la celebre e catastrofica “Offensiva Kerenskij”.

    Nello stesso contesto, Angelica tesse altresì una mezza apologia dei “bolscevichi”, cui la stampa borghese va addossando ogni colpa: «esclusivamente ai sovversivi ed in particolare a Lenine. La stampa borghese è unanime in questo; la catastrofe preparata da secoli di dominio autocratico viene attribuita ai rivoluzionari e la reazione s’invoca e si prepara. È un lavoro preparatorio che la stampa adempie magistralmente, l’ipnosi e l’autoipnosi del pubblico cresce ogni giorno, ogni ora» (ADL 30.6.1917).

    Prima di chiudere “queste affrettate note”, che documentano però una grande consapevolezza storica e politica («in nessun paese, in nessun momento della storia il cammino delle nostre idee è stato irto di tanti e tali ostacoli quanto ora in Russia»), la Balabanoff racconta ai vecchi compagni dell’emigrazione italiana in Svizzera del treno verso San Pietroburgo al quale essi l’avevano accompagnata, con tanto entusiasmo e affetto, in una radiosa giornata zurighese, che le deve apparire ormai remotissima.

    «Durante il viaggio tutti i gruppi politici – i “menzchewiki”, i “bolschewiki”, i social-rivoluzionari, le diverse frazioni del partito socialista polacco, il Bund, i socialisti del Caucaso – stanno confezionando fiammanti bandiere rosse. E la bandiera delle bandiere è “Zimmerwald” – mi dico io con rincrescimento di non aver provveduto in tempo». Scatta nel convoglio una gara di solidarietà: «Un compagno mi offre un enorme pezzo di stoffa rossa, una compagna cuce e rica­ma… un compagno polacco ne fa il disegno e… il gigante della co­mi­ti­va approfitta di una fermata del treno in una stazione della Fin­lan­dia per correre in un bosco vicino in cerca di bastoni» (ADL 30.6.1917).

    All’arrivo degli esiliati «benché pochissimi di noi abbiano potuto o voluto avvertire i propri parenti e amici…, la stazione di Pietroburgo e la grande piazza sono zeppe, oltre che di rappresentanti di diversi partiti socialisti e di operai, anche di altro pubblico». Nella piazza vari oratori arringano la folla, mentre all’accoglienza ufficiale di Angelica Balabanoff e di Robert Grimm, che arrivano reggendo a quattro mani la grande bandiera zimmerwaldiana, è stata riservata un’ampia sala.

    «Entrando nella sala m’imbatto in Tschernoff – social-rivoluzionario diventato purtroppo ministro…

    “Avete fatto presto”, gli dico, “il viaggio da Zimmerwald al ministero”.

    Ed egli, alquanto impacciato: “Era necessario, compagna!”

    Pochi minuti dopo, egli sale sulla tribuna… Non so che cosa abbia detto il neo-ministro; non lo sto a sentire, ché il suo tentativo di conciliare Zimmerwald colla partecipazione al governo… è condannato al completo insuccesso» (ADL, 30.6.1917).

    Qui “terra redenta”, a voi la linea telefonica, passo e chiudo.

 

(15. continua)

 

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall’ADL nell’anno delle due rivolu­zio­ni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté “co­prir­le” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad An­ge­lica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e i russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d’Ottobre.

         

     

SPIGOLATURE 

 

Giocattoli alla dottor Stranamore

 

di Renzo Balmelli 

 

CATASTROFE. Se ha ancora un senso il vecchio adagio secondo il quale la guerra è troppo seria per essere lasciata ai generali, sarà cosa buona e giusta che gli strateghi americani e nord coreani vengano posti senza indugi in condizioni di non nuocere. Poiché, se è vero che se chi li comanda, Trump a Washington e Kim Jong-un a Pyongyang, sembrano finti, oltre che ridicoli nella loro buffonesca prosopopea, tali non sono invece i giocattoli alla dottor Stranamore coi quali si trastullano sul palcoscenico mondiale. Basterebbe che uno solo di quegli ordigni sfugga al loro controllo, ammesso e non concesso che codesto controllo siano in grado di esercitarlo, ed ecco che il globo andrebbe incontro a una catastrofe incommensurabile. Su come si sia giunti a questo punto nemmeno i migliori analisti sono finora riusciti a dare una risposta univoca. Negli scaffali traboccano i testi sulle oscillazioni del pendolo che scandisce le sorti dell’umanità e che già in passato diede origini a crisi e conflitti gravissimi. Ora però la minaccia si è fatta ancora più acuta. Gli ordigni nucleari sono finiti nelle mani di chi ha imparato a non preoccuparsi e ad amare la bomba senza che nessuno sia riuscito a impedirlo. L’accesso alle armi atomiche – che, sia detto per inciso, onde evitare pericoli andrebbero tutti eliminati e distrutti – è di una facilità irrisoria. Che se ne occupino solo pochi malintenzionati e che il numero degli arsenali tenda ad aumentare non consente di dormire sonni tranquilli.

 

SCATOLONE. Ciò che era drammatico prima della pausa estiva, lo è rimasto mentre stavamo in panciolle sotto l’ombrellone. La quotidiana tragedia dei migranti è proseguita senza soste e chi ci specula in modo osceno per seminare paura e raccattare voti a buon mercato non ha perso una sola occasione per lucrare anche sui morti. Senza fare distinzioni, ma buttando tutti nello stesso calderone, nello sgangherato linguaggio della destra xenofoba, chi sfugge dai regimi liberticidi in cerca di un angolo di tranquillità per sé e i suoi cari, non viene più considerato un profugo, ma uno scansafatiche, un approfittatore, un criminale, uno stupratore. Nel mesto corteo dei barconi della speranza che galleggiano sul caos, ormai si è perso qualsiasi reale controllo della situazione. In quello scatolone di sabbia, come Gaetano Salvemini definiva la Libia, la propensione sempre in auge a disgregarsi piuttosto che a unirsi evidenzia una condizione geo politica che vanifica qualsiasi progetto. In questo contesto lacerato e privo di speranze il prezzo in vite umane altissimo. Parafrasando Max Frisch si potrebbe dire che i i moderni schiavisti aspettavano braccia a buon mercato e invece sono arrivati esseri umani. Tanto peggio per loro se affondano nella nostra disumanità?

 

INCOGNITE. Dove conduca la Brexit alla fine del suo strano e per tanti versi incomprensibile distacco dall’Unione Europea è il tor­men­tone che verosimilmente finirà con l’accompagnarci per molto tempo ancora e che aspetta di essere verificato, se non risolto, in conco­mi­tanza con le prossime scadenze elettorali. Quelle tedesche, ormai in dirittura d’arrivo, diranno indipendentemente dall’esito delle urne, se il modello britannico avrà degli imitatori, tra l’altro particolarmente attivi in certe frange della politica italiana, oppure se continuerà a prevalere la consapevolezza, mentre il mondo cambia e avanza, che aprirsi è il solo modo per tenere in vita questo nostro Vecchio Continente. Troppe volte infatti la storia ci ha insegnato che quando l’Europa si è fatta travolgere dal nazionalismo sfrenato è andata incontro a lunghi periodi di lacrime e sangue. Tra le tante sfide da raccogliere uniti spicca la multiforme strategia del terrorismo di matrice jihadista. L’Isis può perdere la partita sul campo, ma la sua ideologia resiste. Sarebbe una pericolosa illusione pensare che una sconfitta militare del califfato possa costituire la sua fine. Affrontare questa prova in ordine sparso significa nient’altro che andare incontro a un futuro carico di incognite.

 

NOSTALGICI. Tra pulsioni sovraniste, stabilimenti balneari che sembrano musei del ventennio, battute grevi sulla circoncisione degli ebrei, baruffe incredibili sullo jus soli ormai uscite dai binari del dialogo civile, l’estate tragicomica dei nostalgici da un lato ha fatto ridere, dall’altro però ha sollevato anche qualche inquietante interrogativo sulla “nave dei fascisti”. Nei blogger, protetti dal più rigoroso anonimato, a tale proposito se ne sono lette di tutti i colori e nella stragrande maggioranza dei casi erano pareri inneggianti agli scritti e ai motti del regime, sulla purezza e la virilità dell’epoca in orbace. Era quindi inevitabile, senza tuttavia perdere di vista la trama comicamente irresistibile di questa storia, chiedersi se davvero il fascismo stia cercando di uscire dai sepolcri e provi a tornare in Europa. Tale domanda se l’era già posta alcuni anni fa il premio Nobel José Saramago, il quale asseriva che le nuove falangi del Duce non avranno la camicia nera, ma non per questo saranno meno infide. Per ora l’esilarante reincarnazione del fascismo pare ispirata alla satira di Guzzanti o al personaggio del “Federale” interpretato in modo magistrale da Ugo Tognazzi nel film di Salce (opportunamente riproposto dalla televisione) non fa che confermare la conclusione alla quale giunge Massimo Gramellini sul Corriere della Sera. Siamo al cospetto di un gruppo di duri che partiti per ripristinare l’ordine hanno combinato soltanto casini. E altri ne combineranno. Ma fino a quando?

   

     

L’AVVENIRE DEI LAVORATORI – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

    

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Le “balle” scientificamente provate di Salvini

 

Il capo della Lega non ha dubbi: i flussi migratori hanno fatto riapparire malattie che qui da noi avevamo da tempo debellato.

Lo afferma con quell’atteggiamento che non ammette dubbi…

 

Ovviamente non dice di quali malattie parliamo, ma è un dettaglio. Allora siamo andati alla ricerca di qualche dato. Secondo Zsuzsanna Jakab, direttrice dell’ufficio europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità tra chi sbarca sulle nostre coste appena il 2-5 per cento denuncia una situazione sanitaria compromessa. Per malattie infettive? Cardiocircolatorie, mentali, legate a gravidanza o ferite conseguenza di incidenti o percosse. Dunque, le infezioni non c’entrano.

    Forse Salvini si riferisce alla tubercolosi a cui provò ad accennare Beppe Grillo tre anni fa nel suo Blog. I dati dell’Ecdc (European Centre for Disease Prevention and Control) riportati dagli studenti di scienze della comunicazione della Iulm tra il 1990 e il 2014 indicano una riduzione dell’incidenza da 25,3 ogni 100 mila abitanti a 6 su ogni centomila, ovvero meno 64 per cento. Difficile che il leghista possa far riferimento all’Hiv visto che non rientra tra le malattie debellate in Occidente. In ogni caso nel 2014 rispetto alla precedente rilevazione del 2006 è emerso tra gli stranieri un calo dei casi del 32,9 per cento.

    Allora forse Salvini parla della sifilide ma anche per questa malattia l’incidenza non sembra confermare le ipotesi del capo della Lega: nel 2010 il 7,3 per cento dei casi aveva riguardato i migranti, il 55,4 i non-migranti. Eppure Salvini ha parlato di situazioni scientificamente provate. Ma la realtà è che di provato di sono solo le sue “balle”.

      

 

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Scuola, troppi bambini non

possono permettersi la mensa

 

Sinopoli (Flc Cgil): “È la spia delle profonde ingiustizie sociali ancora presenti nel paese. Non è tollerabile, la scuola non deve lasciare indietro nessuno, ma integrare e fare da argine alle disuguaglianze. Si intervenga tempestivamente”.

 

A margine del Rapporto di Save the children.

 

“Come talvolta accade nel dibattito politico e pubblico, c’è qualche organizzazione che attraverso ricerche e denunce, ci riporta alla realtà, più o meno drammatica, delle condizioni in cui versano le persone in carne e ossa nel nostro paese e nelle nostre scuole”. È quanto afferma Francesco Sinopoli, segretario generale della Federazione lavoratori della conoscenza della CgIl commentando la diffusione del Rapporto di Save The Children, “Non tutti a mensa 2017”.

    Il rapporto, secondo Sinopoli, mette in luce £due delle disuguaglianze più drammatiche e oscene del paese: quella che ha per protagonisti gli alunni delle scuole primarie, in modo orizzontale, nella stessa città o nello stesso comune, ad esempio; e quella che ritorna sempre più spesso tra le condizioni del Nord e quelle del Sud del Paese”.

    Save The Children infatti scrive di “un quadro allarmante”. In 8 regioni italiane oltre il 50% degli alunni, più di 1 bambino su 2, non ha la possibilità di accedere al servizio mensa. La forbice tra Nord e Sud continua intanto a essere ampia, con cinque regioni del meridione che registrano il numero più alto di alunni che non usufruiscono della refezione scolastica: Sicilia (80%), Puglia (73%), Molise (69%), Campania (65%) e Calabria (63%). In quattro delle stesse regioni si osservano anche i maggiori tassi di dispersione scolastica d’Italia (Sicilia 23,5%, Campania 18,1%, Puglia 16,9%, Calabria 15,7%).

     “E ha perfettamente ragione Raffaela Milano – continua il segretario della Flc – quando sostiene che i dati relativi al diritto alla mensa non vanno banalizzati, anzi, sono la spia delle profonde ingiustizie sociali ancora presenti in tante scuole del paese, sulle quali occorre intervenire tempestivamente. La dottoressa Milano avverte un nesso indissolubile tra il diritto alla mensa, i bisogni di socializzazione, l’incremento della povertà minorile e dei tassi di abbandoni scolastici”.

    L’irruzione della realtà delle nostre scuole primarie, a partire dalla sperequazione tra istituti e tra Nord e Sud, quindi “dovrebbe consigliare i decisori politici ad affrontare con maggiore serietà la questione degli investimenti nell’istruzione pubblica. La situazione drammatica delle mense scolastiche in alcune aree del paese, con tutti i significati materiali e pedagogici che essa reca con sé, è un altro di quei paletti che dovrebbero convincere il Parlamento a investire, fin dalla prossima legge di Bilancio, nella scuola pubblica tutto ciò che in questi anni le è stato sottratto, per raggiungere quel livello medio europeo di investimenti pari al 5,5% del Prodotto interno lordo”.

    L’obiettivo, per il sindacato, è “rendere strutturale quell’aumento dell’1% (circa 16 miliardi di euro) del Pil che ancora manca al nostro sistema scolastico. Lo impone la Costituzione, lo impone la democrazia, lo impongono autentiche politiche di lotta alla povertà e alle disuguaglianze”.

    Come ampiamente dimostra il rapporto di Save the Children, continua Sinopoli, “la scuola non può essere mai uno degli elementi di moltiplicazione delle disparità sociali, non può essere il contenitore del disagio sociale, né può essere una delle istituzioni che favorisce le discriminazioni tra chi può e chi non può permettersi un servizio mensa. Non è tollerabile, non è sopportabile, non è sostenibile per la nostra democrazia che alcune scuole utilizzino i tornelli, che umiliano gli alunni e le loro famiglie, che non possono fruire della mensa perché non sono riusciti a ricaricare la tessera”.

     “Il dibattito estivo con estemporanee proposte sulla scuola – conclude Sinopoli – di fronte a questi dati perde totalmente di senso, si deve ripartire dalla funzione costituzionale di questa fondamentale istituzione che per prima cosa non deve lasciare indietro nessuno, integrare, fare da argine alle disuguaglianze, educare alla cittadinanza e alla democrazia”.

   

      

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Legge elettorale.

Ultima possibilità di intesa

 

La Commissione Affari costituzionali della Camera ha ripreso l’esame della legge elettorale, rinviatagli dall’Aula l’8 giugno scorso, dopo che un voto a scrutinio segreto fece saltare l’accordo tra Pd, M5s, Fi e Lega. Tutti i gruppi parlamentari hanno espresso la disponibilità a riprendere l’esame della legge elettorale partendo dal testo che l’Aula ha rinviato in Commissione. È quanto è emerso alla seduta della Commissione Affari costituzionali come riferisce il presidente Andrea Mazziotti.

 

di Mario Muser

 

Danilo Toninelli ha detto che M5s, è disponibile ma vuole prima l’approvazione della legge sui vitalizi che comunque può essere approvata in breve tempo. Il primo gruppo ad intervenire sollecitando la ripresa dell’esame partendo dal testo dell’Aula è stato Forza Italia con Francesco Paolo Sisto, che ha invitato i gruppi a essere “flessibili”: “Se alla fine tutti i gruppi saranno un po’ scontenti – ha detto poi ai cronisti – vorrà dire che ognuno ha fatto una piccola rinuncia ma la legge sarà buona”. Forza Italia spinge per un sistema tedesco (anche se quello presentato di tedesco ha solo il nome). Che nella versione all’italiana corrisponderebbe a una sorta di proporzionale corretto. Un modo evidentemente per decidere le alleanze dopo aver votato. “Bisogna bandire gli interessi personali – ha proseguito Paolo Sisto – e abbandonare la scritturazione di regole autoreferenziali nella consapevolezza che la migliore transazione è quella che vede tutti un po’ scontenti. Abbiamo fiducia che la Camera, lavorando alacremente, saprà onorare il proprio ruolo e, così, rispondere alla necessità di evitare che le sentenze diventino, per inerzia ed incapacità di decidere, leggi dello Stato”.

    Anche Alfredo D’Attorre (Mdp) e Stefano Fassina (Si) hanno invitato a ripartire subito: “Ipotizzare che la legge elettorale si faccia dopo quella di Bilancio è escluso”, ha detto D’Attorre. “Non sono possibili altri rinvii. Si riparta dal modello tedesco, aggiungendo almeno il voto disgiunto”. “I grandi partiti – ha aggiunto – devono spiegare cosa è successo, perché hanno cambiato idea”. Infine, afferma D’Attorre, un “accordo largo non vuol dire che a una singola forza politica possa essere riconosciuto potere di veto sul testo”.

    Un sì è giunto anche da Maurizio Lupi, pur chiedendo una serie di modifiche, come altrettanto ha fatto Ignazio La Russa, che si è pronunciato per un premio di coalizione. Anche la Lega, con Giancarlo Giorgetti, pur dando la disponibilità a ripartire dal proporzionale, ha detto di preferire un maggioritario. Posizione ribadita successivamente anche dal segretario Salvini.  “Mi auguro – afferma – che Berlusconi che dice di voler vincere lavori a un centrodestra forte e compatto che si ottiene con una legge chiaramente maggioritaria, in cui si sa chi vince la sera del voto”.

    Una sollecitazione a omogeneizzare i sistemi di Camera e Senato è giunta dal presidente del gruppo Misto, Pino Pisicchio, che ha anche ipotizzato di ripartire da Palazzo Madama, dove non ci sono voti segreti sulla legge elettorale. Per Pisicchio “il Parlamento non può subire l’umiliazione di rinunciare ad approvare una legge elettorale. È necessario che la politica acquisisca la consapevolezza che andare al voto con i due pezzi di legge elettorale sopravvissuti al vaglio della consulta significa avere la certezza dell’ingovernabilità. Non è certa­mente questo l’obiettivo che il Parlamento può perseguire. Dobbiamo, dunque andare avanti alla ricerca di un punto di convergenza”.

    Danilo Toninelli, pur dicendo di “rivendicare il lavoro fatto fino a giugno”, quando M5s fece l’accordo con Pd, Fi e Lega, ha detto che occorre prima approvare la legge sui vitalizi altrimenti il “clima politico” renderebbe difficile portare avanti la legge elettorale. Ad una domanda del relatore Emanuele Fiano, Toninelli ha risposto che comunque i vitalizi possono essere approvati in breve tempo.

    Fiano, parlando come capogruppo del Pd in Commissione, ha anch’egli dato la disponibilità, purche’ del futuro accordo facciano parte i quattro principali partiti che sottoscrissero il patto a giugno, allargando anche ad altri l’intesa. Domani una nuova seduta e l’ufficio di presidenza che potrebbe stabilire il termine per la presentazione del testo base e degli emendamenti.

Vai al sito www.avantionline.it/

    

          

Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Servire i cittadini

 

Servire i cittadini – Forum degli amministratori socialisti

Orvieto 8-9 settembre 2017. La kermesse socialista si aprirà l’8 settembre alle ore 13 con i tavoli di lavoro. Dalle 17 alle 20 le relazioni in seduta plenaria – presiede Gennaro Acquaviva – con Massimo Seri, Cesare Pinelli, Fabio Natta, Claudio Martelli, Livio Valvano, Luciano Pero, Luciano Baccheta, Mario Abis, Roberto Perrotta, Enzo Mattina.

    Si discuterà di riforme istituzionali e degli enti locali, migranti, sud, giovani e militanza politica. Sabato 9 settembre l’evento si aprirà alle 9.30, con i dibattiti politici presieduti da Luigi Covatta. Intervengono: Maria Cristina Pisani, Pia Locatelli, Oreste Pastorelli, Enzo Maraio, Fausto Longo, Enrico Buemi, Mauro Del Bue, Bruno Zanardi, Marco Cammelli, Giuseppe Roma, Carlo Vizzini, Gian Franco Schietroma, Matteo Ricci. Sono previsti interventi di Lorenzo Guerini e Riccardo Magi.

    Le conclusioni sono affidate al Segretario Riccardo Nencini.

      

     

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Spini ricorda Carlo e Nello Rosselli

nell’ottantesimo del vile agguato fascista

 

La Fondazione Circolo Fratelli Rosselli e la Mairie de Bagnoles de l’Orne hanno tenuto il 7 giugno scorso una commemorazione pubblica di Carlo e Nello Rosselli di fronte al monumento a loro dedicato a Bagnoles de l’Orne, sul luogo dove avvenne l’assassinio.

 

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Valdo Spini a Bagnoles de l’Orne il 7 giugno scorso

 

               

LETTERA DA WASHINGTON

 

Il libro di Renzi,

secondo me

 

“Le falsità allucinanti che ti piovono addosso quando sei fuori da tutto sono come le lodi sperticate di cui ti ricoprono quando sei al potere: non tolgono e non aggiungono nulla alla verità della tua persona, alla verità di ciò che sei. Ho pestato tanti piedi, troppi piedi per non immaginarmi che avrebbero fatto di tutto per farmela pagare. Ma ho la libertà di guardare al futuro senza padrini e senza padroni. Anzi. C’è una parola che pochi utilizzano in politica. È la parola “riconoscenza”. Quelli bravi, quelli esperti, quelli di lungo corso te la spiegano con facilità: la riconoscenza è un valore che non ti devi aspettare quando ti impegni in politica. Cancella dalla mente che qualcuno ti dica grazie per avergli offerto qualche incarico di responsabilità. Nessun politico ti ringrazierà di quello che hai fatto per lui: penserà sempre che tutto ciò che ha avuto sia stato solo merito suo. Ho sempre giudicato barbaro questo concetto. Gli obiettivi si raggiungono insieme. E quando qualche volta mi è capitato di scegliere una persona, anziché un’altra, mi sono guadagnato l’odio perpetuo dell’escluso, ma difficilmente la gratitudine di chi ho proposto.”

    “Più che la riconoscenza mi interessa il riconoscimento di ciò che abbiamo fatto: che si prenda atto che qualcosa è cambiato. Il fatto che uno come me, senza dover rendere conto a nessuno se non ai propri sostenitori, commoventi nella loro tenacia, sia arrivato alla guida del paese dimostra che l’Italia è la terra dove tutto è possibile. Ai ragazzi che incontravo da presidente del consiglio in carica ho ripetuto più volte: “se ce l’ho fatta io, ce la può fare chiunque di voi”. Loro si mettevano a ridere. Ma io ero serio e lo sono tuttora: se il paese  più istituzionalmente gerontocratico si permette di dare le chiavi del palazzo per tre anni a un under 40 venuto dal nulla significa che tutto è veramente possibile. Bisogna crederci, però. Avere l’ardire di provarci. Non lasciare che i professionisti del “si è sempre fatto così” abbiano ancora la meglio. Tutto può cambiare, io ci credo ancora, anzi dopo quello che ho visto, ci credo ancora di più. Non ci interessa cambiare l’immagine per gratificare il nostro ego noi vogliamo cambiare l’Italia per i nostri figli. E questa Italia la cambieremo. Andando avanti, insieme.”

 

Quanto sopra riportato è la chiusura del libro di Matteo Renzi “Avanti” (perché l’Italia non si ferma), Feltrinelli Editore.

    Lo abbiamo acquistato a Roma qualche giorno fa per verificare se i tanti commenti malevoli letti sulla stampa italiana corrispondevano in qualche modo al contenuto di questo libro.

    È doveroso dire che noi non siamo dei sostenitori di Matteo Renzi, vuoi perché risiediamo a Washington, vuoi perché certi atteggiamenti da bar sport di Rignano sull’Arno ci avevano lasciati perplessi.

    Ma questo libro dell’attuale segretario generale del Partito Democratico non solo si fa leggere per lo stile leggero e attraente.

    Ma è soprattutto un manifesto di alto livello politico che dovrebbe fare riflettere tanti connazionali i quali in un sistema di semplificazione si adagiano sul pasquinismo politico ovvero sulle definizioni volgari delle quali sono oggetto i rappresentanti politici più noti.

    Per i gossipari della destra Matteo Renzi altro non è se non un “cazzaro”, volendo racchiudere in questa definizione l’eloquenza di questo giovane che ha saputo dimettersi da ogni incarico dopo la sconfitta del referendum del 4 dicembre 2016, fatto eccezionale questo delle dimissioni in un paese in cui nessun politico rinuncia alla cadrega.

    Matteo Renzi efficacemente ripercorre i fatti salienti dei 1000 giorni al governo della Repubblica, la dura esperienza di aver deciso il ritorno a casa senza mantenere alcuna prebenda, la voglia di riproporsi, certamente perché animato da un ego straripante, ma nella consapevolezza di dover dare la propria energia fisica e morale al servizio della rinascita di un paese, l’Italia, attraversato da convulsioni laceranti e da una insistita incapacità di mettere mano alle proprie riforme istituzionali traguardando il futuro con occhi attenti.

    Qualunque possa essere il proprio giudizio su questo giovane fiorentino di poco più di 40 anni, il libro si presenta come un utile strumento di individuazione della complessa realtà politica nella quale nuotano e affogano molti comprimari della casta che di Renzi sono acerrimi nemici.

 

Oscar Bartoli, Washington

            

     

L’AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 – CH 8036 Zurigo

 

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

 

 

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