Don Chisciotte e Ronzinante tornano a Carabobo? A richiamarli in vita è stato Rafael Lacava, sindaco di Puerto Cabello e ora candidato governatore per il Partito Socialista Unito del Venezuela (Psuv) nello Stato di Carabobo alle regionali di domenica 15 ottobre.
Elezioni del 15 ottobre in Venezuela. Le destre hanno pronto il solito scenario
di Geraldina Colotti*
Don Chisciotte e Ronzinante tornano a Carabobo? A richiamarli in vita è stato Rafael Lacava, sindaco di Puerto Cabello e ora candidato governatore per il Partito Socialista Unito del Venezuela (Psuv) nello Stato di Carabobo alle regionali di domenica 15 ottobre.
Qualche giorno fa, Lacava – ex sindaco di Puerto Cabello – vestito in giacca e cravatta, si è presentato a cavallo di un ciuchino agli studi di Globovision. Ma alla tv di opposizione – che dopo aver partecipato al golpe contro Chavez, nel 2002, ora invita anche qualche esponente del campo avverso – non lo hanno lasciato entrare.
In compenso, contro Lacava e i suoi comizi provocatori si è scatenato un putiferio: che c’è da scherzare in un paese “allo sbando, in crisi umanitaria, con l’inflazione alle stelle” eccetera eccetera? Un putiferio da parte delle destre, beninteso.
Dopo aver provato nuovamente a infiammare il paese – nel senso letterale, visto il numero di persone a cui è stato dato fuoco durante i quattro mesi di violenze contro il governo – l’alleanza Mud (Mesa de la Unidad Democratica) ha in gran parte deciso di partecipare alle elezioni.
Un’ennesima piroetta che la parte più oltranzista – i gruppi della cosiddetta Resistencia e parte dei loro sponsor come Maria Corina Machado, di Vente Venezuela – non hanno gradito, scambiandosi insulti e anche cazzotti in pubblico.
Intanto, la “dittatura castro-madurista” si avvia a celebrare l’elezione n.22 in 18 anni di chavismo, a cui parteciperà una cinquantina di esperti internazionali.
L’ente preposto – il Consejo Nacional Electoral (Cne) – è lo stesso che ha organizzato le precedenti consultazioni, comprese le primarie dell’opposizione. Le macchine e il sistema di voto elettronico sono gli stessi degli anni precedenti. Il sistema elettorale venezuelano è considerato a prova di frodi, addirittura “il migliore del mondo”, secondo il Centro Carter.
Giudizi che hanno messo in altra luce le dichiarazioni del Direttore esecutivo dell’impresa Smarmatic, titolare del software, che ha deciso di “suicidarsi” commercialmente pur di screditare il voto per l’Assemblea nazionale costituente (Anc), che si è tenuto il 30 luglio, nel pieno degli attacchi delle destre a livello internazionale.
Fuggendo a Londra, il signor Mugica aveva allora dichiarato che il suo sistema “era stato manipolato”. Ricattato dagli Usa? Diversi analisti si sono adoperati a dimostrarlo. In quel frangente, l’opposizione ha rifiutato di presenziare alle verifiche previe del sistema, solitamente accurate e minuziose, insistendo nel non voler riconoscere le istituzioni bolivariane.
Noi siamo stati nel gruppo degli “accompagnanti”, abbiamo verificato e posto domande agli esperti che hanno analizzato e “promosso” nuovamente a pieni voti il sistema elettorale: come peraltro sta ammettendo l’opposizione, decidendo di partecipare al voto del 15 ottobre.
Allora, però, aveva scelto di organizzare, il 16 luglio, una consultazione abusiva con seggi elettorali di fortuna, dentro e fuori il paese. Dopo aver dichiarato un risultato smentito dalla logica – oltre 7 milioni di voti – aveva distrutto le schede “per motivi di privacy”.
Ma quel presunto score, amplificato dai media internazionali, era rimasto per il socialismo bolivariano una sbarra da superare. Sfidando pericoli di ogni sorta, gli elettori chavisti avevano risposto con oltre 8 milioni di voti eleggendo così i 545 rappresentanti all’Anc per i più diversi settori. Riusciranno a ripetere la prodezza rinnovando il voto di fiducia al chavismo? In ballo vi sono i 23 Stati interessati dal voto (su complessivi 24).
Le inchieste favorevoli all’opposizione pronosticano una loro vittoria in 18 Stati. Nel Lara, il Cne ha aperto un procedimento amministrativo nei confronti dell’attuale governatore di opposizione, Henry Falcon (uno che, dopo essersi fatto eleggere col chavismo ha cambiato casacca). E’ accusato di aver divulgato una di queste inchieste in periodo di divieto.
Ma, intanto, le destre hanno già pronto il solito scenario: se vincono, tutto va bene e ne approfitteranno per tornare a chiedere la cacciata di Maduro dalla presidenza, prima della scadenza del 2018. Se perdono, grideranno alla frode.
Intanto, hanno già cominciato a ventilarla contestando la decisione del Cne, già intercorsa con il voto del 30 luglio, di inabilitare i seggi a rischio violenze, che sono stati sostituiti da altri più sicuri. In ogni caso, hanno già annunciato che rifiuteranno di prestare giuramento davanti all’Anc, massimo potere fondante la democrazia partecipativa e “protagonista” bolivariana: il potere popolare. ù
E’ stato così anche durante le elezioni del 2015, quando poi sono risultate maggioritarie. Eravamo in Venezuela anche in quell’occasione e abbiamo visto e documentato lo show degli ex presidenti latinoamericani (neoliberisti): planavano come avvoltoi sulla sovranità del Venezuela.
Sono gli stessi che, con la complicità del loro padrino nordamericano e con l’appoggio del pasdaran antichavista che dirige l’Osa, Luis Almagro, ora puntano alle elezioni regionali. Intanto, scaldano la loro riserva per preparare l’eventuale “modello nicaraguense”: la ex Procuratrice generale, Luisa Ortega, fuggita in Colombia per avallare la tesi del “narco-stato” voluta da Trump per imporre sanzioni al Venezuela e – come auspica l’opposizione – anche un intervento armato.
Ai risultati del voto è appeso anche il dialogo con la relativa proposta di convivenza, tentato dal chavismo nella Repubblica dominicana e periodicamente smentito dall’opposizione.
*Post Facebook del 13 ottobre 2017