Oggi abbiamo due Spagne, una monarchica a Madrid, una repubblicana a Barcellona. La Catalogna è indipendente ma isolata, non verrà riconosicuta dall’Unione europea né da altri stati importanti, la sua economia, e di riflesso anche quella spagnola, sta perdendo posti di lavoro e investimenti.
Alberto Negri sulla Catalogna: “Oggi abbiamo due Spagne. L’atteggiamento dell’UE è suicida”
di Alberto Negri* Oggi abbiamo due Spagne, una monarchica a Madrid, una repubblicana a Barcellona. La Catalogna è indipendente ma isolata, non verrà riconosicuta dall’Unione europea né da altri stati importanti, la sua economia, e di riflesso anche quella spagnola, sta perdendo posti di lavoro e investimenti.
Ma non è con il commissariamento del governo catalano e delle sue istituzioni che finirà questa storia gestita malamente per anni dal governo centrale di Madrid. Avrà comunque riflessi Europa perché più avanza la globalizzazione e la centralizzazione delle economie attraverso gli strumenti finanziari europei e più si manifestano le spinte verso il regionalismo (come dimostrano per altro anche i referendum italiani).
L’atteggiamento della commissione europea di sostenere il governo di Madrid ma anche di lavarsene le mani è quasi suicida: già l’Unione ha perso la Gran Bretagna, se poi si fanno largo le spinte indipendentiste sarà sempre più arduo tenere insieme l’Europa. La Catalogna è insomma una sfida all’Unione e all’ordine statuale uscito dalla seconda guerra mondiale, per altro già incrinato nei Balcani con la dissoluzione della Jugoslavia seguita poi dalla divisione dell’Ucraina.
*Post Facebook del 28 ottobre 2017. Pubblichiamo su gentile concessione dell’Autore.
Catalogna, un disastro annunciato per la Spagna.
Era il punto di fuga più sensato, l’unica via di uscita da una situazione che aveva portato la Spagna sull’orlo del precipizio. Poi ci ha ripensato un’altra volta. E tutto è crollato.
La Catalogna oggi ha dichiarato l’indipendenza. Da qui la reazione di Madrid, necessitata, di approvare l’articolo 155 della Costituzione che commissaria la regione.
La successione dei fatti sembra indicare che Madrid ha aspettato fino alla fine che qualcosa potesse inceppare il processo avviato.
Lo scontro ora è totale. A Barcellona piazze festanti e colorate. Come a piazza Maidan in Ucraina. Solo che questa crisi avviene nel cuore dell’Unione europea. E innesca un meccanismo
del quale è impossibile prevedere gli sviluppi.
Carles Puidgemont ha invitato la piazza a difendere la decisione della Generalitat con senso civico e pacificamente.
Ma la chiamata alla difesa del processo secessionista è già un’azione di contrasto alle misure che il governo centrale si appresta a varare. Può innescare incidenti.
L’incendio dunque è stato appiccato. Nessun Paese occidentale ha appoggiato l’avventura catalana: sia gli Stati Uniti che l’Europa hanno infatti annunciato che la Spagna resta unico interlocutore delle loro cancellerie.
Ma ad oggi ciò non sembra aver alcun effetto sui secessionisti, forse convinti che le porte ora chiuse si apriranno in un prossimo futuro. Fiducia che ad oggi appare mal riposta.
C’è chi ha paragonato l’avventurismo catalano a quello greco, quando la sinistra indisse un referendum contro le ricette di risanamento imposte dall’Europa e dovette poi piegarsi a causa del crollo economico.
Situazione del tutto differente: la Spagna non può permettersi il collasso economico della Catalogna, come sembravano auspicare alcuni analisti: crollerebbe con lei. Con conseguenze in tutta Europa.
Come si vede, l’incendio catalano non è più un gioco tra Barcellona e Madrid. Riguarda tutta l’Europa, che rischia di scottarsi. E tanto.
Certo Madrid in passato ha evitato aperture che potevano evitare il precipitare degli eventi e certo le rivendicazioni autonomistiche di Barcellona hanno un loro fondamento.
Ma oggi analizzare torti e ragioni è esercizio vano quanto dannoso. L’incendio va spento prima che bruci destini e nazioni. L’impugnazione dell’articolo 155 da parte di Madrid è una risposta parziale. Andrà integrata da altro. Tanto altro.
Un aiuto potrebbe venire da un’interlocuzione tra le autorità madrilene e la maggioranza silenziosa della Catalogna, che finora si è limitata a una manifestazione di piazza contro l’avventura indipendentista.
Vedremo. Oggi registriamo il disastro annunciato. Che un ripensamento di troppo avrebbe potuto evitare.
Indipendenza catalana: cinque cose su cui riflettere
L’articolo è stato pubblicato nel sito Misión Verdad, particolarmente impegnato sul fronte dell’informazione a difesa della Rivoluzione Bolivariana e nel contrasto dell’offensiva mediatica del mainstream dominante in Occidente al servizio dell’offensiva imperialista in corso in America Latina e nel resto del mondo. (Marx21.it)
L’indipendenza catalana potrebbe essere buona o cattiva: dipenderà dal popolo catalano se andrà bene o se altrimenti, come probabile, andrà male.
I titoli ed i commenti dei media orientali ed occidentali si sono concentrati principalmente sul referendum per l’indipendenza catalana, le azioni della polizia spagnola e il tentativo di impedire le elezioni.
Senza dubbio poco è stato detto rispetto alle implicazioni dell’indipendenza catalana. Cosa vogliono quei politici che cercano l’indipendenza catalana? Creeranno una Catalogna per il bene del proprio popolo? Oppure serviranno l’Unione Europea (UE) e la NATO in forma più efficiente e diligente di come lo potrebbe fare una Spagna unita?
Ci sono cinque punti che quelli che seguono questo conflitto devono conoscere e tenere in considerazione mentre gli eventi si sviluppano:
1. La Catalogna ha una straordinaria economia industrializzata in relazione ad altre regioni della Spagna, con un Prodotto Interno Lordo (PIL) ed una popolazione che supera di poco Scozia e Singapore ed è molto probabile che possa mantenere la sua indipendenza dalla Spagna.
2. La NATO sembra ansiosa di incoraggiare l’indipendenza ed accogliere quella che pensano essere una robusta capacità militare da aggregare alle sue guerre di aggressione globale.
Un articolo pubblicato nel 2014 dall’Atlantic Council (un think-tank della NATO finanziato da Fortune 500) intitolato “Le implicazioni militari della secessione catalana e scozzese” afferma che:
“La Catalogna ha una popolazione di 7,3 milioni di abitanti, con più di 300 miliardi di dollari di PIL. Spendendo un 1,6% di questo PIL per la difesa fornirebbe circa 4,5 miliardi di dollari, quasi quanto il bilancio della Danimarca, che ha delle forze armate efficienti e prestigiose. I piani militari catalani sono molto vaghi, però fino ad ora enfatizzano il ruolo della marina. Con gli eccellenti porti di Barcellona e Tarragona, la Catalogna si caratterizza come un piccolo potere navale, ‘con il Mediterraneo come nostro ambiente strategico e nel quadro della NATO’, come affermano i think-tank della difesa nazionalista. Daipiani pur non ancora sviluppati si deduce la creazione di un gruppo di sicurezza costiera con all’inizio qualche centinaio di marinai. Dopo alcuni anni, la Catalogna potrà assumere la responsabilità come ‘attore di peso nel mediterraneo’ con aerei marini e piccole unità di combattimento di superficie. Eventualmente l’ambizione nazionalista potrà includere un gruppo di spedizione con trasporto leggero e qualche centinaio di marinai, per assumere un ruolo importante nella sicurezza collettiva”.
La nota dell’Atlantic Council conclude enfaticamente che:
“Per quanto emerge dai pochi documenti che sono usciti, la posizione dei separatisti volge uno sguardo prezioso e rinfrescante in merito alla specializzazione della difesa collettiva: costruire una marina che sia complessivamente incentrata sugli eventi costieri”.
3. Politici catalani pro-indipendenza sembrano appoggiare in modo entusiasta l’ingresso della Catalogna nella NATO.
In un articolo intitolato “il Primo Ministro catalano conferma l&#
39;impegno e l’adesione alla NATO per la sicurezza collettiva” si diceva:
“Il Primo Ministro Artur Mas conferma esplicitamente che la Catalogna cerca un’adesione alla NATO. In una recente intervista con il quotidiano italiano La Repubblica, Artur Mas ha chiarito che la Catalogna indipendente concepisce sé stessa nel cuore della NATO. Questo è in linea con l’impegno della Catalogna con la comunità internazionale, il principio di sicurezza collettiva, la legislazione internazionale ed il diritto del mare”
L’articolo segnalava anche che:
La Catalogna cerca la sua libertà, non vuole evitare le responsabilità che le si presenteranno, ma vuole esercitarla nella sua totalità assieme ai suoi soci ed alleati. I catalani capiscono bene che la libertà non arriverà senza un prezzo e che sebbene l’indipendenza significhi il governo del popolo, dal popolo e per il popolo, invece del governo straniero, vuole anche dire che loro potranno guardare in un’altra direzione quando apparirà una crisi o una sfida. I catalani capiscono che quando verrà il prossimo Afghanistan, anche il sangue catalano sarà versato”.
In sostanza i politici catalani sembrano essere molto compromessi non solo con la NATO, ma anche con le guerre di aggressione e interventiste che questa provoca, e sono pronti a spargere il sangue del loro popolo per aiutare la NATO a combatterle.
4. Alcuni politici catalani hanno cominciato a pianificare l’integrazione alla NATO.
Il gruppo di lavoro dell’Assemblea Nazionale Catalana per la Difesa ha dichiarato in un documento del 2014 intitolato “Le dimensioni delle Forze di Difesa Catalane: Forze Navali (riepilogo esecutivo)”:
“Il Mediterraneo: il nostro ambiente strategico. La NATO: il nostro quadro operativo.
La Catalogna deve partecipare a SNMG” (Gruppo Marittimo Permanente della NATO 2; precedentemente Forza Navale Permanente del Mediterraneo) un componente della Forza di Reazione della NATO, la NRF (nella sua sigla inglese).
Sarà anche conveniente partecipare al SNMCMG2 (Gruppo Permanente numero 2).
5. Come per il “Kurdistan” qualsiasi tipo di “indipendenza” perde tutto il suo significato se lo Stato che ne deriva si ritrova profondamente dipendente ed integrato con l’egemonia occidentale e con le sue istituzioni (sopratutto per gli Stati membri o prossimi), sia il curdo che il catalano.
Che questi politici catalani abbiano già espresso in forma entusiasta ed aperta il loro giuramento di sangue e soldi agli interessi stranieri ed alle guerre che si combattono in tutto il mondo, suggerisce l’idea che un qualsiasi tipo di “indipendenza” della Catalogna è in realtà l’idea di una Catalogna che diventa più dipendente e subordinata a un potere superiore ed anche più lontano.
Riflettendo più a fondo
Questi cinque punti dovrebbero essere presi in considerazione da chi si schiera a favore e contro l’indipendenza catalana. Mentre la Catalogna potrebbe creare per se stessa una indipendenza significativa e duratura fondata sulla pace e la prosperità del suo popolo, pare che molti in posizione di vertice stiano semplicemente tentando di spostare la subordinazione della Catalogna da Madrid a Bruxelles.
Restano senza risposte molte domande sull’economia catalana; inclusa quella in merito a ciò che potrebbe fare una Catalogna indipendente, cosa potrebbe fare per alimentare corporazioni straniere di grandi dimensioni che cercano di evitare le barriere e gli ostacoli nell’attuale clima economico spagnolo e sfruttare la Catalogna indipendente, il suo popolo, i suoi mercati e le sue risorse. Purtroppo queste politiche economiche ed i suoi risultati potrebbero concretizzarsi e solo molto tempo dopo sarà possibile per il popolo catalano fare qualcosa.
La popolazione catalana che si batte per l’indipendenza dovrebbe trovare ed utilizzare le opportunità socio-economiche locali, necessarie per dirigere una nazione potenzialmente indipendente verso una traiettoria che meglio serva ad essa ed al suo futuro, e non a un manipolo di politici catalani più che ben disposti a servire gli interessi di Bruxelles, Londra o Washington.
* Tony Cartalucci è un ricercatore di geopolitica che lavora in Thailandia e collabora principalmente sui portaliLand Destroyer, The New Atlas y New Eastern Outlook. Questo articolo è tratto da Land Destroyer, pubblicato il 1° ottobre. La traduzione per Misión Verdad è di Diego Sequera.
di Tony Cartalucci