“18 novembre a Zurigo”

 

L’AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all’estero, fondato nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana – Casella 8965 – CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale – inviato oggi a oltre 50mila utenti Zurigo, 16 novembre 2017

 

ADL 120

 

1897

2017

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18 novembre 2017

Cooperativo Zurigo, St. Jakobstrasse 6, 8004 Zürich

 

Una giornata di studi e dibattiti

nel 120° dalla fondazione dell’ADL

 

 

Ore 10.00 – Libri e autori

Mattia Lento, Giovanni Battista Demarta e

Viviana Meschesi al confronto con il pubblico zurighese

 

Il Dr. Demarta illustrerà l’edizione italiana, da lui curata, di Per un’economia umana di Julian Nida-Rümelin (Milano, 2017). Il Dr. Lento parlerà de La scoperta dell’attore cinematografico europeo, (Pisa 2017). La Dr. Meschesi parlerà di Sistema e Trasgressione. Logica e analogia in Rosenzweig, Benjamin e Levinas, (Milano 2010). Moderatore: Francesco Papagni, teologo e giornalista.

 

Ore 11.00 – Anima, mondo ed esperienza

L’eredità kantiana in Helmut Holzhey

 

Il prof. Pierfrancesco Fiorato (Sassari) discute con Helmut Holzhey (professore emerito presso l’Università di Zurigo, foto sotto) la sua opera Il concetto kantiano di esperienza, riedita nell’ottantesimo com­pleanno dell’Autore. / Moderatore: Dr. Andrea Ermano, direttore dell’ADL.

 

Ore 12.15 – Pausa dei lavori e rinfresco

 

Ore 13.15 – Il “Caso Englaro” otto anni dopo

Ricordi e riflessioni di Beppino Englaro e Renzo Tondo

 

Beppino Englaro, padre di Eluana Englaro, e l’on. Renzo Tondo, Governatore della Regione Friuli Venezia-Giulia all’epoca del “Caso Englaro”, verranno intervistati dal decano dei giornalisti italiani in Svizzera, Giangi Cretti.

 

Ore 14.15 – Grande Riforma?

Ma l’Italia ha bisogno di grandi riforme? E, se sì, di quali?

 

Il sen. Paolo Bagnoli (Università Bocconi di Milano e Università di Siena), l’on. Felice Besostri (costituzionalista autore dei ricorsi contro il Porcellum e l’Italicum) e il Dr. Andrea Ermano, direttore dell’ADL, verranno “moderati” dal Dr. Mattia Lento (Innsbruck).

 

Ingresso libero

Info: 044 2414475 / cooperativo@bluewin.ch

 

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23 novembre – ore 18.00

Photobastei – Sihlquai 125 – 8005 Zürich

 

Letzte Front

 

Vernissage della mostra dedicata alla vita

e all’opera di Andy Rocchelli (1983-2014)

 

Intervengono: Miklós Klaus Rózsa (Syndicom, fotografo, curatore della mostra), On. Beppe Giulietti (Presidente Federazione Nazionale Stampa Italiana), Giangi Cretti (Direttore Comunicazione Camera Commercio Italiana per la Svizzera).

 

Ingresso libero.

Orari di apertura: lunedì-sabato 12-21; domenica 12-18.

Info: www.photobastei.ch cooperativo@bluewin.ch

Finissage: 13 gennaio 2018, ore 18.00.

 

Organizzano: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, Collettivo Cesura, Fabbrica di Zurigo, Famiglia Rocchelli, Fondo Gelpi Ecap Schweiz, Photobastei, Società Cooperativa Italiana, Società Dante Alighieri, Syndicom Schweiz.

Con il patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura Zurigo

e della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera

 

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Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell’ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d’iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d’informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di “consenso preventivo” rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24).

    L’AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da 120 anni a tenere vivo l’uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

   

     

 

EDITORIALE

 

Che fare?

 

Se finisce la scolarità di massa, finisce anche la democrazia in Italia. Dopo venticinque anni di “Nuovo che avanza” la domanda è ora, dunque: “Che fare?”

 

di Andrea Ermano

 

Sempre più bambini sono poveri. Un bambino su otto in povertà assoluta. Un bambino su cinque è in povertà relativa. Ragazzi poveri, il divario cresce nelle scuole. Cresce la povertà dei bimbi: Per sei su dieci aumenta molto il rischio d’insuccesso scolastico. Abbandono scolastico, primato negativo in Sicilia. Sicilia, giovani poveri in fuga dalla scuola.

    Questi i titoli di numerosi giornali italiani ieri: da La Repubblica a La Sicilia, da La Stampa a Il Tempo, dal Corriere dell’Umbria alla Gazzetta di Mantova, dalla Gazzetta del Sud al Corriere delle Alpi, da Il Centro a Il Mattino di Padova, dalla Nuova Sardegna a La nuova Venezia. E la lista potrebbe continuare lungamente. Quasi tutte le testate del nostro Paese hanno dato la notizia. Una notizia che segue a uno stillicidio di altre notizie dello stesso genere sulla profonda crisi della scuola italiana di ogni ordine e grado.

 

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Dunque, i bambini sanno. Persino loro sanno, che se finisce la scolarità di massa, e ormai siamo agli sgoccioli, finisce di sicuro anche la democrazia in Italia. Non nel senso che non c’è scolarità senza democrazia: in alcuni regimi totalitari la scolarità di massa può convivere disgiunta dalle libertà democratiche. Poi, però, una forte istruzione pubblica tenderà a trasformarsi in spinta per la democrazia. Così è stato nei regimi dell’Europa orientale, ma anche nell’Italia del 1943, dove la scolarizzazione gentiliana ha materialmente concorso, infine, alla nascita della Repubblica.

    All’inverso, è assai difficile immaginarsi il sopravvivere di libertà democratiche in un contesto di collassamento della base formativa. Perciò è lecito prevedere che la nostra attuale e profonda crisi scolastica, se non verrà affrontata tempestivamente, causerà un’involuzione civile, i cui prodromi sono per altro già tutti visibilissimi.

 

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Ostia 2017 – Manganellate contro il

giornalista Rai, Daniele Piervincenzi

 

Dopo venticinque anni di “Nuovo che avanza” ecco, dunque, la do­manda delle domande: Che fare?

    Risposta facile: non è uno scherzo, non è un’eser­citazione, vi conviene mettervi d’accordo. Provate, per esempio, a convocare gli Stati generali della scuola italiana. Potete tenerli in Viale Trastevere, alla Leopolda, al Lingotto, nell’Aula dell’Alma Mater, in una tendo­poli in piazza Santi Apostoli, al Brancaccio o in un vigneto pugliese o dove vi pare. Ma datevi una mossa, parlatevi e ascoltatevi, per favore.

       

         

Freschi di stampa, 1917-2017 (25)

 

Evviva Torino!

 

Le agitazioni di Torino dell’agosto 1917, alle quali è dedicato l’edito­riale sulla prima pagina dell’8 settembre di quell’anno, rivelano il loro senso storico non soltanto in anticipazione degli sviluppi a venire. Esse emergono anche come effetti rappresentativi di quanto già è accaduto o sta accadendo.

    La Rivoluzione russa di Febbraio ha incarnato il primo esempio di trasformazione della “guerra imperialista” in “lotta di classe”. È la via della pace, della giustizia e delle libertà democratiche che gli zimmerwaldiani addi­tano al mondo con lo scopo di fermare l’immane massacro bellico.

 

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L’editoriale “Evviva Torino!”

sull’ADL dell’8 settembre 1917

 

Il punto, però, è che la Rivoluzione non potrà sopravvivere e verrà cer­ta­mente soffocata. Sempreché essa non si estenda. Solo una “rivoluzione mondiale” sarebbe in grado di salvaguardare le conquiste democratiche della nuova Russia ed evitare che si consumi il “suicidio dell’Europa” di cui scrive Maksim Gor’kij.

    In effetti, questo “suicidio dell’Europa” sembra impattarsi sull’onda crescente dell’opposizione proletaria alla guerra. Dapprima questa aleg­gia “solo” in forma di conflitto sociale, poi si abbatte nel 1917 sull’as­set­to statuale della Russia, quindi tracima nel 1918 investendo la Ger­mania guglielmina e l’Austria-Ungheria, mentre le fondamenta del­l’Im­pero ottomano sono anch’esse ormai irreparabilmente lesionate; e la spal­lata finale seguirà nel 1922 per opera di Kemal Atatürk, al quale guarda con attenzione il Mussolini della Marcia su Roma.

    Dunque, il primo conflitto mondiale partorisce tre rivoluzioni social-democratiche, di cui una cancellata dalla prima rivoluzione comunista, e poi una sequenza di “rivoluzioni conservatrici”, tentate o riuscite.

    Meglio sarebbe stato per tutti se le lancette della storia avessero in­dugiato più a lungo sulla posizione social-democratica. Che, invece, questa viene soverchiata dalla “dialettica” tra opposti totalitarismi. E alla fine saranno le “rivoluzioni conservatrici” a formare la vasta schiera – bian­ca, nera e bruna – che, al passo dell’oca, riprenderà la marcia verso una guerra ancor più immane della Grande guerra.

    Dunque, la catastrofe finale, all’anno zero 1945, discende dal 1917 in modo quasi diretto. Ed è breve, in effetti, la finestra di possibilità storica nella quale, dopo il Febbraio russo, il “suicidio del­l’Eu­ropa” sa­rebbe stato ancora scongiurabile.

    Ma in quell’estate infuocata del 1917 quanto si potevano già pre­ve­dere gli inauditi sviluppi del “sui­cidio” che verrà?

    La Commissione Socialista Internazionale (CSI) riunita a Stoccolma si limita a con­sta­tare, con allarmata preoccupazione, il regresso politico pietroburghese e dirama un documento – La rivoluzione russa in pericolo! – aggior­na­to alla metà di agosto, mentre le cose evolvono ormai di gior­no in giorno, di ora in ora.

    «Il 16 di agosto i ministri borghesi uscirono dal governo e i lavora­tori e i soldati rivoluzionari di Pietroburgo (…) scesero in piazza al grido: “Il potere deve passare al ‘Soviet’”.» Nelle piazze agenti della contro-rivoluzione provocano scontri sanguinosi fornendo al Governo il pretesto «per mobilizzare contro i dimostranti l’artiglieria e truppe fatte venire appositamente dal fronte, per scatenare una carneficina nella classe lavoratrice, per sopprimere le organizzazioni ed i giornali rivoluzionari». Lo scopo finale di tutto ciò, secondo la Commissione di Stoccol­ma, sarebbe l’instaurazione di una «dittatura del contro-rivo­luzionario piccolo-borghese Kerensky» (ADL 8.9.1917).

    Ma l’ondivago Kerenskij, dopo aver subito per qualche setti­ma­na – nei palazzi, nelle piazze e nelle caserme – l’iniziativa del ge­ne­rale “bianco” Kornilov, non si accorda con questi né instaura una propria ditta­tu­ra contro-rivoluzionaria, ma denuncia il tentato golpe, dando per al­tro l’ordine di liberare i bolscevichi e alimentando così la formazione politico-militare delle “Guardie Rosse” nascenti.

    Intanto, sul “campo d’onore” dei morti e dei feriti di una guerra apparentemente interminabile, e di una guerra civile incipiente, aleggia la questione che segue: «Proletari! Compagni! Rispondete al quesito dei rivoluzionari russi: “Verrà la guerra uccisa dalla rivoluzione o la rivoluzione dalla guerra?” Dalla risposta che i proletari di tutti i paesi daranno a questo quesito, dipende non solo il destino della rivoluzione russa.» (ADL 8.9.1917).

    Tutti i massimalisti, di tutte le coloriture, riprendono allora di gran lena a propagandare l’idea di una “rivoluzione mondiale”, idea che appare ora, dopo la caduta dello zarismo, non più totalmente utopistica, e che si offre, anzi, come l’unica strategia idonea alla salvaguardia delle conquiste rivoluzionarie di Pietrogrado. Ma i leni­ni­sti, come risposta alla bruciante interpel­la­zione degli eventi, nascondono un asso nella manica: la “pace sepa­rata”. E in fondo non era proprio questa la finalità per cui il Kaiser aveva consentito al leader bolscevico esule a Zurigo di rientrare così tempestivamente in pa­tria? E non era per lo stesso scopo che Berlino sosteneva ora Vla­di­mir Il’ič Ul’janov senza troppo lesinare sui mezzi?

    Una campagna di Verbrüderung in grande stile viene mes­sa in atto dagli stati maggiori degli Imperi Centrali verso i militari russi. Ufficiali e membri dei servizi segreti tedeschi regalano a “Ivan” sigarette, generi ali­men­tari, alcolici e superalcolici in gran copia. Ovunque se ne presenti l’oc­casione, “fraternizzano” con i soldati russi affinché questi mangino e bevano e fumino e ballino e cantino, ribellandosi ai loro superiori.

 

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Russi e tedeschi ballano e fraternizzano

 

Diversi milioni di uomini, dopo il fallimento dell’Offensiva Kerenskij, sono ancora di stanza lungo le linee del fronte orientale. Si tratta so­prat­tutto di contadini che compongono un esercito immane, in procinto di liquefarsi. Le diserzioni si succedono con ritmo quotidiano. Cresce il numero degli “sbandati” che riparano nelle retrovie, nell’immensa campagna russa o in città sempre più sul­l’orlo del tumulto.

 

(25. continua)

 

 

Nell’anno delle due rivoluzioni russe l’ADL di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad An­ge­li­ca Bala­banoff, fautrice de­gli stretti legami tra i so­cia­listi ita­liani e russi impe­gna­ti, insieme al PS svizzero, nella gran­de campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lanciata con la Con­fe­renza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d’Ottobre.

    

     

L’AVVENIRE DEI LAVORATORI – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

   

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

NIENTE DI NUOVO

DAI LAGER DI LIBIA

 

Il sogno europeo si è trasformato in un incubo non solo per chi ha rischiato la vita durante gli sbarchi, ma anche per chi nel passaggio in Libia è stato ‘trattato’ come uno schiavo. Adesso tutti inorridi­scono, ma la leader radicale Emma Bonino già agli inizi di settembre dichiarava: “Il modello Minniti ci si ritorcerà contro. L’accordo rafforza le milizie libiche e chiude gli occhi sui lager dei migranti”.

 

Aste di esseri umani, come all’epoca della tratta degli schiavi: av­ven­gono in Libia, secondo la Cnn, che in un reportage in esclusiva mostra un filmato in cui due ragazzi vengono venduti dai trafficanti.

    Gra­­zie a telecamere nascoste, la rete americana ha ripreso una com­pravendita a Tripoli, in cui si offre “uno scavatore, qui abbiamo uno scavatore, un omone forte, in grado di scavare”, secondo quanto dice il ‘venditore’. Dopo che l’agghiacciante transazione è conclusa, i gior­na­listi avvicinano due dei ragazzi ‘venduti’, che appaiono “traumatizzati, intimoriti da qualsiasi persona”. I filmati sono stati consegnati dalla Cnn alle autorità libiche, che hanno promesso un’indagine.

    Adesso l’opinione pubblica inorridisce di fronte a queste notizie, eppure era stato già tutto anticipato e denunciato. La prima a farlo è stata la leader radicale Emma Bonino che già agli inizi di settembre dichiarava: “Il modello Minniti ci si ritorcerà contro. L’accordo rafforza le milizie libiche e chiude gli occhi sui lager dei migranti”.

    Ieri Emma Bonino è tornaa sull’argomento in un’intervista rilasciata a La Stampa: “Si sapeva tutto e da tempo. Ma gli ispettori erano pochi e io passavo per una visionaria. Poi è arrivato il rapporto di Médecins Sans Frontières e poi il ministro Minniti ha dichiarato che i campi in Libia erano la sua ossessione e che l’Oim e l’Unhcr ne avrebbero “migliorato” le condizioni. Il risultato è che la Libia permette a mala pena di visitare di tanto in tanto qualcuno dei 29 centri ufficiali di detenzione, quelli di cui abbiamo letto i reportage giornalistici. Il resto, a cominciare dai centri illegali, è terra di nessuno”.

    La Bonino punta il dito contro l’Ue e un accordo giudicato peggiore di quello con la Turchia: “Per quanto io sia critica con Erdogan e il suo Stato autocratico, è pur sempre uno Stato e ha il controllo del territorio. In Libia ci siamo accordati con un governo che non controlla neppure i suoi uffici e, direttamente o indirettamente, ha appaltato la questione alle milizie. Abbiamo anche assistito a una cruenta guerra tra bande per la gestione dei migranti”. Ma Bonino difende anche l’Italia: “Gentiloni ha ragione nel ripetere che l’Italia ha avuto, rispetto ai migranti, la po­li­tica più decente d’Europa. Ad eccezione della Grecia e un po’ della Germania tutti gli altri sono rimasti indifferenti o hanno fatto ostru­zio­nismo”.

    Anche l’organizzazione delle Nazioni Unite mette sotto accusa l’Unio­ne Europea e l’Italia, che hanno frenato gli arrivi di immigrati in Eu­ropa finanziando le autorità della Libia per bloccarli o riaccettarli sul suo territorio. Per l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, il giordano Zeid Raad al-Hussein, il concreto sostegno accordato da Bru­xel­les (e dall’Italia che vive in prima linea la cronica emergenza della migrazione verso le proprie coste meridionali) alla Guardia costiera di Tripoli si risolve in “un oltraggio alla coscienza dell’umanità”, perché è noto che le condizioni di vita nei centri di detenzione libici sono “terrificanti”.

    Definendo “disumana” la politica della Ue e dell’Italia di finanziare le autorità libiche, perché “rischia di condannare molti migranti a una prigionia arbitraria e senza limiti di tempo, esporli alla tortura, allo stupro, costringerli al lavoro, allo sfruttamento e al ricatto”. L’invito è a “non essere testimoni silenti della schiavitù moderna, di stupri e altre violenze sessuali, di uccisioni fuorilegge per evitare che persone disperate e traumatizzate raggiungano le coste dell’Europa”.

    Alle pesanti accuse dell’Onu all’Italia ha replicato il viceministro de­gli Esteri Mario Giro dai microfoni di Radio Uno. “Queste notizie mettono in imbarazzo l’Onu perché è una cosa che si sapeva da tempo. Non è una novità. Non è perché adesso lo scrivono i giornali anglosassoni o lo dice un responsabile Onu che non sapevamo quale fosse il problema – afferma Giro, che ha la delega alla Coope­ra­zione -. Già l’8 agosto scorso ho definito la Libia un inferno”. L’Onu non ha il permesso di entrare nei campi perché interviene solo se il Con­siglio di sicurezza trova un accordo, ha aggiunto Giro: “L’Italia è l’unico paese che sta cercando di mediare tra le forze libiche che sono fortemente contrapposte perché l’Onu possa entrare. È un po’ ipocrita scoprire adesso ciò che sappiamo da tempo”, ha concluso il vicemi­ni­stro.

    Prima dell’emittente americana Cnn, la situazione libica era stata denunciata anche dai media italiani, tra questi l’Avvenire sul quale l’11 aprile 2017 Daniela Fassini scriveva: “L’Organizzazione Internazio­na­le per le Migrazioni (OIM) in Libia e in Niger ha raccolto orribili storie accadute lungo le rotte migratorie del nord Africa, veri e propri rac­con­ti che parlano di un ‘mercato degli schiavi’ che affligge centinaia di giovani africani che si recano in Libia”. Nel dettaglio si legge: “Non so­lo casi di detenzione, violenze e ricatti. Un migrante senegalese che tornerà a casa dal Niger dopo mesi di prigionia in Libia racconta anche di un vero e proprio ‘mercato degli schiavi’ a Sahba, nel sud ovest del­la Libia. Qui il giovane, proveniente dal deserto – viaggio per cui ave­va già pagato 250 dollari – è stato accusato dal conducente del pick-up di non aver mai pagato la somma pattuita dal trafficante, ed è stato por­tato insieme a tutti gli altri compagni di viaggio in un’area di par­cheg­gio. ‘In quel luogo migranti subsahariani erano venduti e comprati da libici, con il supporto di persone di origine ghanese e nigeriana che la­voravano per loro’, spiega il senegalese allo staff Oim”.

    Nonostante tutto, l’Europa sembra non essersene mai accorta. La Commissione europea ha chiesto la chiusura di queste prigioni e il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani ha annunciato ieri la costituzione di una delegazione di eurodeputati da inviare in Libia per verificare le violazioni dei diritti umani.

    La Guardia costiera libica ha chiesto maggiori aiuti all’Europa per or­ganizzare la sua flotta ormai obsoleta, avvertendo che altrimenti nel 2018 non sarà più in grado di soccorrere i migranti nel Mediterraneo. “La Guardia costiera libica ha salvato oltre 80mila migranti clandestini dal 2012 e circa 15mila solo quest’anno” ha dichiarato il generale Ayub Kacem, portavoce della Marina libica. “L’anno prossimo non sa­remo in grado di organizzare missioni di ricerca e soccorso nelle acque territoriali libiche se dovremo impiegare la stessa flotta”, ha avvertito il colonnello Abu Ajila Abdel Bari, comandante della prima brigata della Marina libica. “Le nostre navi hanno grossi problemi e devono essere sottoposte a complesse operazioni di manutenzione” ha concluso.

 

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SPIGOLATURE 

 

Un clima di restaurazione

 

di Renzo Balmelli 

 

DERIVA. Adesso anche all’estero cominciano a rendersi conto che il clima di restaurazione ideologico-nostalgico sempre più marcato in Italia non è soltanto il frutto di pochi esaltati. Articoli e inchieste iniziano a interrogarsi sulla prepotente rinascita della simbologia e della terminologia legate al fascismo che ormai, un giorno si e l’altro pure, traspare con sempre maggiore evidenza e crudezza dai blogger ospitati da varie e compiacenti testate. L’indifferenza se non addirittura le deliranti giustificazioni con le quali è stato accolto il saluto romano che un calciatore, esibendo i simboli di Salò, ha fatto al pubblico dopo avere segnato una rete al Marzabotto, la squadra del paese ferito dell’orribile strage nazista, sono lo specchio mostruoso e deformante di una tendenza che dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni dei governanti se non fossero in altre faccende affaccendati. Attraverso le invocazioni al duce, gli elogi a CasaPound e gli sfregi indirizzati ai partigiani, dipinti come traditori della Patria, si fanno sempre più forti i sintomi di una deriva etica, morale e sociale che i recenti fatti di Ostia hanno evidenziati in tutta la loro gravità.

 

GIUDIZIO. Nel vuoto politico che in certi momenti sembra contrassegnare questa nostra epoca inquieta e confusa, la guerra dell’informazione a base di fake news, ossia di notizie palesemente false ma costruite con machiavellica ambiguità, da l’impressione di trovare un ideale terreno di coltura. Ne è la prova il polverone sollevato dal Russiagate che avvelena forse più di quanto sia mai avvenuto prima le relazioni tra Washington e Mosca, e nel contempo crea un diffuso malessere tra l’opinione pubblica, sempre più disorientata dalla difficoltà di destreggiarsi nella giungla di tweet e quant’altro che rendono la ricerca a della verità un fatto irrilevante. Al di la delle apparenze, le radici del fenomeno però non si scoprono oggi, ma sono il frutto di una vecchia e mai liquidata eredità. Se riflettiamo su ciò che la devastante macchina propagandistica del Terzo Reich, quando ancora non esistevano i social, era riuscita a fabbricare per legittimare le peggiori nefandezze dell’uomo sull’uomo, bisogna convenire che in fatto di falsità non mancano certo i cattivi maestri. Non tornare a quei tempi è la missione della stampa libera e del suo ruolo attento a impedire i tentativi di limitare la capacità di giudizio della gente.

 

PAROLE. Accanto al vibrante appello del Papa che definisce immo­ra­li le armi nucleari, bisognerebbe aggiungerne un secondo per definire immorali tutte le armi il cui unico scopo è quello di uccidere. Nel mon­do ci sono focolai di guerra ovunque, focolai senza via d’uscita, che ol­tre a seminare rovine servono a rimpinguare il lucroso commercio de­gli ordigni bellici di tipo convenzionale. Ordigni che sembrano meno spaventosi, ma che a loro volta sono dotati di un potere distruttivo in grado di falciare la vita di decine di migliaia di civili inermi. Quanto agli armamenti atomici, mai abbastanza deprecati, ogni giorno che pas­sa senza decretarne l’abolizione definitiva e totale non fa che aumen­ta­re il rischio che vengano usati. In quest’ottica lo scontro tra Kim-Jong-un e Trump è qualcosa di più di un semplice campanello d’allarme usa­to a scopi propagandistici. Il fatto che questi due possano esercitare il controllo sui rispettivi arsenali per molte persone è motivo di grande di­sagio e giustificate inquietudini. A tale proposito l’intervento di Ber­goglio va inteso come uno spartiacque della campagna antinucleare af­fin­ché il disarmo non venga sostenuto soltanto a parole, ma nei fatti.

 

FASCINO. A un certo momento dalle parti di Londra prima di recitare il celebre “Dio salvi la regina” a qualcuno potrebbe passare per la mente che forse sarebbe meglio scomodare Dio per salvare la premier britannica, alla quale, poveretta, ultimamente proprio non ne va bene una. Per scuotere il Paese dalla dilagante apatia Theresa May ha fissato data e ora d’uscita dall’UE (29 marzo 2019, alle ore 23),ma la mossa non ha sortito l’effetto desiderato. Non pochi indizi lasciano difatti intuire che le cose sotto il cielo della Brexit non stanno in questo modo. A favore del divorzio da Bruxelles ha giocato al tempo del referendum il ricordo di un glorioso passato che oggi però sembra impallidire di fronte alla lentezza e alle difficoltà del negoziato. Tanto che attorno a Westminster sta ormai crescendo non soltanto la fronda ostile alla cesura con l’Europa, ma addirittura anche la consapevolezza che nulla è irrevocabile e quindi che per evitare il peggio anche il traguardo agognato dai fautori dell’orgoglioso neo- isolazionismo possa essere annullato. Fissare il calendario in termini tanto perentori di certo mirava infondere fiducia ai sudditi di Sua Maestà, ma intano il fascino della Brexit non sembra più così travolgente come all’inizio.

 

TUTELA. Quando si parla di migranti i numeri possono essere molto ingannevoli, persino crudeli. Ad una prima lettura dei dati emerge un quadro che potrebbe sembrare relativamente tranquillizzante in merito al flusso migratorio dei disperati che attraversano il Mediterraneo per cercare scampo sulle coste italiane o nei porti di altre nazioni rivierasche. Ma si tratta di una illusione. Poiché se da un lato è vero che le cifre evidenziano un calo notevole dei trasporti grazie all’operato della guardia costiera libica nel contrastare l’attività criminosa degli scafisti, dall’altro canto resta immutata la sorte di chi non riesce a imbarcarsi e non può usufruire in loco di adeguate misure di tutela. Si calcola che oltre 700 mila persone, in maggioranza rifugiati particolarmente vulnerabili, siano costretti a vivere in condizioni drammatiche e al limite della sopravvivenza nei centri di detenzione della Libia e degli Stati confinanti. Molti di essi sono vittime di maltrattamenti, estorsioni e forme varie di prevaricazione che sono state al centro del vertice di Berna del “Gruppo di contatto per il Mediterraneo centrale” nato per iniziativa dell’Italia e che mira a coordinare le azioni per ampliare i dispositivi di protezione umanitarie a favore dei migranti.

 

METAFORE. Sono lacrime, pianti, delusione, ma anche rasse­gna­zione gli ingredienti della cocente eliminazione della squadra azzurra dai mondiali di calcio, la prima da quasi sessant’anni a questa parte. Ora un po’ di gente finirà sulla graticola per questa Caporetto del pallone che agli occhi di taluni- i soliti esagerati-   è una tragedia nazionale e per altri, capaci di una analisi più pacata ma non meno severa, è la cronaca di un fallimento annunciato. Ma da qui a dire, senza transizione, che il fallimento è quello di un intero sistema, il sistema Italia, ce ne corre. Basta avere però la consapevolezza che in questo sport fondato sul collettivo  si vince o si perde tutti insieme.  Stavolta il miracolo a Milano non c’è stato ed ha preso la via di Stoccolma pur senza il tocco magico e la grazia di De Sica. D’altronde  con le sue vaghe metafore il calcio continuerà a sorprendere come succede con la Svizzera che riesce a rinnovarsi ed a qualificarsi con una nazionale multi etnica che magari fa storcere il naso  ai populisti, ma che intanto vince con giocatori attivi in mezza Europa e uno  spogliatoio che annulla le barriere  linguistiche e culturali per porsi al servizio  di un obbiettivo comune. E che dopotutto, alla faccia degli sproloqui di Salvini svelto ad attribuire ai calciatori stranieri la colpa della sconfitta, come metafora non è niente male.

 

         

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Povertà, appello unitario di Cgil, Cisl e Uil

 

Camusso, Furlan e Barbagallo chiedono a governo e Parlamento un impegno a incrementare nella legge di bilancio 2018, nel modo più ampio possibile, le risorse per il Fondo. Occorre anche potenziare i servizi per l’inclusione e avviare una vera politica redistributiva

 

“La povertà è ancora un dramma che sottrae diritti e futuro a una quota rilevante della popolazione del nostro Paese. I timidi segnali di ripresa economica non devono fare dimenticare un dato: in Italia vivono in povertà assoluta 4,7 milioni di persone, pari al 7,9% della popolazione complessiva. L’introduzione del Reddito d’inclusione (Rei) è un’innovazione strutturale che riprende numerosi aspetti della proposta dall’Alleanza contro la Povertà in Italia, cioè una misura che garantisce sostegno economico alle famiglie, costruendo contestualmente percorsi d’inclusione sociale”. È l’appello unitario lanciato da Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.

    “Va dato atto a Governo e Parlamento di aver conseguito un risultato importante. Ma la prossima legge di Bilancio può rappresentare un altro decisivo passaggio della lotta alla povertà nel nostro Paese, in quanto lo stanziamento attuale rende possibile includere solo 1,8 milioni di individui, cioè il 38% del totale della popolazione in povertà assoluta: pertanto, il 62% dei poveri ne rimarrà escluso. In particolare, il 41% dei minori in povertà assoluta non sarà raggiunto dalla misura”, continuano i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil.

    “Pure consapevoli della necessaria gradualità del completamento di una misura a vocazione universalistica, complessa e innovativa per il nostro Paese, i confederali “chiedono a Governo e Parlamento un impegno a incrementare, nel modo più ampio possibile, le risorse per il Fondo per la lotta alla povertà nella prossima legge di Bilancio, insieme alla definizione di un Piano pluriennale di lotta alla povertà”.

    “Tutto questo, per includere una quota più rilevante di beneficiari, incrementare l’importo del beneficio e potenziare i servizi per l’inclusione; avviare una politica redistributiva nel nostro Paese, a partire da chi sta peggio; rafforzare la ripresa economica a partire da condizioni sociali e territori altrimenti esclusi; creare le condizioni per un’inclusione lavorativa. La lotta alla povertà deve essere considerata, insieme a incisive politiche per lo sviluppo e il lavoro, una delle priorità per uscire davvero e tutti dagli effetti della crisi economica. È in gioco la piena cittadinanza sociale ed economica di tutti. Non perdiamo un’occasione per rendere più giusto, inclusivo, coeso e meno ineguale il nostro Paese”, concludono i tre leader sindacali.

   

     

SANITÀ

 

Dove vanno i fondi del

Sistema Sanitario Nazionale

 

Un terzo circa dell’intero Capitolo di spesa del SSN viene sottratto al malato. L’indebitamento del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) con i fornitori a 24.4 mld, e altri 6 mld si perdono in rivoli di corruzione.

 

di Aldo Ferrara

 

Secondo la CGIA di Mestre ammonta a 24.4 mld l’indebitamento del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) con i fornitori, e, secondo il Libro Bianco ISPE-Sanità sulla Corruption in Sanità, 2015, altri 6 mld si perdono in rivoli di corruzione. Un terzo circa dell’intero Capitolo di spesa del SSN viene sottratto al malato. Quanto sopra completa la desolante raffigurazione che ci offre il Rapporto Censis, 2015: 12 milioni di italiani non possono accedere alle cure, 4 milioni sono costretti a rinunciare alle cure odontoiatriche, il 77% di coloro che contraggono una polizza assicurativa lo fanno a causa delle liste d’attesa, l’insoddisfazione pervade il 56% dei cittadini e ben 7.7 milioni si indebitano per curarsi. Anche se sensu strictu questi aspetti non rientrano nella “malasanità”, nulla toglie alla gravità della problematica che configura la mancata applicazione dell’art.32 della Costituzione.

    Luigi Mariotti, che concepì il passaggio dal sistema mutualistico a quello generalistico, diede alla riforma una concezione di “universalità” ma negli anni successivi si è creata una destrutturazione che ha trasformato il Servizio Sanitario a Sistema, una macrostruttura amministrativa, politica, economico-finanziaria, priva della sua connotazione originaria.

    Sia la legge sulla aziendalizzazione sia i successivi interventi legislativi (Legge Bindi-Zecchino del 1999, Legge Turco-Mussi del 2007 etc) hanno conferito al Servizio -o Sistema- Sanitario Regionale ( SSR) poteri crescenti non solo nella amministrazione corrente ma soprattutto nella programmazione sanitaria.

    Un esempio è dato dall’attribuzione di fondi del SSR, tramite l’Azienda Ospedaliera all’Ateneo convenzionato, per il finanziamento diretto di Cattedre, Scuole di Specialità e annesso personale docente, tramite una estensiva interpretazione dell’art. 24, commi 5,6 del DPR 240/2010, c.d. legge Gelmini. Le Aziende Ospedaliere promuovono attività scientifiche nelle Università con cui costituiscono Azienda Ospedaliera Universitaria e concorrono così alla creazione di posti universitari ma con fondi del SSN fino al tetto dei 3 mln di euro/pro unità (stipendi, contributi, pensioni emolumenti vari). Cattedre istituite su istanza dell’Azienda e delle sue necessità ma pur sempre strutture universitarie, con primari compiti didattici e di ricerca nonché assistenziali. In questo caso, però, diventano ancillari agli intendimenti dell’Azienda, al di fuori della programmazione didattica e di ricerca dei Dipartimenti di riferimento. In poche parole il SSR si “fa” le sue Cattedre con una palese “concorrenza” non sancita o esplicitata da alcuna legge in vigore.

    Per quanto attiene al personale medico, nei decenni passati, la Convenzione Azienda-Università si limitava alla parametrazione stipendiale. Con la Legge 517, Legge Bindi-Zecchino, l’integrazione stipendiale è divenuta “aggiuntiva”. Così al medico universitario si affida, come essenziale, il compito dell’assistenza, cui si aggiungono ricerca e didattica. Anche per questo, molti giovani, che hanno a cuore la ricerca, tendono a recarsi in altri Paesi laddove queste limitazioni sono meno cogenti.

    È verosimile che detta procedura abbia anche finalità sanitarie ma ciò non elimina il problema sostanziale di uno spostamento di fondi da Capitoli di spesa, primariamente destinati ai pazienti del SSR. Come afferma il Prof. Paolo Maddalena, Vice-Presidente Emerito della Consulta, appare “violato l’art. 32 Cost., poiché si distolgono risorse finanziarie dall’assistenza ai malati per creare cattedre, nonché l’art. 34 Cost., poiché si incide sulle libere scelte, che devono essere “autonome” dell’Università, subordinandole alle richieste delle Aziende. Occorrerebbe impugnare qualche atto davanti al Tar e chiedere l’invio degli atti alla Corte costituzionale, affinché decida sulla legittimità costituzionale della legge Gelmini nella parte in specie”.

    Inoltre dette Cattedre ricadono in un’altra giurisdizione, quella universitaria, al di fuori di una normativa ad hoc. Né si può essere certi che non si incorra a reduplicazioni strumentali delle cattedre stesse. Comunque appare palese la “concorrenza” programmatica.

    Se tale è il merito della questione, per quanto attiene al metodo, occorre una normativa che scongiuri possibili, sia pure ipotetiche, opacità amministrative sul reclutamento o pregiudicare le potenzialità di docenti e/o personale idoneo altro. Né si può escludere che il vizio della mancata universalità del reclutamento possa inficiare i diritti di alcuni docenti e pertanto sfiorare la lesione anche dell’art.3 della Costituzione.

    Oltre che per una revisione giuridica, è insito in questo articolo l’appello a sviluppare questa tematica, non solo per il rispetto delle finalità vere dei nostri Atenei ma per evitare che rivoli di spesa importanti vengano sottratti al paziente. Dalla Legge Bindi-Zecchino alla legge Gelmini del 2010 il dettato legislativo ha profondamente modificato l’ordinamento universitario del comparto sanitario. E’ giunto il momento di una profonda revisione perché il malato abbia piena soddisfazione della cura.

   

      

L’AVVENIRE DEI LAVORATORI – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

        

Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Germania ed Europa oggi:

le ragioni di una crisi

 

Seminario di studi

Bologna 17.11.2017 – ore 11-17

Centro Sociale G. Costa, via Azzo Gardino, 48

 

Ore 11.00 – Relazioni introduttive

 

Gennaro Acquaviva e Paolo Pombeni

Il quadro politico dopo il voto di settembre

 

Silvia Bolgherini e Gabriele D’Ottavio

La Germania e l’Europa

 

Ore 13.00 Pranzo

 

Ore 15.00 – Tavola rotonda sul tema:

L’Italia, la Germania, l’Europa

 

Coordina Luigi Covatta

 

Partecipano: Mario Caciagli, Fabrizio Cicchitto,

Pierluigi Ciocca, Michele Marchi, Paolo Pombeni

 

Iniziativa promossa da FEPS (Foundation for European

Progressive Studies), Associazione Socialismo, Mondoperaio

      

     

 

FRS – Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini

Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”

Con il Patrocinio del Comune di Firenze

 

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Ernesto Rossi giornalista

 

Convegno di studi nel cinquantesimo della scomparsa

 

Firenze, 17 novembre 2017, ore 15 

“La Colombaria”, via Sant’Egidio 23  

 

            Presiede Sandro Rogari

 

            Intervengono:

·                 Donatella Cherubini, Gli articoli sul Popolo d’Italia nel percorso di Ernesto Rossi giornalista

·                 Pierluigi Allotti, Ernesto Rossi e il giornalismo antiregime

·                 Ariane Landuyt, La collaborazione a Italia socialista 1947-49

·                 Gerardo Nicolosi, Nel segno di Einaudi. Ernesto Rossi e il Mondo di Mario Pannunzio

·                 Luca Polese Remaggi, Contro il centro-sinistra. Ernesto Rossi negli anni del Movimento Gaetano Salvemini e de “L’Astrolabio”

·                 Enzo Marzo, Ernesto Rossi riformatore

        

     

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Anna Frank e Gesù Cristo

 

Sapete, cari italiani, qual è il vero problema? Non certo i tifosi fascistoidi pronti a menare le mani. Eh, no. Il problema sono le “campagne assordanti – ma davvero assordanti – degli antifascisti, dell’Anpi, per demonizzare eventi come la Marcia su Roma, avvenuta ben 95 anni fa.

 

di Edoardo Crisafulli

 

Marcello Veneziani interviene sul “gesto cretino di quattro dementi che hanno usato la foto di Anna Frank per prendere in giro le tifoserie opposte.” Perché avete sollevto un polverone, anime belle della sinistra? “La reazione a un gesto irrispettoso e demente è stata dieci volte, mille volte superiore rispetto a chi commette un atroce assassinio e magari non viene adeguatamente punito.” Trionfo dell’iperbole!

    Può darsi che il “pericolo fascista-laziale” sia stato gonfiato, ma imbrattare la memoria di una ragazzina ebrea uccisa dai nazisti – in un contesto pubblico, caratterizzato da aggressività – è davvero una goliardata di pessimo gusto?  Ne dubito. Quell’atto è piuttosto la manifestazione di una mentalità intollerante – chissà perché di recente la polizia, perquisendo la casa di un tifoso violento, ha trovato simboli fascisti, non già gli scritti di Gandhi o il Manuale delle giovani marmotte. (“Immigrato picchiato a Roma, 19enne arrestato: in casa trovati simboli fascisti”, Il Mattino, 30.10.2017). Si può discutere sulle misure da prendere in casi del genere: non tutti gli antifascisti, di cui Veneziani offre caricature spassose, sono favorevoli alla legge Fiano. Io mi annovero fra i contrari: pur di non mettere un bavaglio agli intelligenti, preferisco gli imbecilli in libertà (chi parla a vanvera s’imbroda).

    Sapete, cari italiani, qual è il vero problema? Non certo i tifosi fascistoidi pronti a menare le mani. Eh, no. Il problema sono le “campagne assordanti – ma davvero assordanti – degli antifascisti, dell’Anpi, per demonizzare eventi come la Marcia su Roma, avvenuta ben 95 anni fa. “Ecco come rendere grottesca la storia.” Siamo alla solita, stantia lamentela degli ex camerati, frustratissimi perché gli riesce impossibile riscrivere la storia patria. Le campagne periodiche dei progressisti – contro il nazifascismo, contro l’antisemitismo – “generano nausea e rigetto nel paese, voglia di silenzio e di evasione nella maggioranza degli italiani e voglia di trasgressione in una piccola minoranza.” La colpa non è di chi supera i limiti della decenza, eh no! E’ di chi propaganda, rumoreggiando, i valori della nostra Costituzione. I quattro dementi si sono fatti trascinare da un desiderio prorompente di libertà: finiamola, allora, con l’asfissiante retorica antifascista! Vorrei vedere la reazione di Veneziani, cattolico fervente, se applicassimo la sua pseudo-logica all’indottrinamento che la Chiesa ha perseguito per secoli: una minoranza di cristiani ha rubato, mentito o desiderato la donna altrui? Suvvia, quei peccatucci sono scaturiti da un umanissimo rigetto della predicazione evangelica!

    Attenti, che ora viene il bello: “Ma se qualche demente vestisse di biancazzurro Cristo in croce, il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, le prime pagine dei giornali e dei telegiornali, denuncerebbero indignati l’oltraggio blasfemo, imporrebbero la lettura negli stadi e nelle scuole del Vangelo sulla Crocifissione? Non credo. E non è un’ipotesi del tutto immaginaria, perché mille volte rockstar, tifoserie, giornali satirici, gay pride e via dicendo, hanno preso in giro Gesù, la Madonna e tutti i Santi e li hanno derisi e bestemmiati. E la cosa è passata inosservata.”

    Sì: avete letto bene: questa analogia è puerilmente idiota. Gesù – figura che merita il massimo rispetto anche da parte di chi non crede – scelse di morire sulla croce; e si consegnò, disarmato, ai suoi carnefici. Lo fece per cancellare l’infamia del peccato originale, che gravava sulle nostre anime. Versò il suo sangue innocente per noi, per puro, incondizionato amore. Gesù, peraltro, è figlio di Dio, e ora siede alla destra del Padre.  Quindi – lo dico senza ironia – ha un protettore potentissimo. Non ha bisogno delle nostre leggi per farsi rispettare. Dispone poi di uno strumento formidabile: la compartecipazione al giudizio universale, alla fine dei tempi.

    Anna Frank era interamente umana, e fragilissima, come lo è ogni adolescente. Non aveva Santi in paradiso, e non voleva morire. Il suo diario – che documenta la vita grama di una famiglia ebrea braccata, nascosta in un sottotetto – è un inno alla volontà di vivere. Un giorno degli uomini immondi e vigliacchi la prelevarono assieme alla sua famiglia dal suo nascondiglio e la spedirono in un campo di sterminio. Quegli esseri immondi e vigliacchi – gli alter ego di coloro che al processo di Norimberga diranno “abbiamo semplicemente obbedito agli ordini” – aderivano alla più diabolica ideologia concepita finora: il nazismo. Anna Frank, membro di un popolo abbietto, doveva essere eliminata fisicamente come si fa con ratti, scarafaggi, insetti. Anzi, peggio: nessun disinfestatore spreca il suo tempo a umiliare gli insetti prima di ucciderli, come facevano le SS con gli ebrei. Come avrà trascorso quella ragazzina così sensibile, così delicata, gli ultimi mesi di vita a Bergen Belsen? Fu una tortura psicologica, un annientamento della sua anima prima ancora che del suo fisico. Morì di tifo a soli 16 anni, nel 1945. Queste cose le sappiamo già? Che volete farci: io mi impunto a ricordarle, e non certo per dar fastidio agli ammiratori del Duce bonificatore di paludi, fondatore di città scintillanti ed elargitore ante litteram di pensioni INPS per gli italiani di pura razza ariana.

    Non parliamo abbastanza di Dio, caro Veneziani? Sfida raccolta. La bestemmia è brutta, è volgare. Ma insultare una ragazzina ebrea che è stata uccisa in un modo barbaro, disumano, va ben oltre la volgarità: è un inno all’ideologia perversa che ha concepito Auschwitz. Non è forse questa la peggior bestemmia? All’origine del male, nella nostra tradizione, c’è proprio un omicidio folle: Caino che uccide suo fratello Abele.  Ecco allora che Dio, avendoci creati a sua immagine e somiglianza, invia Gesù per insegnarci cos’è la Caritas: l’ingiunzione ad amare il prossimo nostro come noi stessi. Il primo comandamento è quello dell’amore, verso Dio e verso gli uomini.

    Dio però può apparire bizzarro: ha creato un mondo attraversato da due tipi di sofferenza.  La prima è indipendente dalla nostra volontà, e infatti si chiama fatalità. La “natura naturata” a volte impazzisce: carestie, terremoti e tsunami si abbattono su popolazioni inermi. Per non dire delle malattie genetiche… Dio, qui, è indirettamente responsabile della sciagura che si abbatte su di noi. Nel secondo tipo di sofferenza, invece, non c’entra nulla. Parlo dell’azione malvagia, che viene compiuta per libera scelta. E tuttavia chi è credente si arrovella: perché Dio consente lo scandalo della malvagità? Questa è la domanda più spinosa di tutta la teologia. La risposta standard: il cristianesimo ci vuole liberi moralmente; il che significa liberi di farci del male a vicenda. Fior fiore di teologi hanno discettato sul libero arbitrio. Ma ciò non dissipa i dubbi. Quando parliamo di un genocidio saltano tutte le categorie logiche e teologiche. Qui il male è assoluto, sconfinato: se gli uomini stessi non lo fermano con strumenti terreni, potrebbe distruggere l’umanità stessa. Dio è coerente fino a questo punto? Ci lascia liberi di auto-annientarci?

    Qualcosa non torna in questa supposta coerenza divina: il Dio cristiano non è affatto distaccato o indifferente alle nostre vicende – succeda quel che deve succedere! E’ un interventista – ma è imprevedibile.  A volte entra nelle nostre vite, e ci salva. Il cattolicesimo dà un rilievo eccezionale ai miracoli dei Santi (il culto di Padre Pio…); i protestanti hanno idee un po’ diverse in proposito. Ma c’è comunanza di vedute sul concetto: fu Gesù ad avviare la tradizione dell’intervento miracoloso. Finché c’era Lui le cose erano chiare: per guarire, bastava che l’ammalato avesse fede. La divina provvidenza, in seguito, ha operato in maniera misteriosa, e selettiva. Ci vorrebbe un teologo geniale per spiegarci perché Dio, o Gesù, o quel Santo potentissimo, esaudiscono la preghiera di un ammalato e non quella d’un altro. Ci vuole una fede salda, incrollabile, cieca per non inveire contro un Dio onnipotente che ci ama, ma non ci soccorre nel momento del bisogno.

    Qualunque divinità abbia pregato Anna Frank – non dubito che l’abbia fatto: io stesso, al posto suo, avrei implorato Gesù, la Madonna e tutti i Santi di salvarmi da quell’inferno –, ebbene quell’Essere supremo non è intervenuto a salvarla. Ora si comprende il cinismo di un testimone d’eccezione dei lager nazisti, Primo Levi: “L’esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare via qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio.” Non intendo rinverdire la causa dell’ateismo militante, che non mi appassiona. Sono un agnostico dubitante e non so cosa mi frullerà per la mente il giorno in cui dovrò dire addio a questa terra. Vorrei solo che tutti si sforzassero di capire l’abiezione di un regime come quello nazista. Un regime che, mortificando l’umanità di tutti noi, offende il nostro Creatore. In ogni caso, i credenti dovrebbero capire che c’è un fossato fra l’aldiquà e l’aldilà. Dio – se esiste così come ci dicono le religioni abramitiche – potrà un giorno spiegarci le sue ragioni, e punirci o premiarci, a seconda dei casi. E realizzerà la Giustizia eterna e perfetta. Intanto a noi mortali tocca accontentarci di questa vita imperfetta.  Il Paradiso Terrestre, con buona pace degli utopisti, non è nelle nostre limitate possibilità; un mondo migliore di quello in cui è vissuta Anna Frank sì. “Il salto antropologico”, o l’uomo nuovo sono pie illusioni: potenziali Hitler, Eichmann e Himmler continueranno ad aggirarsi fra noi nei secoli a venire. Il male non lo possiamo sradicare dalle nostre vite; possiamo però contenerlo, arginarlo. Con mezzi umani, laicissimi: edificando sistemi politici fondati sullo Stato costituzionale di diritto, sulle libertà, e sull’equilibrio dei poteri. E’ solo così che impediremo a individui ributtanti di quella risma di pianificare altri crimini contro l’umanità.

    Ogni volta che ricordo Anna Frank non omaggio la retorica antifascista: rinnovo semmai il mio atto di fede laica nella democrazia liberale. Ogni volta che mi riaffiora in mente quella ragazzina vittima dell’odio razziale, del fanatismo ideologico, rafforzo la mia volontà di trasmettere ai giovani la memoria di ciò che è avvenuto in Europa tra il 1939 e il 1945. Mio padre – che non era comunista – vide alcuni sopravvissuti dei lager, e mi ha raccontato. La memoria è il lievito della cultura politica che ha consentito alle mie figlie, a sedici anni, di sedere sui banchi di scuola, e di temere al massimo un brutto voto in pagella e la sgridata dei loro genitori. Una memoria che le ha protette dal rischio di essere inghiottite nel buco nero del male eretto a sistema. E io, per Dio, voglio che lo sappiano. La libertà di cui avete goduto, figlie mie, è un privilegio, un dono, una grazia. Le reazioni a un gesto idiota come quello dei tifosi laziali vi paiono eccessive? Forse, chissà. Ma fuori tempo, no. Mai. Non ricordiamo forse – a distanza di secoli – la tratta degli schiavi, la guerra dei Trent’anni, la Rivoluzione francese? E’ vero, sono passati ben 95 dalla Marcia su Roma. Beh, se è per questo ne sono passati 74 dalla razzia nel ghetto ebraico di Roma (16 ottobre 1943): 1023 ebrei italiani vengono deportati ad Auschwitz. Torneranno in 17.

    Coltivare la memoria del genocidio ebraico – in un paese che fu alleato della Germania hitleriana – è un dovere politico-morale. Grottesco è chi rivaluta Benito Mussolini, “il più grande statista del Novecento”, colui che diede il via libera alle camicie nere, affinché i cittadini italiani di religione o di origine ebraica fossero consegnati agli aguzzini delle SS. Ebbene sì, io voglio che il nazismo e Auschwitz vengano ricordati a lungo. E’ stato, quello, il momento moralmente più infimo mai raggiunto dall’umanità. C’è solo da rallegrarsi se qualche antifascista esagera: l’indifferenza sarebbe infinitamente più grave. Lo sdegno, qui, veicola un messaggio educativo per le future generazioni: ciò che di tremendo, di atroce, è avvenuto nel cuore dell’Europa, non deve ripetersi mai più. Non mi sembra così difficile da capire.

    

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