Quella di Banca d’Italia è una rivendicazione impulsiva, antropologica, quasi nostalgica, legata all’idea che si possa tornare ad un regime monetario da anni ’90 se non precedente, quindi restaurare la Lira, la politica delle svalutazioni competitive del cambio, l’uso dei tassi di interesse come stimolo all’economia… ma non ne abbiamo bisogno.
RIPRENDIAMO BANCA D’ITALIA?
Uno dei grandi equivoci che si annidano nell’universo sovranista riguarda la riconquista di Banca d’Italia. Una valutazione romantica più che economica, che impedisce al tempo stesso di interpretare dinamicamente quanto accaduto negli ultimi 20 anni e di comprendere che esistono invece strumenti più facili da utilizzare e più adatti all’esercizio di una rinnovata sovranità monetaria e industriale, e tra questi c’è soprattutto la Cassa Depositi e Prestiti.
Quella di Banca d’Italia è una rivendicazione impulsiva, antropologica, quasi nostalgica, legata all’idea che si possa tornare ad un regime monetario da anni ’90 se non precedente, quindi restaurare la Lira, la politica delle svalutazioni competitive del cambio, l’uso dei tassi di interesse come stimolo all’economia… Bene, la cattiva notizia è che questo mondo non c’è più, ma la buona notizia è che non ne abbiamo bisogno.
GLI ASSETTI PROPRIETARI
Banca d’Italia rappresenta un’immagine romantica che serbiamo nella mente, che oggi è stata letteralmente fusa all’interno di un blocco granitico che si chiama Eurosistema, fatto di BCE, ex banche centrali nazionali e banche commerciali, tutti soggetti privati e/o regolati dal diritto internazionale, e legati da un intreccio inestricabile di partecipazioni incrociate. Peraltro, il decreto Imu-Bankitalia ha chiuso ogni speranza al dibattito sulla proprietà di banca d’Italia, consentendo alle banche private che ne sono proprietarie una rivalutazione della propria quota capitale che equivale alla distribuzione di dividendi, il che sancisce inequivocabilmente un accorpamento dell’ex banca centrale in seno al blocco euro-bancario.
Di fronte a questa (triste) evidenza, si dimentica spesso che la Cassa Depositi e Prestiti è invece posseduta all’82% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ed è paragonabile ad una banca pubblica, sebbene non impiegata pienamente come tale. Dunque, la banca pubblica dalla quale partire esiste già…
CREDITO ALLE IMPRESE E POLITICA INDUSTRIALE
Ma supponiamo che Banca d’Italia ci venisse regalata…Essa, nella situazione attuale, sarebbe comunque inutilizzabile per fare politica monetaria e industriale. Non ha alcun legame con il mondo industriale, non possiede industrie né può fare credito ad alcun tipo di impresa che non sia bancaria, ed è semplicemente una stanza di compensazione per i trasferimenti di fondi e titoli tra banche commerciali italiane e banche dell’Eurozona inclusa la BCE.
Invece, la Cassa Depositi e Prestiti è oggi il principale strumento di credito alle piccole e medie imprese, con oltre €100 miliardi di finanziamenti prestati a fine 2016, e possiede importantissime partecipazioni industriali e strategichecome Posteitaliane, Eni, Saipem, Acciaitalia, Ansaldo, Fincantieri, e tutta una serie di altre imprese strategiche che potrebbero diventare un nuovo braccio operativo per il governo dell’economia, esattamente ciò di cui abbiamo disperatamente bisogno.
ORO E DIVISE
Veniamo alla questione del fatidico oro e del patrimonio netto della banca d’Italia, equivoco principale ed elemento emotivo della questione: ai valori del 2016, il valore di mercato dell’oro e delle valute estere posseduti da Banca d’Italia ammontava a €86,5 miliardi a fronte di un patrimonio netto di €28 miliardi, più o meno quanto era, ai valori di allora, nel 1999, prima dell’entrata dell’Euro. Cosa ci dice questo? Che la Banca d’Italia che molti hanno in mente e soprattutto nel cuore è cessata di esistere nel 1999, anno al quale sono state congelate le proprie riserve, cioè le “armi” che in quei tempi le consentivano di svolgere le proprie funzioni. Nel frattempo, in quasi 20 anni, le altre banche centrali si sono sviluppate e si sono dotate di riserve gigantesche: Nel 2016 la Banca Centrale Giapponese ha riportato attivi per oltre $12.000 miliardi mentre la BCE per $8.000! Messo a fuoco il problema numerico? Volendo stare nella stanza dei bottoni delle grandi banche centrali mondiali, oggi Banca d’Italia potrebbe al più servire ai tavoli, non certo giocare alcuna partita!
VERSO CHI SONO INDEBITATE?
Ma non basta. Da dove proviene la raccolta fondi della Banca d’Italia? In gran parte da debiti verso le altre banche dell’Eurozona e da organismi internazionali, tant’è che la banca riporta un gigantesco debito di €355 miliardi verso banche non italiane, che rappresenta il cosiddetto “Target 2” (vedi mio articolo: “le banche paghino il target 2“). La Cassa Depositi e Prestiti, al contrario, è finanziata dai cittadini italiani, e raccoglie ben €300 miliardi dai risparmiatori soprattutto attraverso il risparmio postale. Per chi non ha ancora afferrato a chi appartiene Banca d’Italia sul piano giuridico, dovrebbe schiarirsi le idee guardando ai suoi debiti: Banca d’Italia è pesantemente indebitata verso il sistema bancario Europeo (neanche italiano, basti pensare chi possiede le banche italiane che possiedono Banca d’Italia…), quindi ne è strumento funzionale, mentre la Cassa Depositi e Prestiti è a tutti gli effetti, anche dal punto di vista del debito, una banca degli italiani.
E qui si apre una grande chance: data la quasi totale assenza di debito verso l’estero, la Cassa Depositi e Prestiti, se usata pienamente come banca pubblica, potrebbe accedere ai finanziamenti della BCE a tasso zero, secondo l’art. 123 del TUE: “il divieto di scoperto bancario e di altre forme di facilitazione creditizia in favore dei governi non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che…devono ricevere … dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati”. Lo fanno già la Kfw tedesca, banca pubblica posseduta dalle regioni e dal Governo Federale, che raccoglie circa il 20% del debito pubblico federale tedesco a tassi zero, e la BPI francese, posseduta dal Governo, anch’essa attiva sulla raccolta internazionale a tassi vicini allo zero. Per approfondimento si veda il mio articolo “Una banca pubblica per rilanciare l’economia“.
UNA NUOVA MONETA INTERNA
Qualcuno si chiederà: e se volessimo emettere una nuova moneta interna? Domanda legittima, quanto semplice da rispondere. Qualsiasi strumento si decidesse di emettere con una ipotetica nuova Banca d’Italia, strappata all’Eurosistema (come?), ricapitalizzata (con cosa?) e rilanciata come soggetto di politica monetaria nei club finanziaria internazionali (…) si potrebbe egualmente emetterlo attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. Così è per le principali proposte di moneta parallela o complementare delle quali si sta discutendo: i certificati di credito fiscale ed i Minibot, entrambe buone idee, e totalmente gestibili dalla Cassa Depositi e Prestiti, ristrutturata come banca pubblica a tutti gli effetti.
Sarà forse anche per questo che Padoan sta facendo del tutto per cedere quote della Cassa Depositi e Prestiti, distruggendo l’ultimo baluardo che potrebbe consentirci di ricostruire le basi per l’esercizio della sovranità monetaria ed industriale … (vedi il mio articolo: “La Cassa Depositi e Prestititi sotto attacco: partono le privatizzazioni“). Ho detto “le basi” perchè naturalmente la storia inizia da qui, ma evidentemente ammette diversi scenari…
C’è solo una strategia pragmatica dalla quale partire oggi: rilanciare la Cassa Depositi e Prestiti su tre piani strategici paralleli: come istituto di credito alle imprese, come strumento di politica industriale nel Paese e come piattaforma di gestione di una nuova moneta domestica complementare. Pensare tutto questo in seno alla Banca d’Italia, nelle condizioni di oggi, è pura utopia.
E’ certamente un punto di partenza, ma imprescindibile se si vuole restare con i piedi saldi a terra.