Già all’esordio della spaccatura tra Renzi e il gruppo che ha poi operato la scissione nel PD avevamo avanzato un’ipotesi che poneva la questione in termini diversi. Dicevamo all’epoca che la cialtroneria renziana e la mutazione genetica che il segretario introduceva nel partito stavano liquidando un tessuto storico che era nel DNA di una certa sinistra italiana che veniva da lontano…
Il ritorno della socialdemocrazia
Già all’esordio della spaccatura tra Renzi e il gruppo che ha poi operato la scissione nel PD avevamo avanzato un’ipotesi che andava oltre la contingenza delle divisioni su punti di programma e poneva la questione in termini diversi. Dicevamo all’epoca che la cialtroneria renziana e la mutazione genetica che il segretario introduceva nel partito stavano liquidando un tessuto storico che era nel DNA di una certa sinistra italiana che veniva da lontano, per cui l’operazione Leopolda andava a cozzare contro lo zoccolo duro del riformismo italiano. Sembrava uno scontro personale di Renzi e la sua cricca con D’Alema e Bersani, ma in realtà le cose stavano diversamente.
I sondaggi elettorali con cui si andavano nascondendo i dati oggettivi della scissione devono essere visti con un’ottica di più lungo periodo e considerando elementi che stanno via via emergendo. Innanzitutto la risposta di Bersani alle ‘aperture’ di Renzi. La risposta di Articolo 1 non ha preso in considerazione mediazioni di facciata o inclusioni degli eretici nelle liste. A Renzi è stato risposto in termini molto netti e politici, aldilà delle formalità di rito, e in modo tale da sorprendere anche gli abituali commentatori che vanno per la maggiore, che si aspettavano ‘ragionevolezza’.
Guardando in controluce le dichiarazioni di Bersani e di Speranza si è capito che ormai la frattura era diventata progetto strategico. La prova del nove la si vede dalla decisione della CGIL di rompere col governo e di andare alla manifestazione del 2 dicembre sulle pensioni. Nessuno lo ha detto, né ciò si può dichiarare pubblicamente, ma l’asse Bersani-Camusso diventa qualcosa di diverso dalla pura coincidenza. Esso fa intravedere uno scenario differente da quello di partenza e, in prospettiva, un progetto di rinascita socialdemocratica, in forme nuove, ma con una tradizione antica, quella del riformismo che getta a mare il concetto di partito democratico di matrice veltroniana per riaggregare forze che sembravano definitivamente disperse.
E’ possibile anche che il progetto che sta avanzando non sia solo di natura ‘nazionale’, ma sia concertato o perlomeno proiettato a livello europeo dentro il circuito della socialdemocrazia. I riferimenti dei leaders di Articolo 1 a Mélenchon, a Corbyn e ad altri esponenti della socialdemocrazia europea, tedeschi compresi, fanno pensare che dietro il mancato accordo con Renzi ci sia ben altro.
Sappiamo bene che socialdemocrazia significa stare nel quadro delle compatibilità del sistema che ruota attorno alla UE e alle alleanze militari consolidate,ma dentro questo schema si ricompongono (e si scompongono) le forze politiche di riferimento.
Per l’Italia, comunque, il consolidarsi di una prospettiva neosocialdemocratica rende possibile la ridefinizione di tutto il quadro politico. Cambia la dialettica e lo schema delle alleanze. Il renzismo, che sperava e spera ancora in un rilancio alla Macron, si trova stretto tra un consolidarsi della destra e una stabilizzazione dei 5 stelle che ne impediscono la possibilità di espansione. Un’altra sconfitta o anche solo l’ipotesi di una sconfitta, accelerata dalle prossime mosse di un gruppo dirigente che ha perso completamente la bussola, potrebbero ridefinire i rapporti di forza a favore della nuova socialdemocrazia. Ma per ora siamo nel campo delle ipotesi.
Aginform
21 novembre 2017