“Condannare gli ergastolani alla pena di essere amati”

Da un quarto di secolo lotto per l’abolizione dell’ergastolo, ma in questo periodo mi è venuto il dubbio che ho fatto poco per cercare di migliorare gli ergastolani. Le due cose, secondo me, invece dovrebbero marciare da pari passo. Migliorare una persona e poi farla marcire dentro è una pura cattiveria.

 

Condannare gli ergastolani alla pena di essere amati

 

 

Questo è l’intervento che ho fatto al convegno annuale della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi svoltosi nei giorni scorsi a Forlì.

Da un quarto di secolo lotto per l’abolizione dell’ergastolo, ma in questo periodo mi è venuto il dubbio che ho fatto poco per cercare di migliorare gli ergastolani. Le due cose, secondo me, invece dovrebbero marciare da pari passo. Migliorare una persona e poi farla marcire dentro è una pura cattiveria, perché in carcere si soffre di meno se uno rimane cattivo, ma nello stesso tempo far uscire una persona senza che il carcere abbia tentato di farlo diventare buono, può essere pericoloso per la società.

Che fare? Penso che, oltre a continuare a lottare per l’abolizione dell’ergastolo, bisogna anche tentare di migliorare gli stessi ergastolani.

Come farlo? Parto dalla mia esperienza. Quello che a me ha fatto bene più di tutto non è stato certo lo studio, o i libri, e neppure l’amore della mia famiglia: certo queste cose sono state importanti, ma da sole non sarebbero bastate. La mia vera rivoluzione interiore è avvenuta con l’incontro della Comunità Papa Giovanni XXIII, perché ad un certo punto della mia vita mi sono accorto che una piccola parte della società mi amava ed io ho smesso di odiarla. E se questo è accaduto a me, il più delinquente dei delinquenti, può accadere anche ad altri. Ecco, in sintesi, la mia proposta a tutta la Comunità: perché alcune case famiglie non adottano a tutti gli effetti un ergastolano? Fare quello che avete fatto con me. Si potrebbe iniziare con un esperimento pilota con alcuni ergastolani, dare a ciascuno di loro una “Casa Famiglia” o una seconda famiglia (alcuni di loro non ne hanno più una). Quando parlo della Comunità nelle mie testimonianze dico che la Papa Giovanni XXIII è una grande famiglia che dona piccole famiglie a chi non ne ha e faccio l’esempio dei bambini nati con gravi problemi fisici che se abbandonati in un ospedale avrebbero pochi anni di vita, invece adottati riescono a vivere più a lungo e bene, perché l’amore è la migliore delle medicine. E perché non dare questa medicina anche per i cattivi e colpevoli per sempre? Aggiungo anche che la Papa Giovanni non si occupa solo dei buoni ma anche dei cattivi e per questo hanno preso anche me, quindi perché alcune case famiglie, quelle che se la sentono, non provano ad “adottare” nella loro famiglia un ergastolano, magari quelli da circa trenta anni in carcere? Parliamone e confrontiamoci. Un abbraccio.

29.05.2018 – Forlì – Carmelo Musumeci

 


 

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