“Difendiamo Riace e la nostra umanità”

Il modello di accoglienza inventato a Riace è diventato famoso in tutto il mondo, anche per questo risulta tanto intollerabile per chi alimenta l’ondata nera di razzismo e la xenofobia che sta travolgendo la nostra umanità.

 

 

NEWSLETTER DI COMUNE

RIPRENDIAMO IL CAMMINO

L’estate finisce, troppo presto, si sa. E puntuale arriva il giorno in cui si cerca una ragione per ricominciare. Nell’agosto che ci lasciamo alle spalle, le pagine nere, quelle da strappare, non sono certo mancate: un ponte è caduto. Ha spezzato vite di persone comuni, di gente come noi. Ha spezzato anche noi. E poi ha spezzato Genova, il suo territorio e le residue idee (malate) di progresso, mostrandoci molto di più di quel che dice quella tragedia in sé, a cominciare da una discussione mistificata, surreale e prigioniera di un presente senza passato e senza futuro. La vicenda della nave Diciotti racconta invece, prima di ogni altra cosa, la miserabile condizione in cui versano le istituzioni di un paese dispotico e lacerato, privo non solo della decenza ma di ogni senso del limite. E poi l’acqua avvelenata di Vicenza, il teatro devastato a Gaza e le morti “di lavoro” dei braccianti della Puglia, dove il caporalato ucci de almeno quanto l’indifferenza e l’ipocrisia.

Pagine nere, talmente nere da cancellare il sole, il vento caldo e le notti stellate. Brilla però, nel diario che ci lasciamo alle spalle, la straordinaria pagina della ribellione e della resistenza di Riace. Una questione di speranza, diventata il motore di un flusso sociale che corre molto al di là delle oscene burocrazie ministeriali e degli angusti confini nazionali. Una storia che fa paura a chi della paura si alimenta ogni giorno. Ecco, forse possiamo ricominciare da quel piccolo borgo dimenticato, per cercare ancora e ancora le molte Riace che il circo mediatico non mette in copertina. Per farlo, come ha scritto una volta José Saramago, bisogna vedere quello che non si è visto. Oppure vedere di nuovo quel si è guardato senza vedere. Rivedere in autunno quel che non s’è visto d’estate, forse. Noi, che avevamo rallentato un po’, in agosto avevamo visto e raccontato quel che trovate qui sotto .


 

DIFENDIAMO RIACE E LA NOSTRA UMANITA’

Il modello di accoglienza inventato a Riace è diventato famoso in tutto il mondo, anche per questo risulta tanto intollerabile per chi alimenta l’ondata nera di razzismo e la xenofobia che sta travolgendo la nostra umanità. Oggi il piccolo borgo calabrese, e in particolare il suo sindaco, sono fatti oggetto di un attacco strumentale e pretestuoso e di un sabotaggio che sottrae risorse indispensabili a coltivare una speranza che va difesa con i denti da chiunque ne riconosca l’importanza. Alex Zanotelli chiede soprattutto un pronunciamento dei sindaci, dopo le straordinarie testimonianze raccolte nelle scorse settimane, dal primo cittadino di Napoli a quella di Barcellona, e dopo le nuove dichia razioni di ostracismo manifestate da Matteo Salvini nel recente show propagandistico in Calabria. Zanotelli ha avuto modo di conoscere di persona il valore di un sindaco che digiuna per non arrendersi, che è disposto a sedersi per terra per parlare con tutti e per giocare e sorridere con i bambini dei rifugiati che hanno restituito la vita e la speranza a un paese destinato a scomparire  

PERCHÉ AVETE PAURA DI RIACE?
A Riace sono riusciti a fare quello che in tanti diciamo di voler fare. “Noi lo diciamo, loro l’hano fatto”, ci dice in un’intervista video (qui sotto) Ada Colau, la sindaca di Barcellona, accorsa nel piccolo borgo calabrese a sostenere lo sciopero della fame del sindaco Domenico Lucano, che protesta contro il blocco dei fondi Sprar da parte della Prefettura e del ministero degli interni. “Qui si vede che l’accoglienza non è solo una questione morale, legale o di diritti umani ma un’opportunità per tutti. Così, quando arrivi qui a Riace, ti chiedi chi è che sta salvando e chi viene invece salvato. Stiamo salvando i rifugiati o sono loro stanno salvando l’Europa? Riace stava perdendo la sua popolazione e oggi, grazie al coraggio e alla capacità di chi ha dato vita a un progetto esemplare, la gente è più felice, il paese è pieno di bambini e ha ricominciato a sorridere. Riace è il simbolo di un’Europa della speranza, spiega la prima cittadina della metropoli catalana. Sarà mica per questo che fa tanta paura al ministro Salvini e al governo italiano?  

VERE E FALSE GLOBALIZZAZIONI
Il “sovranismo”, l’idea di poter contare di più restituendo agli Stati i poteri ceduti alla finanza internazionale, è la versione odierna del nazionalismo e del razzismo ed è pienamente compatibile con la globalizzazione governata dal grande capitale. Per questo Salvini e Trump, Orbán e Putin piacciono sia alla grande finanza sia ai loro elettori. D’altronde Merkel o Macron praticano le stesse politiche nazionaliste, e sempre più anche razziste, senza però poterlo rivendicare. La radice del problema, secondo Guido Viale, è che «nessuna delle grandi “forze politiche” sembra disposta o capace di liberarsi da quel feticcio del pensiero unico, o “neoliberismo”, che è il PIL come indicatore del successo di una politica…» ;

LA LIBIA NON E’ UN PORTO SICURO. UN APPELLO 
Almeno 700 migranti sono annegati negli ultimi due mesi sulla rotta del Mediterraneo centrale. Le controverse autorità della Libia non hanno raggiunto in tempo le zone da cui erano partite le chiamate di soccorso, oppure hanno comunicato di non avere i mezzi per poter intervenire. Non possiamo abituarci a questo stato delle cose. L’obbligo di salvaguardare la vita umana in mare è assoluto e impone che gli stati ai quali sia riconosciuta una competenza SAR abbiano le capacità organizzative e di coordinamento, oltre agli assetti navali ed aerei necessari per garantire il rispetto di questo fondamentale diritto umano. Le regole fissate dall’UNHCR e dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare sono chiare. Il regime delle zone di ricerca e salvataggio in acque internazionali non va confuso con quello delle acque territoriali. L’affidamento della potestà di intercettazione in alto mare conferita alle autorità libiche, con il riconoscimento di una zona SAR “libica” e la cessione sistematica alle autorità di Tripoli del ruolo di Centrale di coordinamento SAR (MRCC) competente, non può comportare alcuna interdizione alle attività di soccorso svolte da mezzi di diversa bandiera, con una modifica del regime di sovranità sulle acque internazionali, come invece pretendono i libici, che minacciano la libera navigazione anche al di fuori delle loro acque territoriali e impediscono l’adempimento tempestivo degli obblighi di salvataggio da parte delle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative. Un appello della redazione di Associazione Diritti e Frontiere alle Nazioni Unite, all’Imo, alla Commissione Europea e ai governi europei 
 

IL NAUFRAGIO DELLA POLITICA DEL CONSENSO 
Sta per andare in stampa “Alla deriva”, un libro utilissimo a comprendere perché oggi la spasmodica ricerca di un facile quanto abietto consenso elettorale abbia bisogno di inventare un capro espiatorio sociale. E perché debba nutrirsi di espressioni razziste come “la pacchia” di rifugiati e migranti, che fanno sprofondare l’idea della politica in un abisso senza precedenti. Lo scrive Duccio Facchini, giornalista di Altreconomia si può sostenere la sua edizione sulla piattaforma di crowdfunding “Produzioni dal basso”

LA GRONDA. DALLA PADELLA ALLA BRACE
Adesso che la tragedia si è compiuta, l’oscena rissa tra i partiti divampa e la mistificazione dilaga in una discussione prigioniera del presente, senza passato e senza futuro. La costruzione della Gronda non sarebbe stata certo sostitutiva del Ponte Morandi ma complementare. Avrebbe alleggerito il ponte spezzato, nel migliore dei casi, solo del 20 per cento del suo pazzesco traffico: 25 milioni di veicoli l’anno. Intanto, 70 e più chilometri di gallerie e viadotti (in cemento armato) lungo le alture di Genova avrebbero devastato uno dei territori più fragili della penisola, come dimostrano gli smottamenti e le alluvioni sempre più gravi che ormai colpiscono la città quasi ogni anno. Cinque miliardi, forse molti di più, sarebbero sta ti regalati ai Benetton con l’aumento delle tariffe autostradali in tutta Italia invece di destinare quelle e altre risorse al risanamento di un territorio ormai vicino al tracollo. Non c’è esempio che spieghi meglio quanto le risorse destinate alle Grandi opere inutili e dannose siano sottratte al riassetto idrogeologico del territorio e alla manutenzione di ciò che già c’è. Intanto, il ponte sullo stretto (altro che ponte Morandi!) ha già divorato più di 500 milioni sottraendoli, insieme agli altri mega-progetti, all’unica vera modernità possibile: la cura e la manutenzione del territorio, che è anche difesa di tutto il paese e dell’intero pianeta, da restituire alla cura di chi vi abita, vi lavora e lo conosce a fondo
 

ERAVAMO TUTTI SU QUEL VIADOTTO
Qualcuno ha già scritto che il crollo del Ponte Morandi è la metafora di un paese che cade a pezzi. Marco Arturi, che da ragazzo quel ponte lo ha percorso due volte al giorno per andare a lavorare al porto, non sa se sia esattamente così ma si dice sicuro che con il suo crollo abbiamo perso tutti un pezzo della nostra innocenza. L’inammissibile tragedia di #Genova segna un punto di non ritorno: ci mette di fronte alle nostre responsabilità individuali e collettive. È arrivato il tempo di smetterla di affidare deleghe di comodo per poi distribuire respons abilità e condanne seduti in poltrona. Non si può accettare una logica in base alla quale scampare a una tragedia sia una sorta di roulette russa. Un po’ come nel “Sorpasso” di Dino Risi – una commedia tragica degli anni in cui s’inaugurava il Ponte Morandi, che raccontava un’altra Italia e un’altra metafora, quella di un paese lanciato verso il futuro con esuberanza – ma anche con ingenuità, superficialità, cialtroneria e arroganza – convinto di avere la sorte dalla sua e un talento formidabile  

QUESTA IDEA (MALATA) DI PROGRESSO
La costruzione del viadotto spezzato di Genova cominciava nel 1963, l’anno del Vajont. Il crollo della diga più alta del mondo, fece 1910 morti, ma le tragedie italiane provocate dal collasso di infrastrutture e grandi impianti di produzione industriale sono state centinaia. C’è chi ancora sostiene che sia il prezzo inevitabile da pagare all’avanzare del progresso, e naturalmente per ogni lutto ci sono responsabilità precise e soggettive (quasi mai perseguite), ma c’è una logica comune che segna il modus operandi di chi investe, dei proprietari, dei gestori e di chi ha costruito il pensiero moderno dello sviluppo. Mi è stato detto – scrive Paolo Cacciari – che per una grande impresa risarcire i danni dei disastri è s pesso più conveniente che modificare i piani produttivi. Non a caso uno dei motori di questo “sviluppo” sono le società di assicurazione. La logica che guida l’economia capitalistica è sempre quella della remuneratività a breve degli investimenti. Che sia venuto davvero il tempo di fare un bilancio “laico” delle privatizzazioni?
 

GENOVA. RIFLESSIONI DI UNA MAESTRA 
E poi ci sono loro, i bambini con cui ci ritroveremo a settembre quando si tornerà tra i banchi; quel ponte spezzato cosa è stato per loro? L’insegnante di una scuola primaria che dista meno di un chilometro dal Ponte Morandi si interroga sul ritorno in classe dei suoi ragazzini: molti saranno andati a vedere, altri avranno sentito il rumore e le vibrazioni del crollo… Noi maestri, ci scrive nelle sue riflessioni, abbiamo un compito adesso, qui: ricucire, consolidare, unire, non con il cemento e il ferro, ma con le parole, con l’ascolto e con la gioia della vita, quel ponte che non c’è più

SE CROLLA UN PAESE NON È COLPA DEL DESTINO
Sono serviti il crollo di un ponte e decine di vittime per riaprire il dibattito sulle conseguenze delle privatizzazioni in Italia e mostrare il volto di una multinazionale, Benetton, che – tra le molte altre cose – da anni in Argentina attua politiche aziendali di tipo coloniale, sprezzanti dei diritti dei nativi Mapuche. Al di là del dolore, che avremmo preferito rimanesse nella sfera privata di familiari e amici delle vittime piuttosto che lutto elaborato dall’algoritmo di facebook, passerella per la solita bagarre politica nonché celebrazione di massa a tratti aberrante, guardare alla strage di Pont Morandi significa anche riflettere sulle privatizzazioni e su cosa significhi “cambiamento”

LA METAFORA DEL PONTE SPEZZATO E L’AFRICA 
Abbiamo tagliato i ponti col Mediterraneo. Mare nostro, diventato un muro, mare tradito. Con i respingimenti, i divieti di sbarco, le operazioni di dissuasione e i campi di detenzione/concentramento di migranti gestiti e finanziati senza scrupoli, il ponte si è spezzato. Ed è quanto è accaduto a Genova col ponte Morandi. I duecento metri di vuoto sono i metri di separazione tra i popoli. Il ponte tagliato sul torrente Polcevera è unametafora delle nostre separazioni. Non saranno le mere soluzioni tecniche a riabilitarlo e neppure la ricerca delle responsabilità penali. La tragedia di Genova, vista da Mauro Armanino, nato a Chiavari, diventato operaio metalmeccanico e sindacalista FLM a Casarza Ligure, e oggi missionario in Niger al se rvizio dei migranti
 

L’ULTIMO MURO E IL RINASCIMENTO 
La transizione sarà lunga, perché la violenza della religione liberista non consente percorsi agili. Dalla nostra parte ci sono l’evidenza del suo fallimento e un futuro che sappiamo da tempo immaginare e progettare. E poi c’è abbattere l’ultimo vero muro dei nostri giorni. Quello dei prodotti inutili e dello scarto, che divide sommersi e salvati, privilegiati e discriminati, quelli che stanno in basso e non si sentono più né classe né popolo ma terrorizzati carnefici del più debole e del più povero. Così come nel Rinascimento donne e uomini si liberarono della paura di dio e cominciarono a determinare il proprio destino, noi possiamo e dobbiamo guadagnarci un nostro rinascimento, liberandoci dagli idoli e dalle ideologie della tecno-schiavitù liberista che ci vuole poveri, schiavi e impotenti. Il nostro sarà un rinascimento visionario ma rigoroso, se lo vorremo 

L’ECONOMIA AL DOPPIO RIBASSO DI EUROSPIN
Comprare 20 milioni di bottiglie di passata di pomodoro a 31,5 centesimi di euro si può, se ti chiami Eurospin Italia. È sufficiente costringere chi vende a competere tramite un’asta on line al doppio ribasso, premiando chi offre di meno con un contratto di fornitura. Anche se tutto intorno c’è una filiera che soffre, un’agricoltura che perde qualità, una manodopera sottopagata e sfruttata, la risposta sarà sempre una sola: è il mercato

LA RESPONSABILITÀ AL DI LÀ DEL CAPORALATO 
Troppo facile prendersela sempre e solo con il caporalato e con gli scafisti. Abbiamo da tempo bisogno di andare oltre l’indignazione e la solita condanna retorica, oltre i capri espiatori che servono poi a coprire le responsabilità reali e profonde di fenomeni che tutto sono tranne che superficiali. Dobbiamo, ad esempio, denunciare a gran voce i diretti responsabili di quanto succede da anni nelle campagne della Puglia, ma anche nel resto dell’Italia. Sappiamo che le condizioni ignobili di lavoro e di vita sono imposte dagli interessi della Grande distribuzione organizzata (GDO) con la connivenza e la complicità normativa delle Istituzioni locali, nazionali ed europee. Tante e diverse sono anche le soluzioni avanzate dai dirett i interessati. Soluzioni che devono diventare patrimonio comune e rivendicazione quotidiana  

PRODUZIONE, LAVORO E PASSATE DI POMODORO
La morte sulla strada dei braccianti della provincia di Foggia, insieme a tutte quelle che l’hanno preceduta e a quelle che la seguiranno, ci pone domande semplici quanto drammaticamente inconsuete su quel che consumiamo. Non sono certo in molti, oggi, ad avere almeno la curiosità di domandarsi cosa c’è dietro una bottiglia di pomodoro. Un segnale preciso sulla consapevolezza dei tempi in cui viviamo

IL CAPORALATO UCCIDE, L’INDIFFERENZA PURE
Ancora una strage di lavoratori, schiacciati non solo da lamiere accartocciate sulle strade italiane dopo aver raccolto pomodori per due euro l’ora ma dallo sfruttamento da parte di padroni, padrini e sfruttatori vari. Sono lavoratori uccisi dal bisogno, dalla disperazione, da un lavoro lasciato troppo spesso nelle mani del mercato criminale e dall’indifferenza… 

LA RESILIENZA CONTADINA IN EUROPA
Chilometro zero, Gas, filiera corta non sono una moda. Entro il 2050 il 60% degli abitanti della Terra vivranno nelle città. E l’industria agroalimentare potrebbe contribuire al collasso del pianeta. Una delle esperienze a livello europeo che potrebbe fare la differenza nella scelta degli Stati a favore di questo tipo di modelli è quella delle Csa: Comunità che Supportano l’Agricoltura che hanno superato in Europa un milione tra produttori e consumatori organizzati.

STANNO AVVELENANDO I NOSTRI FIGLI 
“Sapete cosa significa non poter lavare un’insalata? Non potersi lavare i denti? Sapete cosa significa provare dolore ogni volta che vedete vostro figlio fare una doccia perché sapete che si sta avvelenando?”. Le mamme di Vicenza dicono: basta! Cinque giorni e cinque notti di presidio permanente per chiedere risposte concrete. È questa l’ultima iniziativa delle Mamme No Pfas. Le Sostanze Perfluoro Alchiliche sono acidi molto forti, altamente tossici che agiscono come interferenti endocrini, accumulandosi nei tessuti e provocando – tra l’altro – alterazioni alla tiroide, innalzamento del colesterolo e infertilità maschile. Sono state assunte quotidianamente per decenni da migliaia di persone che pensavano di utilizzare acqua potabile. I nsieme ad altre associazioni e a numerosi cittadini, da ieri, venerdì 24 agosto, le mamme hanno manifestato  davanti alla Procura di Vicenza
 

UN SISTEMA MALATO CHE POSSIAMO CURARE
L’avvelenamento dell’acqua denunciato dalle mamme di Vicenza non è certo un fatto episodico. Nell’Unione Europea, il 38% dei corpi idrici è sotto forte pressione a causa dell’inquinamento agricolo e, secondo le stime dell’Oms e dell’Unep, ogni anno sarebbero almeno 26 milioni i casi di avvelenamento da pesticidi nel mondo ogni anno, 200 mila i decessi. Il prossimo 9 settembre, sarà presentato a Bologna il Manifesto “Food for Health”, un documento programmatico, curato da Navdanya International , in cui i maggiori esperti internazionali nei settori dell’alimentazione e dell’ambiente mettono a confronto i risultati di anni di ricerca. L’evidenza scientifica, emp irica, epidemiologica è oramai indiscutibile. Il tempo delle analisi e delle discussioni è terminato. E’ il momento di passare all’azione per evitare che casi come quelli di Vicenza si possano ripetere in Italia e nel resto del mondo 

GLIFOSATO, UNA SENTENZA STORICA
La Monsanto, oggi acquisita dalla multinazionale Bayer, era peffettamente al corrente dei rischi per la salute umana derivanti dal suo prodotto contenente glifosato. Lo sostiene la sentenza di un tribunale californiano che l’ha condannata a risarcire con 289 milioni di dollari il giardiniere Johnson DeWayne, che ha contratto un tumore utilizzando erbicidi a base di glifosato. Una sentenza storica, che può costituire un precedente fondamentale per le molte altre cause intentate contro la regina degli Ogm. Alla fine del 2017, nonostante 1,3 milioni di firme raccolte, la Commissione Europea aveva invece prorogato l’autorizzazione all’utilizzo del glifosato per altri cinque anni 

NON FERMATE RI-MAFLOW
«A metà dicembre il sito era abbandonato. Gli unici rumori che si sentivano nello stabilimento Maflow di Trezzano sul Naviglio (Mi), una volta noto per gli 800 operai che lavoravano nella produzione di componenti per autoveicoli, erano quelli dello svuotamento in corso. “In quei giorni siamo entrati e ci siamo piazzati in una piccola parte dell’area – racconta Michele, uno degli ex lavoratori – Qualche giorno dopo con noi c’era un esperto di rifiuti. Ha osservato con attenzione i macchinari e i prodotti rimasti e ha detto che separati valgono almeno 20 mila euro”. L’idea dello smaltimento dei rifiuti ingombranti, in particolare di quelli elettronici, è stata presa molto sul serio dal gruppo di ex lavoratori…». Cominciava così l ’articolo del febbraio 2013 pubblicato su Comune, quando ancora pochissimi conoscevano la nascita di quella che stava per diventare una delle più importanti esperienze in Europa di imprese autogestite e di conversione ecologica. Abbiamo avuto la fortuna di accompagnare in questi anni la crescita, la determinazione e la creatività di Ri-Maflow, fabbrica recuperata. Oggi qualcuno ha trovato una bizzarria formale per inventarsi niente meno che una denuncia per “associazione a delinquere finalizzata al trattamento illecito dei rifiuti”. Un’accusa paradossale quanto infamante, dicono dalla fabbrica, che intanto ha ricevuto il sequestro dei beni mobili e immobili e dei conti correnti. È il momento di inviare subito un sostegno economico. Nessuno aveva previsto la nascita di questa esperienza, nessuno immagina che dal basso germoglierà una straordinaria esperienza di solidarietà per far vivere Ri-Maflow e il suo ribellarsi facendo, di cui abbiamo tutti e tutte molto bisogno. 

AL DI LA DEL SOVRANISMO MONETARIO
Le esperienze teoriche e pratiche che hanno osato mettere in discussione l’astrazione delle relazioni sociali sviluppate (e occultate) attraverso il denaro, immaginando anche una ricostruzione della funzione sociale di una diversa moneta, hanno ormai una lunga storia. Negli ultimi tempi, in Italia, si è tornato a discutere spesso della moneta, ma solo in relazione al tema della sovranità nazionale, che non dà certo conto della complessità deivalori, dei poteri, dei limiti, delle opportunità speculative e di molti altri aspetti della questione monetaria. Le rendite e gli interessi monetari stanno intanto facendo crescere il debito, non solo economico, privato e pubblico, ma anche ecologico, dato che rendite ed interessi monetari crescenti implicano t assi crescenti di sfruttamento di ogni risorsa disponibile, al livello locale e globale. Per contribuire al rilancio ed al rafforzamento degli strumenti di scambio e credito mutuale, senza interessi e rendite monetarie, si è dato avvio da qualche anno ad una scuola/laboratorio dedicata alle relazioni tra le pratiche eco-solidali e le monete “altre” superando però la classica divisione tra attivismo e ricerca. Appuntamento a Giovinazzo di Bari dal 14 al 16 settembre  

MONETE ALTRE E COMUNITÀ LOCALI
Diversi tipi di “monete altre”, sociali o comunitarie, locali e complementari, stanno suscitando un’attenzione crescente. Resta probabilmente sottovalutato il ruolo che gli strumenti di scambio e di credito mutuali possono svolgere nel favorire le economie solidali, favorendo la costruzione dei patti territoriali che ne dovrebbero stare alla base. In questo scenario nasce una preziosa scuola/laboratorio – che tenta anche di superare le tradizionali separazioni tra docenti e studenti, relatori e iscritti – dedicata agli “Strumenti di scambio e credito mutuale per le economie solidali”: le iscrizioni sono aperte 

TURCHIA: UNA CRISI ANNUNCIATA 
Gli alti tassi di interessi su un debito estero difficile da pagare, sommato a un deficit commerciale alimentato dal debito stesso hanno fatto esplodere la crisi della lira turca, che non è valutaria ma è una crisi del debito: la moneta turca ha perso sul dollaro più del 40% dall’inizio dell’anno, il 14% solo il 10 agosto. È soprattutto l’esito della manovra spericolata con cui, di fronte a un’economia stagnante e a un sistema bancario al collasso, le banche centrali di Usa, UE, Gran Bretagna e Giappone, decisero di rianimare la macchina inondandola di nuova moneta tramite l’acquisto sul mercato di titoli pubblici e privati. Dal 2008 al 2018, le 4 banche centrali emisero nuovi titoli per un valore di 11 mila miliardi di dollari sostenendo ch e questo avrebbe permesso alle banche ordinarie di concedere più prestiti alle imprese e stimolato investimenti, Pil e occupazione. A beneficiare della manovra, invece, furono soprattutto gli operatori finanziari che utilizzarono l’enorme massa di denaro messa a disposizione dalle banche per operazioni speculative nei paesi emergenti dove, per ricevere prestiti, si era disposti a pagare tassi interessi ben più alti di quelli in vigore nei paesi occidentali. È il carry trade: si chiede alle banche occidentali denaro a basso costo per riprestarlo a soggetti del Sud del mondo a tassi più alti
 

GAZA, L’INDOMABILE. DIARIO DI VIAGGIO 
Si dice che le opere d’arte abbiano, tra gli altri, un potere speciale, quello di aprire gli occhi. Devono crederlo – potrà stupire – anche i comandanti israeliani, che hanno ordinato nei primi giorni di agosto il lancio dei missili che hanno distrutto il più grande e bel teatro di Gaza City e il vicino Villaggio degli artisti. Quello che non potevano certo immaginare, gli strateghi del terrore di Stato, è che il giorno dopo, soltanto il giorno dopo, su quelle macerie, i ragazzi palestinesi sarebbero già stati in grado di tenere un concerto. A Gaza l’arte che non si riesce a proprio a distruggere è quella di vivere e organizzare la resistenza. Ogni giorno. Ce la racconta, con dovizia di particolari, dal Centro culturale dedicato a Vittorio Arrigoni alla Grande Marcia per il Ritorno, questo straordinario diario di viaggio di Alessandra Mecozzi, tornata ancora una volta in Palestina perché non si può restare a lungo lontani dalla terra e dalla gente che si ama. Un amore e una condivisione del dolore e della speranza che schizzano sul suo taccuino le immagini di un film che abbiamo visto tante volte senza stancarci mai. Perché offende la dignità e tiene gli occhi aperti
 

ARGENTINA NUCLEARE, NUNCA MAS!
La storia dell’opposizione all’utilizzo dell’energia nucleare in Argentina è molto lunga. Dai sogni del presidente Perón, alla metà del secolo scorso, agli anni recenti del Kirchnerismo, passando, naturalmente, per le nefaste ambizioni delle giunte militari, lo sviluppo dell’energia atomica è sempre stato un obiettivo essenziale per rafforzare le speranze tecno-scientifiche dei governi di un paese che ha sempre aspirato alla “grandezza della modernità”. L’odierna egemonia del modello estrattivista rafforza quelle minacce, a maggior ragione se si possiedono territori sconfinati e poco abitati come la Patagonia, a lungo considerata un luogo ideale per liberarsi delle scorie nocive. Soltanto in questi mesi, però, il movimento antinucleare è riuscito a darsi un’organizzazione dal basso che coinvolge l’intero paese. Nella città di Zarate, a luglio, si è tenuto il primo incontro nazionale
 

QUEL PROCESSO DEI VENTITRÉ 
Le oceaniche manifestazioni che nell’estate 2013 hanno sconvolto il Brasile e il mondo intero, come ha raccontato Raúl Zibechi su Comune, hanno visto affacciarsi una nuova cultura politica: quella dei movimenti di giovani che negli ultimi anni sono andati controcorrente e rimasti ai margini della politica. Quei giovani, di cui i grandi media internazionali non si sono più occupati, hanno aperto una strada mettendo in discussione la spesa per i “mega-eventi” (Coppa del Mondo 2014 e Olimpiadi del 2016), sostenute di fatto da quelli che vivono in basso, come accaduto in altri paesi. Per questo oggi, dopo la violenta repressione della polizia di quei giorni, arriva anche la vendetta giudiziale con il noto “Processo dei 23”, concluso con una condanna p er 21 di loro a 7 anni di prigione, e per gli altri due, a 5 anni e 10 mesi. Una sentenza grottesca nel suo orientamento chiaramente autoritario e nella sua mancanza di prove. Quei 23 giovani sono stati condannati per associazione criminale armata (del resto sono stati trovati fuochi d’artificio e una bottiglia di benzina in una casa di uno degli attivisti) e corruzione di minori, ma anche per la “personalità distorta”, cioè, come ha spiegato il giudice, perché si sono ribellati ai poteri costituiti. Ora è il momento della solidarietà dal basso (somostodos23), ma non c’è dubbio: quei giovani hanno aperto una strada, non sarà una sentenza a disperdere i semi lanciati da quei movimenti  

L’ULTIMA BRIOCHE E LA BAMBINA ZAPATISTA 
Doña Juanita, trincerata nelle cucine del CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, entra in sciopero. Il subcomandante Galeano manda un messaggero per convincerla a fare un’eccezione, in fondo le brioche sono molto nutritive. Niente da fare. Allora ricorre all’arma ultra segreta dell’ezetalene: il compa Jacinto Canek. E alla fine, grazie all’insurgenta Erika, una brioche arriva. Una sola…Un racconto letto al termine del CompARTE PER LA VITA E LA LIBERTÀ 2018 nel Caracol di Morelia, Torbellino de nuestras palabras, montagne del sudest messicano. È stato tradotto dal Comitato Chiapas “Maribel”, una stella polare che ringraziamo da oltre vent’anni. Trovate l’originale, intit olato “LA ÚLTIMA MANTECADA EN LAS MONTAÑAS DEL SURESTE MEXICANO”, come sempre su Enlace zapatista
 

UNA QUESTIONE DI SPERANZA 
Fino al voto del primo luglio in Messico dilagava la disperazione. Il risultato del voto che ha portato Andrés Manuel López Obrador alla presidenza è stato un trionfo popolare ma la gente sa quanto sia stato torbido il processo elettorale, il più violento di tutta la storia del paese. È possibile che la speranza sia salvata dalla bancarotta. Si moltiplicano iniziative che costruiscono speranze. Sono solide perché si trasformano in forza sociale. La speranza è l’essenza dei movimenti popolari e un motore efficace di mobilitazione, perché la gente si mette in movimento quando ha fiducia che la sua azione produrrà il risultato voluto. Però in certi settori ha preso forma l’illusione che il Messico possa già co ntare su un procedimento affidabile per esprimere la volontà collettiva. E’ stata confermata la loro convinzione che la pura aggregazione statistica di voti individuali sia un modo adeguato per manifestare quella volontà e che così si dia esistenza reale e vigorosa a quello che chiamano “il popolo”. Per consolidare la costruzione di speranza, questa forza sociale, è invece molto importante proteggerla dalle false illusioni che dall’alto si cerca di vendere, in particolare quelle forgiate sulla figura del messia
 

CHE FINE HA FATTO IL PRI MESSICANO?
Il regime politico messicano è stato associato per 90 anni con le successive incarnazioni del PRI [Partito Rivoluzionario Istituzionale]. Questa era è terminata. Il marchio PRI è ancora presente, così come lo Stato-nazione democratico, la forma politica del capitalismo. Ma è finita la forma politica che questo regime aveva adottato in Messico a partire dal 1928. Il primo luglio potrebbero essere stati messi gli ultimi chiodi alla sua bara 

ADDIO A URI AVNERY,UN UOMO RARO 
Quando ci lascia un uomo come Uri Avnery, il mondo diventa davvero più povero. Nei decenni che hanno scandito la storia della tragedia del popolo palestinese, i sionisti israeliani che sono stati ammirati, riconosciuti come amici e rispettati dalle vittime dell’occupazione sono davvero pochissimi. Bisogna essere delle persone eccezionali, per onestà intellettuale, senso della giustizia, passione politica e amore per la pace, la convivenza e ilriconoscimento dei diritti di tutti. Uri Avnery prese parte con convinzione alla guerra contro gli arabi del 1948, ma questo non gli impedì di vedere e raccontare le atrocità commesse contro i palestinesi che raccontò nel suo libro “Il rovescio della medaglia”, né di partecipare, molti anni più tardi, alla fondazione di una delle più radicali e rilevanti esperienze pacifiste israeliane del nostro tempo. Solo la vita di uomini come Avnery può aiutare a capire quanto sia complessa e lunga la strada da percorrere per costruire, un giorno, un vero percorso di pace in Medioriente  

LA CENTRALITÀ’ MONDIALE DEL NIGER 
Uno su mille ce la fa. Avete presente il Niger? Riuscite a collocarlo sulla caotica e frastagliata carta geografica dell’Africa saheliana? No? Ebbene, dovreste darvi da fare per aggiornare le vostre conoscenze geografiche. Perché il mondo cambia in fretta e quel paese miserabile, coperto quasi solo di arida sabbia, è diventato di prima grandezza. Non è stato facile conquistare una certa centralità economica, geopolitica e l’attenzione di un mondo attento solo ai paesi che contano e tanto distratto, ma oggi i sacrifici fatti in nome della modernità cominciano a dare i frutti sperati. Mauro Armanino, ex operaio ligure e oggi missionario al servizio dei migranti a Niamey, ci spiega come e perché attente politiche di import ed export, possano mettere un paese dimenticato al passo con i tempi 

ASINI, CINESI E AFFARI NEL SAHEL
Perfino, l’Economist, qualche mese fa, ha scritto che la pelle dell’asino è l’avorio dei nostri tempi. La domanda è esplosa da tempo soprattutto in Cina, dove la popolazione dei quadrupedi sarebbe però già da tempo dimezzata. Così, per produrre uno squisito esilir dalle proprietà strabilianti che si ricava appunto dalla pelle, si chiama ejiao, i benestanti cinesi (ma non solo, naturalmente) determinano l’assalto al mercato dei somarelli altrove, soprattutto in Africa, dove più facilmente si espande il loro potere d’acquisto coloniale. Mauro Armanino ci racconta, dunque, la corsa alla pelle dell’asino che si sviluppa in Niger, dove la funzione sociale dei “più fedeli amici dell’uomo” & egrave; ancora molto viva e insostituibile, e che sarebbe illegale come l’esportazione che invece richiede il mercato delle razzie
 

SOTTO LA PIOGGIA. LE INONDAZIONI NEL SAHEL
La pioggia nel Sahel è uno spettacolo imperdibile. Alla prima avvisaglia di temporale si annullano riunioni importanti. I pochi automobilisti, intrappolati nel traffico della capitale del Niger, corrono a rifugiarsi sotto i tre cavalcavia… Il 6 agosto il governo ha annunciato il decesso di 22 persone e circa 50 mila sfollati, di cui 2000 a Niamey. Nulla di troppo strano, se si pensa alle previsioni degli esperti e alla regolarità dell’accaduto. Una parvenza di guerra che, come sempre, colpisce i poveri. Per loro vivere è già un rischio. Quanto al Presidente, aveva programmato di rinnovare il Palazzo Presidenziale. Sarà l’Indonesia a incaricarsi dell’operazione che costerà circa 23 milioni di euro…

LA DEMOCRAZIA DOVE LA SABBIA INSEGNA
Dal 29 luglio 2011 in Niger si celebra la Giornata della democrazia e la fine del regime militare durato 15 anni. Da Nyamey, Mauro Armanino, scrive considerazioni amare mettendo a fuoco le differenze tra una democrazia presidenziale asservita agli interessi e al potere dell’Occidente, una democrazia di sabbia, che non si prende tanto sul serio e funziona a tratti come la luce della capitale in cui vive e la democrazia circondata dal filo spinato e dai campi di transito per migranti costruiti a misura degli interessi dei potenti e dei nazionalismi che dilagano in Europa. Sembra solida, quella democrazia di carta, raccontata in pagine tanto solenni, ma è liquida come il denaro che circola senza limiti di spazio e tempo. Quella democrazia esportata ha il colore delle f orze armate e delle banche, un colore che non è affatto migliore di quello della sabbia
 

SULLA VIOLENZA CONTRO I CORPI E I TERRITORI 
La resistenza delle donne in América Latina ha dato vita in questi anni ai più grandi e significativi movimenti planetari, eppure la violenza e gli omicidi, in particolare quelli legati agli interessi delle multinazionali dell’industria mineraria e, più in generale, all’estrattivismo, non accennano a diminuire. I corpi e i territori delle donne continuano ad essere oggetto di un’aggressione sistemica quanto letale. La resistenza delle contadine e delle indigene, poi, viene minacciata e repressa con particolare ferocia e ostinazione perché il loro legame con il territorio è più profondo. Le reti costruite dalle donne in ogni angolo del continente denunciano l’escalation dei tentativi di colonizzare c orpi e territori mettendo sempre più a rischio la sostenibilità stessa della vita

LA VIA APERTA DA FANON
La crescente polarizzazione tra l’uno per cento della popolazione, quello più ricco, e la metà più povera e umiliata dell’umanità indica forse una delle caratteristiche più leggibili del periodo neo-coloniale che stiamo vivendo, quello che alcuni chiamano di accumulazione per spoliazione e altri, seguendo gli zapatisti, quarta guerra mondiale. Guardare alla coerenza tra la vita e il pensiero di Frantz Fanon può aiutare molto ad affrontarlo, soprattutto quando l’autore de I dannati della terra mette il dito nella piaga sostenendo che “il colonizzato è un perseguitato che sogna in modo permanente di trasformarsi in persecutore”. Fanon guarda inoltre dritto al nucleo duro dei problemi lasciati aperti dalle rivoluzioni, per esempio alla luce di drammi come quelli che attraversa il Nicaragua. Perché i rivoluzionari si collocano nel luogo, materiale e simbolico, degli oppressori e dei capitalisti, e talvolta perfino dei tiranni contro i quali hanno lottato? Fanon non ci fornisce risposte, ma offre indizi sulle possibili vie d’uscita dal terribile circolo vizioso che riproduce l’oppressione e il colonialismo interno, in nome della rivoluzione. Le similitudini tra oppressi e oppressori possono risolversi solamente con una logica diversa da quella del potere, possiamo provare a disarmarle solo se siamo capaci di riconoscerle. Solamente la creazione del nuovo ci permette di superare le oppressioni, poiché l’inerzia reattiva tende a invertirle
 

UNO DEI GIORNI PIÙ’ BELLI DELLA MIA VITA
“Quando esco dal carcere mi gira la testa. Il mio cuore batte forte. Respiro a bocca aperta. In pochi istanti mi ritornano in mente tutti i ventisette anni di carcere, con i periodi d’isolamento, i trasferimenti punitivi, i ricoveri all’ospedale per i prolungati scioperi della fame, le celle di punizione senza libri, né carta né penna per scrivere, né radio, né tv…”. Carmelo Musumeci, 63 anni, condannato a vivere dietro le sbarre l’intera vita, è entrato in carcere con la licenza elementare e, da autodidatta, si è laureato in giursiprudenza. E’ autore di diversi libri, ma in questi ultimi anni è stato soprattutto una voce essenziale degli &ld quo;uomini ombra”, promuovendo campagne e iniziative varie contro l’ergastolo. La sua “liberazione condizionale” è una gran bella notizia per chiunque ami la libertà, una notizia da condividere anche perché è una vittoria della vita che resiste, un muro che cade, uno squarcio di luce in controtendenza tra le tormente che imperversano qui e altrove. Che sia solo il primo passo, Carmelo!

LA LINGUA ITALIANA PER ESEMPIO
Forse bisogna essere davvero un po’ matti per pensare di organizzare d’agosto, in una periferia popolare romana, una lezione tenuta da uno dei più grandi linguisti italiani viventi. Se poi lo si fa in un piccolo giardinetto piazzato sopra il caotico capolinea della linea B della metropolitana, tra Val Melaina e il Tufello, è del tutto evidente che siamo di fronte a qualcosa di più inaudito che insolito. E invece la prima uscita di “Grande come una città”, la rassegna di lezioni aperte negli spazi pubblici del III Municipio della capitale, inventata da Christian Raimo, assessore della nuova giunta appena formata da Giovanni Caudo, è stata un grande successo. Forse bisogna essere davvero un po’ matti per pensare una cosa semplice com e il fatto che la cultura e le parole, quando non sono maltrattate, vendute, distorte o buttate lì per fare “audience”, possano interessare e piacere a tanta gente. Forse, in questi primi torridi giorni d’agosto, qualcuno a Roma ha ricominciato a pensare cose semplici e grandi 
 

LA COMICITÀ PERDUTA
“Egregio signor Beppe Grillo, come sono lontani i tempi di ”Te lo do io il Brasile” quando, con la sua pungente e intelligente comicità, faceva ridere l’Italia intera. E sono ancor più lontani i tempi in cui, nei palazzetti che ospitavano i suoi spettacoli, erano presenti i banchetti delle botteghe del commercio equo… La gag della telefonata all’amico, ministro dell’interno, Matteo Salvini per chiedergli di togliere il ne*ro che si è sdraiato sul suo asciugamano, non è degna neppure delle peggiori puntate del Drive in… Un tempo, signor Grillo, Lei sosteneva le battaglie antirazziste di padre Alex Zanotelli e quelle di giustizia sociale di Don Gallo; ora, invece, marcia con chi sostiene un cristianesimo nazionalista fatto di esclusione… La s ua gag non fa ridere perché si inserisce in un contesto italiano in cui ci sono migranti picchiati e uccisi… Probabilmente è troppo tardi per tornare indietro, ma con un po’ di buona volontà potrebbe ritornare alla lezione di Fabrizio De Andrè e Paolo Villaggio, due genovesi come lei: gli autentici poeti e comici scelgono sempre di stare, con ironia e intelligenza, dalla parte degli ultimi…”. Una lettera di Matteo Saudino e Chiara Foà, insegnanti

IL TEATRO CHE ROMPE LA QUARTA PARETE 
Dal 23 agosto è andato in scena a Lucca l’undicesimo appuntamento del Meeting italiano del Teatro sociale. Si chiama Mitos ed è una straordinaria occasione per far vivere, lontano da sponsor e riflettori, un teatro rivolto alle persone, alla società, quello che tende all’interazione e a rompere la quarta parete per creare con le persone e le loro storie. C’è tempo ancora per iscriversi ai laboratori e c’è un programma fittissimo con spettacoli serali tutti gratuiti. L’edizione di quest’anno ha un centro tematico nella memoria, esplorata in tutte le sue accezioni, nessuna esclusa, ma soprattutto quella alla base del racconto, delle storie, le nostre storie, che fanno il Teatro Sociale. Quelli di Empathea tre, la Compagnia dei Salvastorie, ci hanno scritto che sentono parecchie affinità con le nostre pagine, ci fa un immenso piacere saperlo e, visto anche il programma, ne siamo davvero onorati
 

SE LE FIAMME INCENDIANO L’ARTICO
La cittadina di Jokkmokk in Lapponia è in cima alla Svezia, ai confini con il circolo polare Artico. Ha 3.100 residenti. È estate, anche qui e che estate. Le foreste sono arse, gli scorsi due mesi sono stati caldi, secchi, e tutta l’area pare un campo di battaglia. Di solito il reparto incendi ha solo tre impiegati a tempo pieno e un gruppo di volontari. Di solito si occupano di incidenti stradali o di corto circuiti. Non quest’anno. Mai si era vista una estate cosi in Svezia. È la stessa storia che si ripete, mutatis mutandis in Africa, in Siberia, California in Grecia, in Giappone, in Georgia. Ed il titolo della storia è: cambiamenti climatici. Il sottotitolo è: tutti noi

DALL’INIZIO, LE MADRI. E SENZA IL COMANDO
Capita spesso, anche in testi pregevoli e non superficiali, di imbattersi in un utilizzo del concetto di matriarcato ridotto a pura espressione speculare del patriarcato. Non siamo affatto obbligate, tuttavia, a percorrere la strettoia culturale che impone la traduzione corrente (e distorta) della parola “archè”, un “comando” delle donne o un “dominio” delle madri. Possiamo interpretare invece l’”archè” come “inizio”, sfuggendo così alla subalternità e alla prevaricazione opprimente dell’idea di dominio. Una precisazione che fornisce lo spunto per fare un po’ di chiarezza sul lessico che accompagna la nostra ricerca ed evitando definizioni fuorvianti e obsolete come quella del “governo” delle donne

VERSO L’ECOLOGIA INTEGRALE DEL LAVORO
È da questa idea di lavoro (una merce non più utile alla comunità ma strumentale al sistema, ndr) che gli Ecoautonomi prendono le distanze a partire da una rottura del patto con il consumo. Lo fanno con consapevolezza, a volte; oppure per rispondere a un malessere interiore, spesso; o per senso politico della propria esistenza. Quello che emerge dalla ricerca è che lo fanno cercando di praticare percorsi di vita integrali; integrale come lo può essere il buon pane. E lo fanno per un’istanza insopprimibile di autodeterminarsi. Scelgono la libertà. Immaginatevi una freccia, di quelle che si disegnano da bambini. La punta è la motivazione e prende di mira la libertà. È quella la motivazione forte che spinge a cam biare”. Sono parole di Lucia Bertell, studiosa femminista impegnata nella progettazione partecipata e ricerca sociale sul lavoro, venuta a mancare giovedì 30 agosto a soli 54 anni. La ricordiamo con questo articolo è tratto da una relazione preparata per l’incontro a Curno, Bergamo con Cittadinanza sostenibile 16 dicembre 2016 “Lavoro Ecoautonomo. L’obbedienza non è più una virtù”.
 

 

APPUNTAMENTI CONSIGLIATI:

14/16  SETTEMBRE GIOVINAZZO DI BARI  SCUOLA/LABORATORIO sulle “MONETE ALTRE”,

 “Strumenti di scambio e credito mutuali per le comunità e le economie solidali”

14/16  SETTEMBRE  CECINA MARE “CRISI :10 ANNI BASTANO”

Università popolare di Attac Italia

6/7 OTTOBRE – ROMA. MIRAGGI MIGRANTI
Laboratori per insegnanti, educatori, genitori sull’educazione interculturale

7 OTTOBRE – ROMA. LA SCUOLA SENZA MURA
Tavola rotonda promossa dalla redazione di Comune

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