Le storie dei braccianti che lavorano nelle campagne del Sud Italia le avevo lette. La rivolta di Nardò, la tendopoli di San Ferdinando, gli atti di violenza. Forse sapevo cosa aspettarmi. Ma l’impatto con la realtà fa sempre un rumore troppo forte. Quando sono arrivata in Calabria, prima a Lamezia, poi a Rosarno e infine a Polistena, continuavo a guardami attorno. Cercavo di capire il contesto, di entrarci in qualche modo.
La mia permanenza a Polistena si è aperta con l’incontro con lo staff: da quel momento, ogni aspetto dell’intervento tra i servizi sanitari offerti e l’orientamento socio-sanitario mi era chiaro. Visite mediche, colloqui con i pazienti, accompagnamenti in ospedale. Tutto apparentemente semplice.
Cammino per Polistena, “La Perla della Piana”, così viene chiamata. Fatico a capire il perché di questo nome, ma è nelle campagne che riesco a comprendere, a trovare delle risposte. Il Poliambulatorio ha un posizionamento particolare. È un ambulatorio fisso – nella scheda del progetto è descritto così – ma è anche di più. Due volte al giorno, una navetta raggiunge i luoghi più isolati della Piana di Gioia Tauro. Lo staff incontra i pazienti, parla con loro, li accompagna al Poliambulatorio. Mi colpisce subito questa relazione costante tra mobilità e stanzialità. Non saprei spiegarne il motivo, forse è semplicemente necessaria.
Cercare le risposte a ogni mia singola domanda in soli quattro giorni è impossibile. E allora mi concentro sugli aspetti più piccoli di questo viaggio, sugli episodi. Sulle persone.
M. è incinta, l’abbiamo accompagnata in ospedale per fare degli esami, ride e mangia di nascosto delle patatine che tiene nella borsa.
F. fa visita al Poliambulatorio ogni giorno, è diabetico, ha bisogno di controlli costanti ma forse dovrà spostarsi a Foggia, per lavorare.
I., S. e J. si addormentano sulle sedie della sala d’attesa prima di ritornare in tendopoli.
Il Poliambulatorio di Emergency a Polistena è anche questo: una pausa, uno spazio di sospensione dalla realtà. Che è lì, subito fuori. Nel viaggio di ritorno verso la tendopoli, insieme a tutti i pazienti, vado anche io. Il mio sguardo durante quella visita mi fa capire quanto diamo per scontata una serie di aspetti “normali” della nostra quotidianità. Avere una casa, una strada su cui camminare, del cibo. Ma cos’è la normalità? Ecco Polistena: mettere in discussione ogni punto, ogni certezza, ogni significato. I confini, ad esempio, qui esistono. E niente esiste per caso: le condizioni di marginalità della tendopoli sono cercate, create. Le biografie in quella sala d’attesa raccontano traiettorie obbligate, determinate da intenzioni politiche, normative. Anche queste tende hanno una voce, chiara e forte, quella di chi ci vive: “Non abbiamo acqua, da giorni”.
Mi tornano in mente le parole di Giorgio, infermiere, dopo avermi chiesto come sto. “È giusto vedere tutto questo”. Non c’è niente di più vero.
— Serena, da Polistena
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