Dopo quello di settembre, conclusosi con una sonora sconfitta legale e il pagamento di un congruo indennizzo da parte di Granarolo, ieri l’azienda ha comunicato l’ennesimo licenziamento in tronco (il nono negli ultimi 8 mesi).
Comunicato stampa 09/08
Granarolo licenzia!
L’azienda prosegue nei comportamenti illegittimi e antisindacali e licenzia per ritorsione un delegato sindacale COBAS.
Ma cosa c’è dietro?
Dopo quello di settembre, conclusosi con una sonora sconfitta legale e il pagamento di un congruo indennizzo da parte di Granarolo, ieri l’azienda ha comunicato l’ennesimo licenziamento in tronco (il nono negli ultimi 8 mesi).
Questa volta, però, a farne le spese è stato Paolo Porta, dipendente Granarolo eletto lo scorso anno delegato sindacale per la Confederazione COBAS.
Paolo è stato licenziato ieri, prendendo a preteso l’affissione di un volantino sindacale sulla bacheca aziendale, con una comunicazione da parte dell’azienda che, se non fosse per l’atteggiamento violento, intimidatorio e antisindacale, avrebbe degli aspetti comici ai limiti del grottesco.
Per dare un’idea, il chiaro intento satirico del materiale affisso, secondo Granarolo “offende gravemente la reputazione e l’onore dei Suoi Superiori”, costituisce una “gravissima condotta lesiva del patrimonio morale dell’uomo” e costituirebbe addirittura un vulnus “dei canoni costituzionali che impongono sempre e comunque il rispetto della dignità e dell’onore della persona umana e dell’impresa”.
E tutto questo per un semplice volantino corredato da una vignetta!
A fronte di tali pretestuose motivazioni, tanto pompose da sfociare nel farsesco a fronte dell’esiguità di quanto realmente accaduto, i COBAS hanno tentato di replicare che la Costituzione e lo Statuto dei lavoratori tutelano la libertà di espressione, a maggior ragione all’interno della dinamica sindacale e che la satira è sempre stata una delle modalità utilizzate nell’ambito della comunicazione sindacale e politica.
Ma il tentativo di far prevalere il buonsenso è purtroppo stato vano: sempre secondo Granarolo, infatti, “la libertà sindacale non può mai travalicare i limiti del decoro dell’impresa datoriale e deve avere come parametro il rispetto dell’onore, della reputazione e del prestigio del datore di lavoro”.
Ma quali sono le reali ragioni di tale ingiustificata ed illegittima decisione da parte di un’azienda che – almeno a parole – fa del “codice etico” la propria mission imprenditoriale?
Il coordinatore Cobas Alessandro Palmi spiega come “Granarolo si trova in una fase di una trattativa sindacale tesa e complessa in vista dei piani che prevedono una sua profonda riconversione industriale.
E, da quando siamo entrati in azienda lo scorso anno, la nostra volontà di agire con trasparenza nella difesa dei diritti di tutti i lavoratori e lavoratrici di Granarolo è da subito risultata scomoda e mal tollerata”.
“Però” aggiunge “non ci aspettavamo che tale nervosismo arrivasse fino a mettere in campo azioni violente ed inconsulte come il licenziamento in tronco di un delegato sindacale in carica”.
Pare chiaro quindi l’intento di colpire l’intera attività sindacale attraverso l’attacco personale ad un delegato legittimamente eletto, per imporre un clima intimidatorio al fine di tacitare chi sta svelando i reali intenti di questa tornata di ristrutturazione, in modo da gestire i trasferimenti e i sempre più numerosi allontanamenti dal lavoro.
Sempre secondo i dati forniti dai COBAS, infatti, la Granarolo sta portando avanti una politica di licenziamenti nei confronti dei lavoratori a tempo indeterminato con più anzianità.
“Nell’ultimo anno – racconta ancora Palmi – sono sempre più numerosi i casi di dipendenti che sono stati licenziati o allontanati, per poi procedere alla loro sostituzione con interinali e cooperative, evidenziando proprio una pratica gestionale consolidata e fortemente sostenuta dell’azienda.
Ogni pretesto è buono per licenziare le persone con anzianità e contratti stabili per poter ridimensionare l’impianto e gestire il personale interinale assunto secondo le nuove regole, che prevedono salari più bassi, maggior flessibilità e meno diritti”.
“Per questo” conclude “non è ammissibile che venga operata né censura né tanto meno la violenta repressione dell’espressione di legittimo dissenso”.
Chiarito questo (anche nelle aule di tribunale), rimane il fatto che per tutti i lavoratori un tale comportamento arrogante, antidemocratico e violento da parte dell’azienda non può rimanere senza una adeguata risposta.