La Corte Penale Internazionale deve indagare sulla responsabilità di attori politici e industriali europei per le complicità nei presunti crimini di guerra nello Yemen
Caccia Eurofighter e Tornado, bombe della serie MK80 e altro ancora: le armi europee vengono utilizzate nella guerra nello Yemen, ne esistono ampie e affidabili prove. Pertanto è possibile che dirigenti delle aziende armiere e funzionari pubblici in capo alle licenze di esportazione stiano potenzialmente aiutando e promuovendo presunti crimini di guerra commessi dalla Coalizione militare guidata da Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti in Yemen? Questa domanda è al centro di una nuova Comunicazione – aggiornata con le più recenti informazioni – presentata all’Ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) l’11 dicembre 2019.
In tale Comunicazione congiunta il Centro europeo per i diritti costituzionali e umani (ECCHR), la Ong yemenita Mwatana per i diritti umani, Amnesty International, la Campagna britannica contro il commercio di armi (CAAT), il Centro Delàs di Barcellona e la Rete Italiana per il Disarmo hanno invitato il Procuratore a indagare sulla responsabilità legale degli attori politici e delle imprese in Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito.
La comunicazione si concentra sul ruolo delle seguenti società: Airbus Defence and Space S.A. (Spagna), Airbus Defence and Space GmbH (Germania), BAE Systems Plc. (Regno Unito), Dassault Aviation S.A. (Francia), Leonardo S.p.A. (Italia), MBDA UK Ltd. (Regno Unito), MBDA France S.A.S. (Francia), Raytheon Systems Ltd. (Regno Unito), Rheinmetall AG (Germania) tramite la controllata RMW Italia (Italia) e Thales (Francia).
Nonostante gli attacchi documentati alle case civili, ai mercati, agli ospedali e alle scuole condotti dalla Coalizione militare guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti molte compagnie a produzione militare transnazionali con sede in Europa hanno continuato e continuano a fornire ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti armi, munizioni e supporto logistico. E funzionari dei Governi europei hanno autorizzato le esportazioni concedendo licenze in tal senso.
“Gli attacchi aerei della Coalizione a guida saudita hanno causato una terribile distruzione nello Yemen. Le armi prodotte ed esportate dagli Stati Uniti e dall’Europa hanno permesso questa distruzione. Nel quinto anno di questa guerra, le innumerevoli vittime yemenite meritano inchieste credibili su tutti gli autori di crimini contro di loro, comprese tutte le potenziali complicità. Speriamo che la Corte possa svolgere un ruolo positivo nell’iniziare a colmare l’attuale enorme mancanza di trasparenza e di obbligo a rendere conto delle responsabilità di quanto accade nello Yemen” ha dichiarato Radhya Almutawakel presidente dell’organizzazione yemenita Mwatana per i diritti umani.
“Le società europee – e indirettamente gli Stati europei – hanno tratto profitto dalle esportazioni di armi verso la Coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Allo stesso tempo, queste armi sono utilizzate nello Yemen in violazioni del diritto internazionale umanitario che possono equivalere a crimini di guerra” ha sottolineato Linde Bryk, consulente legale presso ECCHR, per conto delle organizzazioni che hanno presentato la Comunicazione “Chiedendo un’indagine su dirigenti aziendali e funzionari governativi, la Comunicazione punta a valutare le azioni di coloro che vendono armi a Paesi noti per aver commesso crimini di guerra”.
La Comunicazione di 350 pagine redatta dall’ECCHR con il contributo di tutte le organizzazioni coinvolte e corroborata da prove raccolte sul campo da Mwatana in Yemen descrive in dettaglio 26 attacchi aerei condotti dalla Coalizione a guida saudita che potrebbero equivalere a crimini di guerra ai sensi dello Statuto di Roma.
“Questa iniziativa della società civile europea e yemenita dimostra come solo a livello internazionale si possano contrastare e bloccare i trasferimenti problematici di armi che portano ad attacchi contro i civili. La configurazione transnazionale dell’industria militare (e il sistema di licenze da parte dei Governi) lo richiede. Per Rete Disarmo si tratta di un ulteriore passo importante dopo l’azione legale in Italia promossa anche da noi nel 2018: non possiamo più tollerare che aziende italiane, addirittura controllate dallo Stato, possano in qualche modo essere coinvolte in violazioni di diritti umani o del diritto internazionale umanitario”, ha commentato Francesco Vignarca coordinatore di Rete Italiana per il Disarmo.
Sono a disposizione dei giornalisti che ne facessero richiesta un Case Report e una lista di “Domande e risposte” sul caso presentato alla Corte Penale Internazionale
L’Aia – Roma, 12 dicembre 2019