Legambiente “Nessuna strumentalizzazione di una vicenda delicata e di importanza strategica per gli equilibri ecologici dell’area protetta”
Il tema della gestione faunistica all’interno di un’area protetta è questione assai delicata e per nulla semplice nella sua corretta applicazione. Implica infatti attenzione al mantenimento degli equilibri ecosistemici dell’area di interesse, considerazione per le varie sensibilità assai variegate nella società, tutela degli interessi collettivi e di comunità. La problematica è di ancor più difficile approccio se ci riferiamo ad un Parco, come quello nazionale del Circeo, che già vive di forti contraddizioni in uno scenario naturalistico di grande valore, ma che da sempre convive in un delicato e precario equilibrio tra emergenze ambientali straordinarie e fattori di pressione antropica (o di sua derivazione) come difficilmente possono essere riscontrati in altre aree protette.
Proprio per questo, la polemica che sta riguardano in questi giorni il piano di gestione dei daini all’interno del Parco, ha assunto in vari casi toni non solo eccessivi, ma anche inappropriati e del tutto fuori luogo per una vicenda che andrebbe affrontata con l’onestà intellettuale di chi, dati alla mano, dovrebbe avere tutto l’interesse di verificare, approfondire, studiare una questione tecnicamente complessa che implica decisioni gestionali fondamentali per la sopravvivenza di uno dei più delicati parchi nazionali italiani ed unico interamente appartenente al Lazio. E se vogliamo salvaguardare questo prezioso scrigno di biodiversità, non si può non affrontare il tema del soprannumero di ungulati introdotti dall’uomo, tra cui anche il daino che è specie del tutto alloctona per il Circeo, come del resto si è fatto con lungimiranza anche in altre aree protette del nostro Paese. Invece la questione, abbiamo osservato, è divenuta talora oggetto di strumentalizzazione per chi ha interesse a cogliere ogni pretesto per attaccare l’istituzione Parco.
Il “Piano gestionale di controllo del daino nella foresta demaniale” spiega, con dati scientifici, i rischi per un’area come la foresta demaniale del Parco che ospita una densità complessiva di daino più che doppia rispetto alla capacità portante massima prevista, ed una consistenza generale della popolazione che presenta ulteriori margini di crescita, soprattutto nelle aree dove la densità di individui non è ancora al limite soglia. L’aver introdotto una specie del tutto aliena per il contesto negli anni passati in espansione incontrollata per l’assenza anche di predatori naturali (scomparsa localmente del lupo), ha comportato conseguenze distruttive che rischiano di diventare irreparabili sulla componente vegetale della foresta, con effetti a cascata su tutto l’ecosistema. Il rischio è quello di perdere per sempre un pezzo importante del Parco nazionale. A questa problematica si aggiunge quella della sicurezza stradale visto il tasso di incidentalità per collisioni con veicoli in costante crescita nelle strade e nelle migliare di pertinenza. Del resto, l’esigenza gestionale del problema è sottolineata da ISPRA che ha elaborato delle specifiche “Linee guida della gestione degli Ungulati – Cervidi e Bovidi” sulla base delle cui indicazioni è stato redatto il Piano stesso.
La necessità di gestire le popolazioni di daino, da questo punto di vista, non è molto differente da quella riguardante le popolazioni soprannumerarie di cinghiale, di cui pure si è parlato, ma nei confronti della quale però non si sono ascoltate medesime prese di posizione o toni esasperati. Non vorremmo pensare ad una logica discriminatoria in tal senso, ma possiamo attribuire questa mancata equità di trattamento nei confronti delle due specie alla semplice mancanza di una cultura scientifica in questo Paese che porta molto spesso a trattare argomenti non con il dovuto grado di approfondimento ma semplicemente basandosi sulle sollecitazioni emotive del momento. Ricordiamo, tra l’altro, che il piano del parco di contro, nelle sue previsioni, contempla la possibilità di reintrodurre invece il capriolo, ungulato autoctono della zona e scomparso nel corso del tempo per cause antropiche. L’azione di ridimensionamento della specie alloctona va inquadrata anche in questa prospettiva, ma questo è un aspetto che rimane sempre scarsamente considerato.
Se ci si chiede se questo sia sufficiente per ignorare anche gli aspetti morali ed etici che molte sensibilità del mondo ambientalista giustamente richiamano, la risposta è ovviamente no. Ricordando che l’eradicazione o il controllo non vogliono dire solo abbattimenti, ma anche trasferimenti ad altri sistemi, anche su questo, sarebbe stato sufficiente sfogliare le pagine del Piano gestionale di controllo del daino per scoprire che è raccomandato l’utilizzo di metodi di rimozione diretta e tra questi, la telenarcosi e la tecnica della cattura tramite recinti movibili che è quella da perseguire in via prioritaria. Ancora più in generale il Piano, viste le finalità, contempla non solo l’eradicazione della popolazione di daino, ma in alternativa una sua gestione permanente a bassissime densità.
“Auspichiamo pertanto – commentano Stefano Raimondi presidente del Circolo Legambiente Larus di Sabaudia e Roberto Scacchi presidente di Legambiente Lazio -, in un clima di rasserenamento degli animi nell’interesse della conservazione della biodiversità e della sopravvivenza della foresta demaniale, la realizzazione degli interventi di contenimento della popolazione di daino del Parco nazionale del Circeo tramite forme non cruente di prelievo, e di individuare aree o contesti territoriali disponibile ad “adottare” gli animali prelevati magari dopo opportuna sterilizzazione anziché procedere, ove le condizioni lo consentano, ad un eventuale abbattimento. Pensiamo ad esempio ad un trasferimento, previo accordo tra entri, nei parchi regionali più prossimi o in altre riserve faunistiche comunque del territorio nazionale atte all’accoglimento”.
Ufficio Stampa Legambiente Lazio
COMUNICATO STAMPA – 10/01/2020