“Mine injuries”, “ferite da mina“, leggo sulle schede davanti ai loro letti.
E. e N. hanno 9 e 10 anni. La guerra si è portata via la loro infanzia in un secondo.
E. viene da un villaggio della Valle del Panshir. Stava giocando in un campo vicino a casa quando ha raccolto da terra un oggetto che è esploso poco dopo. Suo padre, poco dopo l’esplosione, lo ha portato al nostro ospedale di Anabah, dove gli abbiamo fornito le prime cure.
Una volta stabilizzato, lo abbiamo trasferito a Kabul. Per colpa di quel “gioco sbagliato”, E. ha perso l’occhio destro; sulla mano sinistra sono rimaste solo due dita e il suo corpo è ricoperto di ferite ad alto rischio di infezione.
Per questo motivo, ogni volta che viene medicato deve essere portato in sala operatoria: lì, sotto sedazione, ci prendiamo cura del suo corpo martoriato.
Anche N. è stato colpito da uno di quegli ordigni vigliacchi. È arrivato, anche lui insieme a suo padre, da un villaggio della provincia di Herat, vicino al confine con l’Iran. Ha perso entrambi gli occhi, il naso, parte della mandibola. Addome, braccia e gambe contano innumerevoli ferite.
Durante il giro visite mattutino, entrando nel reparto che lo ospita, vedo N. piangere e lamentarsi del dolore che prova. Chi può davvero capire il suo dolore? Quando suo padre gli si avvicina premuroso, sussurrandogli qualcosa all’orecchio e accarezzandogli la testa, N. smette di piangere.
Ha già perso la figlia l’anno scorso, il lavoro da contadino non gli garantisce granché da vivere e quel figlio che accudisce dolcemente, forse, è l’unica speranza che gli rimane.
I due papà restano sempre accanto ai loro figli. In reparto, durante le sessioni di fisioterapia, per aiutarli a mangiare… Nelle ore più calde di questi giorni li portano a fare un giro nel giardino dell’ospedale ed è lì che li incontro tutti i pomeriggi.
Vedo i due papà parlarsi, probabilmente stanno condividendo il dolore che li accomuna. Forse stanno cercando il modo di sostenersi a vicenda per tentare di superarlo.
Di una cosa sono certa: quell’amore che unisce padre e figlio è così dolce e puro che, per un istante, lascia intravedere qualcosa di bello in mezzo all’orrore di questa guerra.
— Caterina, staff di Emergency |