Con l’approssimarsi del 75° anniversario della vittoria sul nazismo, ci saranno infinite occasioni e necessità di tornare sul tema dello scatenamento della Seconda guerra mondiale.
Facendo seguito alle polemiche Varsavia-Mosca, per le parole di Vladimir Putin, che il 19 dicembre aveva definito l’ambasciatore polacco in Germania dal 1934 al 1939, Józef Lipski, “canaglia e porco antisemita”, giovedì 9 gennaio il Sejm polacco (la Camera bassa del Parlamento) ha adottato una risoluzione che eguaglia responsabilità naziste e sovietiche per lo scoppio della guerra.
E lo ha fatto a tempo di record: appena un paio di giorni prima, la proposta era stata avanzata da una dei cinque vice-Marescialli del Sejm, Ma?gorzata Kidawa-B?o?ska, di Platforma Obywatelska (Piattaforma Civica), il partito di Donald Tusk. Giustappunto in coincidenza col 75° dell’inizio dell’operazione “Vistola-Oder”, che portò alla liberazione della Polonia, al prezzo di 600.000 caduti sovietici, e alla vigilia del 75° della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, per la quale ricorrenza il presidente polacco Andrzej Duda pare deciso a rifiutare l’invito israeliano a Gerusalemme del prossimo 21 gennaio, offeso dal fatto che Putin sia presente quale “ospite principale”.
Dunque, cosa dice, in sostanza, la risoluzione, dal titolo “Sejm przeciw manipulacji i zak?amywaniu historii przez polityków Federacji Rosyjskiej” (Il Sejm contro manipolazioni e menzogne sulla storia dei politici della Federazione Russa), un calco, forse anche un po’ sbiadito, dello scandaloso obbrobrio del parlamento europeo del 19 settembre?
“Il Sejm della Repubblica di Polonia condanna le dichiarazioni provocatorie e non corrispondenti a verità dei rappresentanti di organi supremi della Federazione Russa, che tentano di far ricadere sulla Polonia la responsabilità per l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. La dignità di una nazione e le relazioni tra Stati non possono essere costruite su bugie e falsificazioni della storia”. Inoltre: “due regimi totalitari dell’epoca” portarono all’inizio della Seconda guerra mondiale, “Germania nazista e Unione Sovietica stalinista e, dopo la conclusione del vergognoso Patto Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939, la Polonia e i Paesi dell’Europa centrale e orientale furono le prime vittime” dei due regimi totalitari. “Il Sejm rende onore alle vittime del totalitarismo nazista e sovietico ed esprime l’auspicio che la storia del loro martirio non venga mai falsificata o sia oggetto di approcci strumentali”.
Questo il succo. Tra il 19 dicembre, allorché Putin aveva dato quel lusinghiero giudizio su Józef Lipski, e il 9 gennaio, c’era stato uno scambio “diplomatico” serrato tra ambasciata russa a Varsavia, Primo ministro polacco Mateusz Morawietskij e la cosmetista Georgette Mosbacher, oggi ambasciatrice USA in Polonia.
Mosca afferma che “alcuni paesi europei stanno cercando di riscrivere la storia”, e Putin cita documenti comprovanti la collusione di Polonia e Germania nazista. Morawietskij dichiara che il Patto Molotov-Ribbentrop non era un “patto di non aggressione“, bensì il “prologo di crimini inimmaginabili commessi negli anni successivi da entrambe le parti“: in pratica, accusa l’URSS, al pari della Germania hitleriana, per lo scoppio della guerra.
L’ambasciata russa risponde che Morawietskij “non dice nulla di nuovo. Non dice nulla sulle affermazioni del Presidente russo, sulla politica di pacificazione con la Germania hitleriana, perseguita dalle potenze occidentali e dalla Polonia fino a 1939, sul rigetto – con l’attiva partecipazione della Polonia – degli sforzi dell’URSS per la sicurezza collettiva di fronte alla minaccia fascista; nulla sulla vergognosa cospirazione di Monaco, dopo la quale Polonia e Germania si spartirono il territorio cecoslovacco; nulla, sugli atteggiamenti antisemiti nella Polonia anteguerra“.
Per quanto riguarda i twitteraggi della Mosbacher, su “Hitler e Stalin che cospirarono per iniziare la Seconda guerra mondiale“, dall’Ambasciata russa twittano “Spettabile signora ambasciatrice, pensa davvero di saperne più di storia che di diplomazia?“.
Ora, davvero non mancheranno occasioni di tornare sul tema. Per limitarsi allo specifico della risoluzione del Sejm e dell’ambasciatore polacco nella Germania nazista, Józef Lipski, pare sufficiente dire che Lipski e il suo Ministro degli esteri Józef Beck, d’accordo con Hitler, avevano lavorato sulla questione della deportazione degli ebrei dalla Polonia, in Africa continentale o in Madagascar.
Come ricorda Valerij Usa?ëv su news-front.info, nello stenogramma della conversazione tra Beck e Hitler è detto: “È possibile che il Führer, per la soluzione della questione ebraica, possa provvedere a un territorio in Africa, che potrebbe essere usato per insediarvi non solo gli ebrei tedeschi, ma anche quelli polacchi“.
Lo stesso Lipski, nelle sue memorie Diplomatico a Berlino: documenti e ricordi, scrive: “Hitler fu colto dall’idea di risolvere il problema ebraico per mezzo dell’emigrazione nelle colonie, d’accordo con Polonia, Ungheria e forse anche Romania (a questo punto, risposi che se ciò aiuterà a risolvere la questione, gli dedicheremo un bellissimo monumento a Varsavia)”.
Appunto, “canaglia e porco antisemita”.
Per quanto riguarda il documento del Sejm del 9 gennaio e il conseguente divieto “di interpretazione della storia”, Stanislav Stremidlovskij sostiene su Vzgljad che questo può sfociare in “un procedimento penale contro chi metta in discussione il punto di vista ufficiale di Varsavia sulla guerra”, e ricorda come, a suo tempo, si fosse cercato di modificare la legge “Su l’Istituto della memoria nazionale“, per perseguire penalmente chi parlasse delle responsabilità polacche nella persecuzione degli ebrei.
Sempre su Vzgljad, il presidente dell’Associazione russa di studi baltici (RAPI) Nikolaj Meževi?, dice che “Fino a non molto tempo fa, nelle discussioni scientifiche polacche erano presenti punti di vista alternativi. Oggi non più. Non possono ammettere che il governo polacco abbia commesso una serie di errori nel 1939. I russi possono commettere errori; possono commetterli i tedeschi; ma i polacchi non possono sbagliare. Da qui, il desiderio di vietare tutto per legge“.
Per il polacco moderno, dice Meževi?, la negazione di un certo insieme di valori rappresenta un crimine di pensiero. “Affermare che Mosca nel 1939 aveva le proprie ragioni, equivale a estraniarsi dalla società, perdere il lavoro, essere estromessi dalla chiesa, dalle amministrazioni locali. E’ peggio che rubare o non andare a messa la domenica”.
Naturalmente, tanto la “risoluzione” del parlamento europeo, quanto quella del Sejm – d‘altronde, non erano stati forse proprio polacchi e baltici gli ispiratori “ideali” di quell’obbrobrio di quattro mesi fa? – con il pretesto della “verità storica” perseguono obiettivi molto attuali: il primo, la messa al bando del comunismo; il secondo, dato che quel bando già ce l’ha, trova un alibi in più per reprimere le manifestazioni di protesta contro l’ennesima “riforma” giudiziaria” volta, come dichiarato da Morawietskij a Die Welt, a fare come in Germania dopo il 1989, quando furono estromessi il 30% dei giudici della DDR, perché “troppo strettamente legati al regime totalitario”. In Polonia, “negli anni ’90 i giudici comunisti hanno modellato i loro successori”.
Dunque, vanno estromessi. Glielo chiede l’Europa?
di Fabrizio Poggi