[Una riflessione a latere del “trilemma di Rodrik”.]
Come noto le opzioni che Dani Rodrik propone in “The Globalization Paradox” sono le seguenti:
1) è possibile limitare le democrazie nazionali, al fine di minimizzare i costi di transazione internazionali e ottimizzare gli scambi, trascurando le ripercussioni che l’apertura globale dei mercati ciclicamente creano per le popolazioni;
2) è possibile, al contrario, limitare l’apertura dei mercati ai processi della globalizzazione, per preservare le popolazioni e le democrazie;
3) sarebbe possibile idealmente ‘salvare capra e cavoli’, cioè mantenere un governo democratico e una forma di globalizzazione generalizzata, se il governo si spostasse dalla dimensione nazionale a quella mondiale.
Il trilemma ha una sua cogenza logica difficilmente aggirabile.
Se si conservano democrazie nazionali, queste tenderanno ad opporsi ai processi in cui gli spostamenti illimitati dei fattori di produzione – a partire dai capitali – producono severi danni sociali (delocalizzazioni, migrazioni, crisi finanziarie, deflusso di capitali, ecc.).
Che questo accada costantemente in gran parte del mondo è troppo ovvio per doverlo rimarcare. Di volta in volta il sistema genera una minoranza di vincitori provvisori e una maggioranza che subisce destabilizzazioni in termini di perdita di diritti sociali e peggioramento delle condizioni di lavoro. La globalizzazione è un sistema altamente mobile ed instabile, e lo è per necessità interne, dunque questi esiti, queste ‘crisi’ non sono l’eccezione, ma la regola.
Il sistema delle libere transazioni internazionali non si regola da solo.
Questo dato apre in verità ad un dilemma, che è l’unico a presentare le opzioni di fondo realisticamente percorribili:
A) o si sacrifica il potere di protesta democratico di fronte alle difficoltà, nel nome dell’ideologia del libero commercio (e questa è l’opzione preferita dai liberisti e mediamente dai ceti privilegiati, che stigmatizzano come ‘irrazionale populismo’ le proteste dei perdenti nel sistema);
B) oppure si sacrifica l’ideologia del libero commercio e la si (ri)sottopone a regolamentazione severa, arginando la libertà di spostamento di capitali, merci e forza lavoro;
esiste poi la presunta terza opzione, quella che – come osserva lo stesso Rodrik – è quella più gettonata tra gli studenti cui egli si rivolge:
C) la terza opzione sarebbe quella di un governo democratico mondiale. In linea di principio un governo democratico mondiale potrebbe dare ascolto a tutte le voci di protesta di fronte ad asimmetrie e squilibri del sistema, e potrebbe operare compensazioni (redistribuzioni), proprio come oggi possono avvenire all’interno di uno stato nazionale.
L’opzione C), pur non avendo la benché minima plausibilità di realizzarsi nel mondo che noi conosciamo, ha in effetti un enorme potere ideologico di distrazione, in particolare presso i ceti sedicenti colti, in quanto ha dietro di sé una secolare tradizione illuministica e liberale (si pensi al Kant dell'”Idea universale di una storia dal punto di vista cosmopolitico”), e in quanto si confà perfettamente alla falsa coscienza dei ceti privilegiati.
Questi ceti utilizzano queste forme ideologiche per esorcizzare e rimuovere dalla vista i problemi che la storia reale continua a proporre, ma che a loro avviso non sarebbero problemi decisivi perché in linea di principio, un bel dì, potrebbero essere risolti se solo ci fosse un governo democratico ed illuminato del mondo.
“Ahimé, purtroppo l’uomo è ottuso e malvagio, e non si riesce ancora a pervenire a questa realizzazione utopica, ma noi non ci lasciamo scoraggiare e continueremo ad aspirarvi nobilmente. (Possiamo aspettare, noi).>”
Ora, ciò che è utile rilevare a questo punto è come le realizzazioni storiche di grandi unificazioni politiche di differenti nazioni su vaste estensioni geografiche hanno storicamente un nome ben preciso.
Il loro nome è Imperi.
La caratteristica tipica degli imperi, dall’Impero Romano al Sacro Romano Impero Germanico, dall’Impero britannico all’odierno semi-impero americano (e all’Impero euro-tedesco in fieri) è sempre quella di:
a) agire promettendo pace e prosperità universale;
b) avere figli e figliastri, non essendo in grado di riconoscere eguale dignità a interessi di popolazioni e luoghi difformi e distanti (periferici rispetto al centro del potere);
c) intervenire in maniera autoritaria e spesso spietata verso tutti i gruppi che non si adeguano alla propria visione (per definizione saggia ed illuminata).
Ora, ciò che non capiscono, e che non ammetterebbero mai di fronte a sé stessi, tutti quelli che favoleggiano di governi sovranazionali dotati di superiore saggezza e lungimiranza è che il loro ideale effettivo è precisamente quello di un Impero che tuteli i propri interessi correnti.
Sono imperialisti che coprono – anche ai propri stessi occhi – la callosità della tutela dei propri interessi con fiabe di armonia mondiale, evitando rigorosamente di prendere in considerazione lo strabismo e i doppiopesismi strutturali dei propri “sovrani illuminati”.
Di fatto gli odierni ‘idealisti’ che rigettano inorriditi il “Dilemma reale” di cui sopra (A o B), utilizzano l’opzione ‘ideale’ C per poter continuare a godere delle proprie posizioni di privilegio senza dover rimettere in discussione nulla: imperialisti che si scambiano a vicenda attestati di bontà.
di Andrea Zhok (Professore di Filosofia Morale all’Università di Milano)
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-imperialisti_a_loro_insaputa/82_33171/