Continua il lavoro di raccolta testimonianze, inchiesta, valutazioni e prese di posizione in merito alla situazione carceraria, nell’ambito dell’emergenza Coronavirus. L’avvocato Benedetto Ciccarone del foro di Milano entra nel merito delle misure adottate e di quelle già previste, e della loro reale attuabilità.
Avvocato, ci spiega in maniera sintetica e comprensibile le misure cosiddette “svuotacarceri” contenute nel Decreto Legge “Cura Italia”?
Le misure sono contenute negli art.. 123 e 124 del decreto legge comunemente noto come Cura Italia.
La misura di cui all’art. 123 riguarda la possibilità di scontare gli ultimi 18 mesi o meno di pena presso il domicilio.
Si tratta in realtà di una misura già prevista nell’ordinamento dalla legge 199/2010 chiamata svuotacarceri e dalle successive modifiche. La novità riguarda solo la semplificazione della procedura per accedere al beneficio che dovrebbe comportare tempi meno dilatati. Ad esempio, se in precedenza il magistrato di sorveglianza prima di decidere doveva attendere che il carcere trasmettesse una relazione sulla condotta del richiedente ora, con la nuova normativa, la relazione può essere omessa.
Sono esclusi dal beneficio non solo tutti quei detenuti che già erano esclusi dalla svuotacarceri del 2010, ma anche quelli che abbiano riportato sanzioni disciplinari per fatti di rivolta e anche quelli nei confronti dei quali sia stato redatto rapporto per le rivolte del 7 marzo u.s.
La distinzione non è di poco conto perché avere riportato una sanzione disciplinare significa aver subito un procedimento disciplinare in esito al quale è stata comminata una sanzione, mentre invece aver ricevuto un rapporto disciplinare significa solo essere stati segnalati senza che abbia avuto luogo un procedimento disciplinare. Questo vuol dire che un soggetto segnalato per errore che poi dovesse essere riconosciuto estraneo ai fatti in sede di procedimento disciplinare non potrà comunque allo stato attuale accedere al beneficio.
Pertanto la svuotacarceri non ha ampliato per nulla la platea dei possibili beneficiari della vecchia svuotacarceri, anzi si rivela ancor più rigorosa quanto alle modalità.
Innanzitutto le scarcerazioni sono previste in modo graduale a partire dai detenuti con residui di pena minori le cui domande richiedono comunque tempo per essere esaminate per vedere che non rientrino tra le categorie escluse.
In secondo luogo, perché i detenuti con residuo di pena superiore ai 6 mesi devono rilasciare il consenso all’applicazione del braccialetto elettronico.
L’attuale limitata disponibilità dei dispositivi avrà due conseguenze: 1) molti detenuti che hanno diritto al beneficio non potranno fruirne per mancanza dei dispositivi 2) quelli che fruiranno del beneficio con braccialetto elettronico impediranno la scarcerazioni di persone in custodia cautelare in carcere che potrebbero ottenere la misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico qualora essi fossero disponibili.
La seconda misura riguarda le licenze ed i permessi premio per i detenuti in semilibertà che sono quelli che escono dal carcere la mattina per rientrarvi la sera. A costoro può essere concessa la possibilità di restare a dormire a casa nella forma dei permessi premio che possono essere concessi anche oltre i limiti stabiliti dalle normativa ordinaria.
Pensa che le misure adottate siano sufficienti? Quanti sono i carcerati che potrebbero realmente usufruirne? Quali le problematiche?
In una lettera dal carcere di Torino dove è rinchiusa Nicoletta Dosio, portavoce del Movimento No TAV, scrive:
“Per accedere alle misure sostitutive della galera, si dovrebbe compilare un modulo che non è ancora disponibile (anche se preannunciato e atteso con impazienza). Tale possibilità riguarda comunque una minima parte dei detenuti e non si annuncia immediata, nonché sarebbe subordinata alla lista di braccialetti elettronici”.
Se è davvero così, i tempi per una eventuale scarcerazione anche di chi potrebbe uscire sembrano tragicamente lunghi.
A suo parere, quali misure andrebbero invece prese per risolvere efficacemente il problema?
Le misure previste sono evidentemente gravemente insufficienti, in quanto non ampliano il numero delle persone che potrebbero accedere ai benefici, ma tagliano semplicemente i tempi rendendo solo più rapide scarcerazioni che avrebbero comunque dovuto aver luogo. La verità è che la previgente situazione era di grave illegalità perché, pur essendovi una legge che prevedeva l’esecuzione presso il domicilio di pene complessive o residue non superiori a 18 mesi, tale legge a causa dei tempi e dei passaggi necessari restava lettera morta.
La mole delle domande da esaminare e le giuste osservazioni di Nicoletta Dosio fanno capire che, anche con tale modifica, i tempi saranno comunque molto lunghi e quindi che molti detenuti, specialmente quelli con pene più brevi, potrebbero non riuscire a beneficiare delle disposizioni e che quindi l’effetto di riduzione della popolazione carceraria per ridurre i rischi connessi ad un possibile contagio in carcere in realtà non potrà verificarsi.
Le misure efficaci da intraprendere sarebbero le seguenti:
a) un indulto per pene detentive fino ad un certo limite (almeno 3 anni) ed una amnistia per i reati di minore gravità. L’indulto del 2006 ebbe come effetto la scarcerazione di oltre 16 mila detenuti nell’arco di un mese. Con l’amnistia per alcuni reati minori si avrebbe invece anche un impatto deflattivo sulla macchina giustizia con liberazioni di risorse.
b) limitare il ricorso alla custodia cautelare alle sole ipotesi di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Attualmente oltre il 30% della popolazione carceraria, ossia circa ventimila detenuti, si trova in custodia cautelare. E’ quindi necessario un robusto intervento su questo istituto per ridurre la popolazione carceraria.
Le legge attuale già prevede ciò nel caso di ultrasettantenni a dimostrazione del fatto che certe situazioni legate a rischi per la salute anche ordinari, come nel caso di persone in età avanzata, possono giustificare una misura del genere.
c) la concessione in via provvisoria delle misure alternative a tutti i detenuti che hanno già fissata l’udienza che dovrà stabilire se ne hanno diritto o meno (attualmente questi detenuti trascorrono in carcere il periodo d’attesa) e l’adozione di procedure semplificate per tutte le richieste per la quali l’udienza non è stata ancora fissata.
Queste misure dovrebbero avere un impatto forte per la riduzione della popolazione carceraria.
Cosa pensa dell’ulteriore proroga della sospensione dei colloqui con i familiari decisa dal Governo? Serve realmente per limitare il contagio quando poi chi frequenta quotidianamente il carcere per lavoro (vedi polizia penitenziaria, ma anche avvocati) lamentano la mancanza di Dispositivi di Protezione Individuale?
Il virus, a detta degli esperti della materia, si trasmette tramite contatto tra una persona infetta ed una sana, ragion per cui i colloqui tra famigliari e detenuti sono certamente un’occasione di contagio.
Il colloquio con il famigliare tuttavia non è l’occasione più frequente e pericolosa per un detenuto per contrarre il virus in quanto i maggiori contatti dei detenuti sono con agenti di polizia penitenziaria, volontari, medici, educatori ecc.
Inoltre, va ricordato che basta che venga contagiato un detenuto per far scoppiare un grave problema, perché i tempi di incubazione della malattia farebbero scoprire l’avvenuto contagio solo dopo alcuni giorni, con la conseguenza che un detenuto potrebbe contagiarne moltissimi altri nei giorni di incubazione.
I colloqui con i famigliari quindi sono l’ultimo problema e svelano l’atteggiamento di uno Stato che invece di preoccuparsi di quelli che sono i veri rischi per la popolazione detenuta ossia l’incapacità da un lato e il rifiuto dall’altro di garantire un minimo standard di sicurezza attraverso la riduzione della popolazione carceraria, pensa a limitare i diritti più elementari quali il diritto al mantenimento di relazioni con i congiunti.
Un detenuto in una lettera diffusa dai familiari dice: “(..) il vero criminale è lo Stato che nonostante il pericolo di farci ammalare e morire, preferisce tenerci ammassati dentro questo buco (..) Forse per un’idea di Stato padrone che punisce, forse per ottenere consenso popolare, forse per ottenere due voti, si comporta da vero criminale, tenendoci in ostaggio.”
Che visione del carcere sottende alle scelte del Governo? Quale invece la visione del carcere che uno “Stato di diritto” dovrebbe promuovere?
Le scelte intraprese sino ad ora sono sostanzialmente tutte nel senso di ignorare il problema delle carceri. E’ stato licenziato un provvedimento che fa da specchietto per le allodole visto che consente la scarcerazione di persone che già dovevano essere scarcerate secondo la normativa già in vigore. Il Governo per contro ha invece inteso limitare ancor più i diritti dei detenuti, eliminando i colloquio de visu con i familiari, lasciando comunque i detenuti in balia del contagio.
Queste scelte sono la riprova di una visione del carcere che si integra con la visione della società che emerge in generale dalla produzione legislativa dello Stato. Da questo punto di vista, più che le scelte fatte in un momento di emergenza contano quelle fatte in precedenza grazie anche ad un ampio consenso elettorale tramite ad esempio i decreti sicurezza tesi a sbilanciare il rapporto tra diritti ed autorità nettamente in favore della seconda. Il carcere si inserisce in questa politica quale strumento di attuazione di questo assetto dei rapporti tra diritti ed autorità. Le scelte legislative precedenti a questa emergenza sono quelle che hanno portato come conseguenza il sovraffollamento delle carceri ed oggi lo Stato non intende rivalutare tali scelte alla luce dell’emergenza, perché l’istituzione carceraria attuale è uno degli elementi visibili dello stato attuale dei rapporti tra diritti ed autorità. E’ da ricercarsi proprio nel mantenimento di questo rapporto o addirittura in un’ulteriore compressione dei diritti in favore del controllo da parte dell’autorità (perché i diritti stessi vengano degradati al rango di concessioni) la visione politica di fondo che sottende alle scelte legislative tanto precedenti l’emergenza, quanto attuali sul tema delle carceri.
Stanno emergendo a poco a poco notizie di maltrattamenti e pestaggi dei detenuti a seguito delle rivolte nelle carceri delle settimane precedenti che, lo ricordiamo, si sono concluse con 14 carcerati morti “per overdose”. C’è chi a proposito delle rivolte, soffia sul fuoco della guerra tra poveri alimentando la divisione tra detenuti facinorosi e non e quindi tra chi è giusto “punire” col pugno di ferro e chi no. Ma il silenzio assordante del Governo rispetto alle richieste di tutela dal rischio di un contagio in carcere che avrebbe effetti devastanti lascia forse altra scelta ai detenuti? Che possibilità hanno di essere ascoltati, se non quella di protestare con forza? E’ da quelle proteste che si è acceso un faro sul problema, non crede?
Indubbiamente il disagio vissuto all’interno delle strutture non fa notizia. Esso approda sui media e quindi all’attenzione dell’opinione pubblica solo in caso di situazioni eclatanti come possono essere le rivolte di giorni scorsi.
Il Governo reagisce mostrando, in via propagandistica, all’opinione pubblica un’azione sul quel fronte, ma di fatto licenzia un provvedimento del tutto inutile a limitare i rischi di contagio.
Le rivolte hanno portato il problema all’attenzione dell’opinione pubblica, tuttavia chi ne paga il prezzo sono i detenuti che vi hanno partecipato che sono esclusi dai benefici previsti da una legge, legge fatta in teoria proprio a seguito di un problema portato in luce da quelle rivolte. Degli effetti di tali rivolte trarrà beneficio solo chi non vi ha partecipato così da far passare l’idea che è necessario attendere le benevole concessioni dell’autorità in silenzio, anche se è evidente che in caso di silenzio con ogni probabilità non vi sarebbe stato alcun intervento.
Come avvocato ma anche come cittadino che riflessioni fa sulle misure imposte dal Governo a tutti gli italiani per “contenere l’emergenza Covid-19”? Non pensa che possano essere usate per sperimentare ora e consolidare dopo una sorta di “Stato di polizia”?
Più che delle attuali misure contenitive, secondo me c’è da preoccuparsi della produzione legislativa in tema di sicurezza degli ultimi anni. Il problema della limitazione delle libertà e della virata verso lo Stato di polizia non emerge da misure prese in situazione di emergenza che la popolazione accetta solo in quanto tali.
Il problema sta invece nella produzione legislativa che tende sempre di più a spostare il rapporto tra diritti ed autorità in modo da far sì che i diritti divengano semplici concessioni che, come tali, possono essere in qualunque momento revocate a capriccio. Il problema, in questo caso, sta nel consenso che tali misure trovano in una buona parte della società.
Se proprio vuole individuarsi una tendenza di fondo delle misure attuali andrebbe registrato il fatto che il governo è stato pronto a limitare le libertà dei cittadini di circolazione, mentre non lo è affatto nel fermare la produzione, cedendo sostanzialmente alle richieste di Confindustria che non vuole che le aziende siano fermate. In altre parole, non è permesso spostarsi dalla propria abitazione, ma si può girare tranquillamente per attività connesse ai servizi finanziari o ai call center. Insomma vengono impedite attività del tutto innocue mentre ne vengono consentite altre davvero ad alto rischio che sono all’evidenza non essenziali e tuttavia permesse in virtù di intuibili interessi.
24 Marzo, 2020