Il G7 ha deciso di procedere verso la nuova guerra fredda contro la Cina. Dalla richiesta di chiarezza sulle origini del Covid, alla presunta contrapposizione delle ‘democrazie’ occidentali contro gli autoritarismi rappresentati nella visione distorta dei liberali da Cina e Russia, il vertice G7 è stato praticamente incentrato sulle strategie da implementare nel tentativo di fermare l’impetuosa ascesa di Pechino.
In questa strategia di contrapposizione l’Italia emerge come paese completamente schiacciato sulle posizioni atlantiche. In questa fase Roma sembra privilegiare il confronto al necessario dialogo con la Cina, nonostante buonsenso e anche interessi economici dell’Italia suggerirebbero una strategia diversa.
Ma il presidente del Consiglio Mario Draghi rispondendo alle domande dei giornalisti al termine del G7, riguardo i rapporti con la Cina, ha affermato che le conclusioni “non sono state particolarmente dure, perché dobbiamo cooperare” con Pechino, “dobbiamo farlo in vista del G20, della lotta ai cambiamenti climatici, della ricostruzione del mondo dopo la pandemia”.
“Ma”, precisa, “lo faremo in maniera franca, dicendo qual è la nostra visione del mondo”.
Visione del mondo che Draghi ha esplicitato al termine dell’incontro tenuto con il presidente Joe Biden a margine del G7.
“Sin dalla formazione del governo sono stato molto chiaro che i due pilastri della politica estera italiana sono l’europeismo e l’atlantismo”, ha affermato Draghi. Ma pur senza ribadire questo concetto nessuno aveva minimamente pensato che con il suo governo l’Italia potesse assumere un ruolo diverso. Anzi, probabilmente una delle ‘mission’ affidate all’ex banchiere centrale europeo è proprio quella di tenere l’Italia ancorata alle sue peggiori fonti di sciagure: l’europeismo dei fanatici di Bruxelles e l’atlantismo dei guerrafondai statunitensi.
E’ nell’interesse del popolo italiano? Certo che no. Ma questo a Mario Draghi non interessa. Non è certo al popolo italiano che deve rendere conto e non è per tutelare gli interessi del popolo italiano che è arrivato a Palazzo Chigi.
De economista di indubbio valore non può non sapere che all’interno della gabbia euro l’Italia è destinata a un declino sempre più veloce. Con le conseguenze che saranno come sempre scaricate sulla classe lavoratrice del paese. Già costretta a essere sfruttata in cambio di salari da fame, senza uno straccio diritto, precarizzata e ultraflessibilizzata secondo i desiderata del dio mercato.
Ma questo Draghi già lo sa: è il classico effetto che avviene quando a un’economia viene tolta la possibilità di svalutare la propria moneta. Non potendo svalutare la moneta viene svalutato il lavoro. Una situazione che l’Italia aveva già vissuto sotto il fascismo quando il regime per una questione di prestigio internazionale decise di agganciare la Lira italiana alla Sterlina inglese. Il conto fu pagato allora – come oggi con l’Euro – dalla classe lavoratrice.
Forse l’atlantismo è nell’interesse del popolo italiano? Anche in questo caso la risposta è no. L’Italia è praticamente occupata da basi USA/NATO sin dalla fine della seconda guerra mondiale. Durante la Prima Repubblica in alcune fasi storiche il paese è riuscito a esprimere una propria politica estera, ma adesso siamo ridotti al rango di una colonia senza nemmeno un barlume di sovranità e costretti a implementare politiche e misure contrarie ai nostri interessi.
Vediamo a tal proposito le sanzioni contro la Russia che hanno fortemente danneggiato tante aziende italiane, oltre a portare a un punto basso e incrinare i rapporti con Mosca sempre amichevoli fin dai tempi dell’Unione Sovietica. Lo stesso dicasi per le sanzioni all’Iran. Prima di questa criminale misura l’Italia era il primo partner commerciale di Teheran. Ma anche in questo caso per obbedire a Washington, il nostro paese non ha esitato nel sabotare la propria economia.
Adesso è il turno della Cina. L’Italia è stato il primo paese occidentale ad aderire al grande progetto infrastrutturale e commerciale della Nuova Via della Seta lanciato da Pechino che intanto continua ad importare beni di produzione italiana sostenendo la nostra economia. Ma Roma su ordine atlantico si allontana sempre più da Pechino. Con Draghi che si è detto pronto a riesaminare l’accordo siglato con la Cina ai tempi del primo governo Conte.
Da notare, infine, come in nome dell’atlantismo cambino anche valutazioni politiche espresse in maniera perentoria. In seguito alle ormai arcinote polemiche seguite all’incidente diplomatico avvenuto durante l’incontro tra Ursula Von der Leyen, Charles Michel e Recep Tayyip Erdogan, il presidente del Consiglio Mario Draghi aveva definito il leader turco un dittatore. Forti furono le proteste di Ankara, ma Draghi non fece nemmeno un passo indietro. Adesso invece la scena sembra completamente cambiata con la Turchia che viene blandita. “Il ruolo della Turchia nella Nato è importantissimo”, Ankara “deve e vuole rimanere un partner affidabile della Nato. E queste voci che la vorrebbero fuori o distante dalla Nato non hanno fondamento”, afferma Draghi evidentemente invitato da oltreoceano a non indispettire ulteriormente Erdogan.
L’atlantismo e l’europeismo acritici professati da Mario Draghi ci porteranno a sbattere.
FABRIZIO VERDE (Direttore de l’AntiDiplomatico)