Ieri ho ascoltato una persona che raccontava di non aver avuto un sonno tranquillo la notte passata, si girava e rigirava ma non riusciva ad addormentarsi. Era molto preoccupato per il suo Paese, quello in cui, dopo tanti anni passati a Miami, è ritornato a vivere, Cuba.
La ragione di tanta insonnia era che oggi, 5 agosto, ricorre il giorno del “maleconazo”, e la sua mente non si liberava dal pensiero che dopo le proteste dell’11 luglio ne siano state pianificate di nuove per questo simbolico giorno.
Sono passati 27 anni dal 5 agosto 1994 quando, in pieno “periodo especial”, centinaia di persone invasero il “malecon” (lungo mare) de L’Avana protestando per l’insofferenza economica e alimentare che il Paese stava vivendo in quegli anni. Quella fu la prima grande protesta che si era vista a Cuba, e rimase l’unica fino a quelle del 11 luglio di quest’anno.
Alcune barche che illegalmente stavano dirigendosi verso gli Stati Uniti per emigrare furono fermate. La tensione si alzò improvvisamente e iniziarono scontri nelle strade, finché Fidel Castro si presentò in mezzo alla folla in protesta mettendosi a parlare con questa, e a quel punto tutto iniziò a calmarsi.
Alla fine Fidel disse che chi voleva lasciare l’Isola era libero di farlo, la polizia cubana non avrebbe fermato nessuno. Nei due anni successivi migliaia di persone intrapresero un rischioso viaggio in mare verso la Florida.
Tutto era iniziato con il crollo del Muro di Berlino e drammaticamente peggiorò dopo che, il 25 dicembre 1991, anche la bandiera dell’Unione Sovietica veniva ammainata.
Per non farsi mancare nulla, con la legge Torricelli del 1992 (Cuban Democracy Act) e con la Hulms-Burton del 1996, Cuba subì anche un duro inasprimento del blocco statunitense.
L’improvviso stravolgimento politico di quei Paesi socialisti, che fino a quel momento erano vitali partner commerciali per Cuba, fece cadere l’Isola in una improvvisa e acuta depressione. La fortissima criticità portò le autorità cubane a dichiarare ufficialmente il “período especial en tiempo de paz” (periodo speciale in tempo di pace).
Gli anni veramente duri furono dal 1991 al 1996, poi si cominciò a intravedere un leggero miglioramento che, con alti e bassi, è continuato fino al 2018. Poi, con l’arrivo di Trump, tutto è precipitato nuovamente.
Come indicano le date le proteste del“maleconazo” si sono verificate in pieno “periodo especial”, quando la crisi economica e alimentare aveva raggiunto livelli insostenibili.
Alcuni anni fa descrissi quello che in quegli anni si viveva nelle strade, nelle fabbriche, nei negozi e sopratutto all’interno delle famiglie cubane per riuscire a resistere a quel duro periodo; ne riporto una parte per comprenderlo meglio:
«Cuba dopo la Rivoluzione non ebbe uno sviluppo industriale e le pochissime fabbriche erano piene di macchinari sovietici che alla prima rottura di un pezzo rimanevano ferme perché il ricambio necessario non veniva più rispedito dall’ex Urss, dove ormai era tutto privatizzato e magari quel pezzo non lo fabbricava più nessuno.
In quella situazione il Paese non aveva nessuna capacità interna per pensare ad una produzione pianificata che potesse sostenere il minimo sufficiente la sua popolazione; in più la sospensione di qualsiasi rifornimento energetico – in primis il petrolio – determinò la paralisi completa del già precario sistema produttivo. Improvvisamente tutto venne a mancare e le possibili soluzioni per tamponare la catastrofe dovevano essere prese giorno dopo giorno.
Nessuno poteva prevedere le future conseguenze che questo evento storico avrebbe provocato nel Paese.
I cubani cominciarono a vivere sulla loro pelle un crollo verticale del loro stile di vita e iniziarono un periodo di resistenza umana e civile che li segnò profondamente. Nonostante questo la grande maggioranza di loro decise di continuare a sostenere la Rivoluzione.
Nelle parti più depresse dell’Isola i cavalli cominciarono a sostituire le poche automobili; il trasporto pubblico non aveva più carburante necessario per svolgere il proprio servizio, e per questo nelle strade si iniziarono a vedere grossi camion privati con decine di persone dentro, in piedi, ammassate una accanto all’altra, o anche piccole camionette che supplivano questa improvvisa carenza. Ai proprietari di questi mezzi lo Stato aveva deciso di rilasciare un autorizzazione per svolgere il servizio.
il totale crollo del tenore di vita che fino a quel momento avevano avuto i cubani ha in qualche modo contribuito anche a un decadimento culturale e morale di una parte della società.
Tutto questo mise in forte crisi la dirigenza politica del Paese nel riuscire a trovare una via d’uscita da quella disastrosa situazione. Non era affatto facile per un Paese sotto assedio, isolato e per giunta socialista.
Le conseguenze di questa grave crisi portarono alla mancanza di risorse essenziali per una dignitosa vita quotidiana.
Alcune famiglie, non poche, arrivarono a cucinarsi “picadilllo de cascara de platano” (macinato di bucce di platano). Il platano è molto simile a una banana, ma più grande, e deve essere cucinato per essere commestibile. Ovviamente la sua buccia si butta e nessuno a Cuba si sogna di mangiarla ma, nel “período especial”, no; ci si doveva adattare a mangiare anche le bucce, non tutti potevano permettersi di buttarle via, perché servivano a riempire quel piatto che altrimenti sarebbe rimasto vuoto.
A quel punto lo Stato cubano si trovava obbligato a rivolgersi al mercato capitalista per potere importare, in dollari, almeno le merci essenziali per la minima sopravvivenza.
Il problema per la popolazione era che quelle merci erano state comprate in dollari e quindi dovevano essere rivendute esclusivamente in dollari, e il prezzo per il salario in pesos dei cubani era elevatissimo.
L’equazione in quel periodo era semplice, se ho i dollari riesco a sopravvivere, se non li ho qualsiasi cosa mi è preclusa, e il gestire la semplice routine quotidiana si trasforma in un gesto eroico.
Penso che queste cose bastino a far capire la complessità della situazione socio-economica che si era creata in quel Paese dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e con il blocco statunitense che si era fatto ancora più coercitivo».
Era quello che anni fa avevo scritto parlando del “periodo especial”. Quei drammatici disagi che la popolazione stava vivendo, il 5 agosto del 1994, portarono alle proteste del ”maleconazo”.
Se non avessi anticipato che le cose scritte facevano riferimento agli anni del “periodo especial”, si potrebbe pensare che raccontino quello che oggi si vive sull’Isola.
Ed è per questo che ieri, il cubano rientrato da Miami, non ha avuto un sonno tranquillo. Era molto preoccupato da questo anniversario, perché ha timore che oggi, strumentalmente, si ripetano alcune di quelle proteste.
I simboli contano, e se non sarà oggi chissà se sarà il 13 agosto, giorno di nascita di Fidel; questi sono i dubbi del cubano.
La ragione del suo timore è che su Cuba si è tenuta troppo alta la tensione nei media in queste settimane, diffondendo una narrazione completamente avulsa dalla realtà.
Dall’11 luglio non c’è stata più nessuna manifestazione di protesta, tutto a Cuba era tranquillo, ma la realtà che viene raccontata sui media è tutt’altra. Anche alla Casa Bianca sono stati troppi gli incontri e le riunioni che in questi giorni hanno avuto con vari esponenti della comunità anticastrista per non esserne un po’ preoccupati.
Mi auguro tanto che almeno questa notte il cubano rientrato da Miami possa fare sonni tranquilli.
ROBERTO CURSI