Laurent Mucchielli – autorevole sociologo francese, direttore di ricerca del CNRS (Centre Méditerranéen de Sociologie, de Science Politique et d’Histoire) – ha recentemente pubblicato su “Mediapart” – organo di informazione indipendentemente legato alla sinistra francese, fondato nel 2008 dall’ex capo redattore di “Le Monde” – due interessantissimi articoli sulla campagna vaccinale mondiale, riguardanti rispettivamente l’efficacia dei vaccini e gli effetti avversi dei suddetti.
In questo post mi occuperò del primo articolo. In esso Mucchielli fa un’operazione molto semplice: analizza l’evoluzione dei contagi e dei decessi in quei paesi del mondo che, dall’inizio delle campagne di vaccinazione (da dicembre 2020 a febbraio 2021 a seconda del paese), hanno già vaccinato la stragrande maggioranza della loro popolazione. I paesi in questione sono Gibilterra, Malta, Emirati Arabi Uniti, Seychelles, Uruguay, Canada, Cile, Inghilterra, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca, Israele, Qatar, Bahrain e Mongolia.
In questi paesi, la dinamica che si osserva in seguito alla campagna vaccinale è più o meno la seguente: un’esplosione dei contagi che si accompagna a tassi di ospedalizzazione e di mortalità che variano molto da paese a paese (molto bassi nei paesi occidentali, relativamente alti in diversi paesi non occidentali).
Le conclusioni le affido direttamente a Mucchielli:
«Senza la necessità di effettuare lunghi e complicati calcoli, l’esame di questi pochi dati statistici di base (vaccinazioni, casi positivi, mortalità) è sufficiente per dimostrare che la realtà della dinamica delle epidemie causate dalle diverse varianti del SARS-CoV-2 è molto diversa dal discorso politico-mediatico che esalta il miracolo vaccinale. In realtà, la vaccinazione non sembra avere un impatto maggiore su questa dinamica rispetto alle misure di contenimento (“lockdown” et alia). In breve: non protegge dal contagio (e nella misura in cui lo fa, lo fa molto meno dell’immunità naturale acquisita dagli ex contagiati: vedasi il recente studio israeliano a proposito). Se è “la circolazione del virus” a preoccupare, allora l’unica risposta seria alla domanda trabocchetto del governo – “è meglio la vaccinazione di massa o un nuovo lockdown?” – non può che essere: ne l’una né l’altro. E il semplice fatto che la vaccinazione non protegga dalla contaminazione è sufficiente di per sé a dimostrare che il cosiddetto “pass sanitario” (“green pass” et alia), che discrimina i vaccinati dai non vaccinati nell’accesso a numerosi luoghi pubblici, non ha alcuna base epidemiologica. Questo è un fatto che dovrebbe essere noto a tutti i cittadini oltre che ovviamente agli eletti e ai magistrati chiamati a prendere decisioni importanti nelle settimane e nei mesi a venire.
Rimane la seconda questione, quella della possibile riduzione delle forme gravi di COVID nelle popolazioni più vaccinate. Tre sono infatti le ipotesi per spiegare il fatto che, in quasi tutti i paesi occidentali, la nuova variante nota come delta sta provocando una ripresa dell’epidemia mentre la mortalità non aumenta. La prima ipotesi è che questo sia un effetto della vaccinazione*. Tuttavia, il tasso di vaccinazione varia dal 40 al 100% della popolazione, a seconda del paese, con risultati alla fine abbastanza simili, il che lascia spazio a dubbi. La seconda è la minore pericolosità di questa variante (c’è chi, proprio per questo motivo, vorrebbe permetterle di circolare il più possibile e aiutare così a sviluppare un’immunità collettiva naturale più efficace della vaccinazione), almeno in estate. La terza (probabilmente la più importante) è la stagionalità delle malattie infettive, che vede sempre la mortalità in questione precipitare durante l’estate.
Per quanto riguarda i paesi extraeuropei, i casi di Qatar, Bahrain, Uruguay, Cile, Emirati Arabi Uniti, Seychelles e Mongolia indicano che le intense campagne di vaccinazione non hanno impedito l’insorgere di nuove epidemie che, a differenza dell’Europa, sono state talvolta più letali delle precedenti. Alcuni genetisti (vedi la nostra intervista a Christian Vélot) avvertono inoltre del rischio che la vaccinazione generale (con vaccini genetici a RNA o DNA) contribuisca essa stessa allo sviluppo di varianti che potrebbero sfuggire all’immunità acquisita durante la prima epidemia [in Italia questo concetto è stato recentemente ribadito anche da Roberto Burioni].
In questa fase, dunque, non è possibile separare le diverse possibili spiegazioni per gli attuali sviluppi nelle epidemie di coronavirus. D’altra parte, è chiaro che i tipi di cicli epidemici che vediamo in tutto il mondo (e che danno origine alle ormai note curve a campana) sembrano farsi beffa degli interventi umani. L’ipotesi che ci sembra la più ragionevole, perché basata anche sugli insegnamenti dell’anno 2020, è che i principali fattori della dinamica epidemica siano da ricercare dal lato della storia naturale dei virus, dei fattori climatici (la stagionalità delle malattie infettive) e delle strutture demografiche e sanitarie delle popolazioni (la chiave è la quota di persone a rischio per vecchiaia, malattie cardiovascolari pregresse, obesità ecc.), e non dal lato delle decisioni politiche, ivi inclusa la scelta di vaccinare più o meno rapidamente o più o meno fortemente la popolazione generale».
Aggiungo solo che non si può non notare come in Francia vi sia un’ampia area politico-culturale legata alla sinistra socialista e sindacale che si oppone duramente alla natura di classe della gestione pandemica (tanto per fare qualche esempio: a presentare ricorso alla Corte costituzionale contro il green pass è stato Jean-Luc Mélenchon, mentre diversi sindacati francesi hanno chiamato allo sciopero generale contro il green pass in quanto strumento di discriminazione di classe (i ricchi saranno liberi di pagarsi tutti i tamponi che vogliono, i poveri no) e di ulteriore disciplinamento dei lavoratori ecc.), mentre in Italia sinistra e sindacati sono tra i maggiori sostenitori dei provvedimenti governativi, permettendo così alle reazioni spontanee di ampi settori della popolazione di essere egemonizzate da scappati di casa di varia natura. La confusione è grande ma la situazione è tutt’altro che eccellente.
*Ipotesi avallata anche dal sottoscritto in un recente post.
THOMAS FAZI
(Economista, saggista e membro del direttivo nazionale di “Italexit”)